I vertici dell'Arma dei carabinieri di allora ne devono rispondere. Indagato un primo ufficiale
Cucchi picchiato a morte
I superiori imposero al carabiniere Tedesco reoconfesso di mentire
L'attuale comandante dell'Arma Nistri invece “vuole punire chi ha parlato”

“Cucchi e Di Bernardo iniziarono a insultarsi. Di Bernardo si voltò e lo colpì con uno schiaffo violento in pieno volto. Allora D’Alessandro gli diede un forte calcio con la punta del piede, all’altezza dell’ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto 'Basta, finitela! Che cazzo fate? Non vi permettete!', ma Di Bernardo proseguì nell’azione, spingendolo con violenza e provocandone una caduta in terra sul bacino. Poi, batté anche la testa”.
È il passaggio chiave della drammatica testimonianza resa il 9 luglio scorso da Francesco Tedesco, carabiniere imputato per omicidio preterintenzionale nel processo Cucchi bis insieme ai due colleghi Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, al Procuratore generale (Pg) Giuseppe Pignatone e al Pubblico ministero (Pm) Giovanni Musarò.
Una verità che Tedesco ha tenuto nascosta per 9 lunghissimi anni e che solo oggi ha trovato il coraggio di confessare in quanto “I superiori mi chiesero di mentire”.
“Fu un’azione combinata — ha detto ancora Tedesco ai giudici — Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro, poi ci fu la forte spinta di Di Bernardo in senso contrario che inevitabilmente gli fece perdere l’equilibrio, provocando una caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di aver sentito il rumore. Nel frattempo io mi alzai, spinsi Di Bernardo, ma prima che potessi intervenire, D’Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi, mentre era sdraiato in terra. Finalmente spinsi via anche D’Alessandro e intimai loro di smetterla dicendo loro di non avvicinarsi più all’arrestato”.
La confessione di Tedesco, seppur con colpevole ritardo, spazza via il vergognoso cumulo di menzogne e falsità imposto sulla vicenda dai vertici dell'Arma e segna una svolta inaspettata nel processo sull'omicidio del giovane geometra romano, avvenuta una settimana dopo il suo arresto, il 22 ottobre 2009.
La svolta alle indagini comincia il 18 giugno scorso quando Tedesco si reca in procura per denunciare la sparizione dell’annotazione di servizio che aveva scritto il giorno della morte di Stefano Cucchi e nella quale raccontava ciò che aveva visto quella notte.
Il militare viene convocato in procura e inizia il drammatico racconto di quella notte in cui Cucchi fu picchiato a morte; parla dei verbali spariti e dei rapporti falsificati ad arte su ordine dei suoi diretti superiori per camuffare le vere cause che portarono alla morte del giovane geometra romano.
Gli inquirenti hanno già trovato alcuni importanti riscontri che confermano il racconto di Tedesco proprio nel registro degli atti dove, guarda caso, alla data del 22 ottobre 2009, giorno della morte di Cucchi, al posto dell’annotazione di Tedesco c’è un foglio bianco.
Tedesco ha detto che fin da subito ha cercato di dire la verità informando i suoi diretti superiori di quanto accaduto. Tant'è che qualche minuto dopo il pestaggio, chiamò il comandante interinale della stazione Appia, Roberto Mandolini, (anche lui a processo per falso e calunnia, ndr), che gli intimò di tenere la bocca cucita.
Un'imposizione che, aggiunge Tedesco, mi fu ribadita anche nei giorni seguenti quando ad esempio “assistetti personalmente a una telefonata fatta da Mandolini alla stazione di Tor Sapienza. Chiese al suo interlocutore di modificare le annotazioni redatte dai militari in servizio la notte del 16 ottobre. Disse che non andavano bene. In effetti vennero cambiate... Ritengo non casuale il fatto che Mandolini mi fece assistere alla telefonata: l’ho vissuta come una violenza, era come se volesse farmi capire che lui poteva fare quello che voleva e che il mio racconto non contava nulla”.
E così, il 29 ottobre e il 7 novembre 2009, davanti al Pm titolare della prima inchiesta su Cucchi, Tedesco è costretto dai suoi superiori e dagli stessi colleghi coinvolti nel pestaggio a dichiarare il falso.
Infatti, ricorda ora: “In entrambe le occasioni fui accompagnato dai miei superiori... Nella prima sicuramente dal maresciallo Mandolini che attese fuori la porta... Non mi minacciò esplicitamente, ma aveva un modo di fare che non mi faceva stare sereno. In particolare, ricordo che mentre ci recavamo a piazzale Clodio, io, avevo capito di non poter dire la verità e gli chiesi cosa avrei dovuto dire al magistrato, lui rispose: 'Tu gli devi dire che stava bene, gli devi dire quello che è successo, che stava bene e che non è successo niente ... capisci a me, poi ci penso io, non ti preoccupare'”.
Per anni, ha aggiunto ancora Tedesco, mi sono portato dentro questo peso e ho deciso di “raccontare la verità per una serie di ragioni. All’inizio avevo molta paura per la mia carriera, temevo ritorsioni e sono rimasto zitto per anni. Però successivamente sono stato sospeso e mi sono reso conto che il muro si stava sgretolando e che diversi colleghi avevano iniziato a raccontare la verità... Non nascondo che la lettura del capo di imputazione per omicidio preterintenzionale mi ha colpito molto, perché il fatto descritto corrisponde a ciò che ho visto io e solo a quel punto ho compreso appieno la gravità dei fatti e ho deciso di dire quello che ho visto, per una questione di coscienza. Prima di leggere la contestazione io credevo che la vicenda fosse anche gonfiata mediaticamente e non potevo escludere che anche la polizia penitenziaria avesse picchiato Stefano Cucchi. Ma quando ho letto che la caduta di Cucchi, a cui avevo assistito, ne ha determinato la morte, non sono più riuscito a tenermi dentro questo peso”.
Adesso è arrivato il momento che i massimi responsabili dell'assassinio di Stefano Cucchi, quasi tutti promossi ai vertici dell'Arma, paghino il loro conto. Sono chiamati in causa il generale di brigata, Vittorio Tomasone, all'epoca comandante provinciale di Roma e oggi promosso a generale di corpo d'armata e comandante interregionale a Napoli. Tomasone gestì le indagine interne, convocò tra gli altri il maresciallo Mandolini avallando di fatto le sue falsità; il colonnello Alessandro Casarsa, all'epoca comandante del gruppo Roma, oggi promosso a generale di brigata e comandante dei corazzieri del Quirinale, il quale nega di aver svolto qualsiasi ruolo negli accertamenti sulla morte di Cucchi; il maggiore Paolo Unari, all'epoca comandante della compagnia Casilina e della caserma Appia dove fu picchiato Cucchi, e oggi tenente colonnello distaccato al ministero degli Esteri, il quale escluse anomalie dopo l'indagine interna e dichiarò “Le camere di sicurezza non sono hotel a cinque stelle”; Luciano Soligo, all'epoca maggiore e comandante della compagnia Montesascro da cui dipende la caserma di Tor Sapienza (dove Stefano dopo il pestaggio fu trasferito per trascorrere la notte in attesa del processo per direttissima), oggi promosso a tenente colonnello, prese parte alla indagine interna (dal 22 ottobre anche lui risulta indagato nel processo bis per falso ideologico); Emilio Buccieri, maresciallo, all’epoca dei fatti vicecomandante della stazione Appia, oggi comandante della medesima stazione, i cui uomini arrestarono Cucchi, anche se in quei giorni non era in servizio; Roberto Mandolini, all'epoca maresciallo e comandante della caserma Appia, oggi maresciallo capo, il quale sapeva della relazione sul pestaggio poi scomparsa; Massimiliano Colombo, maresciallo, comandante della caserma di Tor Sapienza, indagato per falso per aver attestato “le buone condizioni di salute di Cucchi”; e infine i carabinieri Vincenzo Nicolardi, accusato di calunnia contro la polizia penitenziaria, Francesco Di Sano imputato di falso per aver modificato il verbale sulle condizioni di Cucchi “in seguito a un ordine gerarchico”, come lui stesso ha ammesso, e infine i carabinieri Di Bernardo D'Alessandro e Tedesco accusati di omicidio preterintenzionale.
Insomma il muro di omertà dietro cui per nove lunghi anni si sono nascosti gli assassini di Stefano Cucchi e i loro mandanti comincia a sgretolarsi; ma non sarà facile mettere la sbarra tutta la catena di comando che ancora oggi gode di protezioni ai massimi livelli a cominciare dall'attuale comandante generale dei carabinieri Giovanni Nistri.
Lo ha detto chiaramente la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, al termine dell'incontro avuto il 16 ottobre presso il ministero della Difesa con la titolare Elisabetta Trenta e lo stesso generale Nistri.
"Mi sarei aspettata non dico delle scuse, perché avrebbe potuto essere per lui troppo imbarazzante, ma certo non 45 minuti di sproloquio contro Casamassima, Rosati e Tedesco, gli unici tre pubblici ufficiali che hanno deciso di rompere il muro di omertà nel mio processo" ha dichiarato all’Associazione Stampa Estera Ilaria Cucchi 24 ore dopo l'incontro.
Riccardo Casamassima e la moglie, Maria Rosati, sono i due carabinieri che con le loro dichiarazioni hanno permesso la riapertura del processo. Davanti ai giudici avevano raccontato di avere subito conseguenze sul lavoro per avere parlato del pestaggio di Cucchi.
“In un processo dove stanno emergendo gravissime responsabilità – ha aggiunto ancora Ilaria Cucchi - siamo sicuri che vi sia proprio adesso una insopprimibile esigenza di punire proprio coloro che hanno parlato? Questo processo io e la mia famiglia lo abbiamo fortissimamente voluto e ora il generale vuole colpire tutti coloro che hanno parlato... L'unica cosa che Nistri si è sentito di dirmi è che gli unici testimoni che hanno avuto il coraggio di rompere l'omertà verranno puniti con procedimenti disciplinari di Stato e non ci ha detto nemmeno il perché”.
Dopo la sua deposizione davanti ai Pm, infatti, Casamassima è stato trasferito e demansionato. Una scelta che l’Arma ha motivato con i procedimenti disciplinari aperti in precedenza sul militare. Mentre in un’intervista al Fatto Quotidiano il generale Nistri ha sibilato: “Casamassima ha fatto il suo dovere testimoniando la verità. Ma se in altri casi ha avuto comportamenti sanzionabili non possiamo ignorarli”.
Al suo fianco anche la ministra Trenta che, replicando alle accuse di Ilaria Cucchi, in un post su Facebook ha scritto: "Il Comandante dell'Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri non ha portato avanti alcun sproloquio e non ha manifestato nei confronti di nessuno pregiudizi punitivi. Ero presente, se lo avesse fatto sarei intervenuta! Semplicemente, ha rimarcato l'obbligo per tutti i gradi al rispetto delle regole, il che rientra nelle sue prerogative di Comandante".

24 ottobre 2018