L'Ue boccia da destra la manovra
Uscire dalla Ue

Com'era ampiamente previsto la Commissione europea ha respinto la manovra di bilancio del governo, dandogli tempo al massimo fino al 13 novembre per inviare un nuovo documento con le richieste correzioni, altrimenti già il 21 novembre inizierà la procedura di infrazione a carico dell'Italia che potrebbe diventare operativa tra gennaio e febbraio del prossimo anno.
Il respingimento del Documento programmatico di bilancio (Dpb) inviato dall'Italia è avvenuto il 23 ottobre da parte del Consiglio dei commissari europei riuniti a Strasburgo, dopo che il governo italiano, per bocca del ministro dell'Economia Tria, aveva risposto sostanzialmente picche alla lettera inviata dal commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, e dal vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombroskis, che muovendo pesanti critiche alla manovra chiedeva una risposta convincente entro il 22 ottobre per scongiurare una bocciatura già preannunciata.
Ma sia Salvini che Di Maio ignoravano l'ultimatum contenuto in quella lettera, tirando dritti per la loro strada e dettando a tutto il governo la linea del "non si cambia una virgola della manovra", a cui si allineavano pur con toni solo formalmente più concilianti il premier Conte e il ministro Tria: "Noi andremo avanti, io non tolgo un euro per i giovani, per cancellare la Fornero, per i disabili", aveva risposto il caporione leghista prima ancora che la decisione della Commissione fosse resa ufficiale. Quanto alla risposta di Tria alla Commissione, il ministro riconfermava tutte le cifre della manovra, compreso il contestato deficit al 2,4%, considerato una "necessità" assoluta dal governo, concedendo solo a mo' di rassicurazione che "qualora i rapporti deficit/Pil e debito/Pil non dovessero evolvere in linea con quanto programmato", il governo interverrà "adottando tutte le necessarie misure affinché gli obiettivi indicati siano rigorosamente rispettati". In pratica interverrà con una manovra bis contenente massicci tagli "lineari" alla spesa pubblica. Anche Conte in alcune dichiarazioni confermava da parte del governo la "disponibilità a valutare un contenimento delle spese nel corso di attuazione della manovra", e cercava di rassicurare UE e mercati che per l'Italia "non esiste un piano B" per uscire dall'euro.

Proclami di guerra e caute aperture
Rassicurazioni del tutto irrilevanti per la Commissione, che tirando dritto anch'essa procedeva al respingimento ufficiale della manovra con toni particolarmente duri, in quanto "non rispetta né le raccomandazioni del Consiglio né gli impegni assunti dall’Italia stessa", e sottolineava che è la prima volta che una manovra di bilancio di un governo della UE viene respinta prima ancora della sua approvazione in parlamento. Oltre a bocciare lo scostamento del deficit al 2,4% e la crescita prevista del Pil all'1,5% per il 2019, giudicata irrealistica da tutti gli istituti economici internazionali, la Commissione puntava il dito in particolare sulla revisione della Fornero, considerata una "retromarcia sulle riforme che puntellano la sostenibilità del debito", sul condono, che "può scoraggiare la già scarsa conformità al fisco", e sulla flat tax alle imprese, che è "disinnescata dall’abolizione delle agevolazioni fiscali". Tutto ciò esporrebbe l'Italia a "shock esterni" con rischi di "ricadute negative per altri paesi dell'euro".
Sprezzante a dir poco la risposta di Salvini alla bocciatura della manovra, che da Bucarest dichiarava: "Questo non è un attacco al governo ma a un popolo, io vado avanti, non tolgo un euro". E che successivamente, mentre era in campagna elettorale in Trentino, ribadiva: "Possono mandarci anche 12 letterine, da qui fino a Natale, ma la manovra non cambia". E il ducetto Di Maio gli faceva l'eco dichiarando che "alla UE non piace questa manovra perché è la prima scritta a Roma e non a Bruxelles".
Intanto però la bocciatura della manovra - a cui seguiva subito dopo il giudizio dell'agenzia Standard & Poor's, che pur confermando per il debito dell'Italia il rating BBB che lo colloca due gradini sopra il livello "spazzatura", rivedeva l'outlook (previsione) da stabile a negativo, ossia sostanzialmente rimandava il declassamento al 2019 - provocavano l'ennesima impennata dello spread fino a quota 320, per poi riassestarsi stabilmente intorno sui 315 punti, aumentando la preoccupazione in seno ai settori considerati più "responsabili" dello stesso governo. Ed ecco allora il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giorgetti, dichiarare a Porta a porta , che se lo spread (differenziale) tra i titoli di Stato tedeschi e quelli italiani dovesse arrivare intorno alla soglia fatidica di 400, "è evidente che gli attivi delle banche andrebbero in sofferenza e sarebbe necessario ricapitalizzarle, dovremmo intervenire senza indugio». Evidentemente il consigliere economico di Salvini e n. 2 della Lega aveva in mente le situazioni di sofferenza in cui versano istituti come Mps o Carige, e alle eventuali crisi di liquidità che con lo spread alto colpiscono anche le banche piccole e medie che finanziano l’intero sistema di imprese del Nord, dove la Lega ha il suo principale serbatoio di voti.

Draghi "amico dell'Italia"
Anche Conte si è mostrato preoccupato che il muro contro muro con la Commissione europea possa creare una situazione insostenibile per i conti pubblici. Tant'è che da San Pietroburgo, dove era andato per riaprire i canali commerciali con la Russia di Putin e avere il suo appoggio in vista della vicina conferenza di Roma sulla Libia (nel quadro della nuova strategia del governo che privilegia i rapporti diretti con Trump e Putin piuttosto che tramite la UE), ha dichiarato ai giornalisti che "sicuramente se lo spread sale è un problema, quindi dobbiamo augurarci che scenda".
Anche Tria dichiarava che lo spread a 320 è "un livello che non possiamo tenere troppo a lungo". Persino Salvini, pur continuando a sparare a zero sulla Commissione, è intervenuto per difendere Draghi, definendolo un "amico dell'Italia", allorché questi è stato fatto oggetto di un attacco frontale da parte di Di Maio per aver escluso eventuali interventi a favore dell'Italia in caso di spread fuori controllo: "Finanziare i deficit non è nel nostro mandato", aveva detto il presidente della Banca centrale europea, dicendosi tuttavia "fiducioso" che una soluzione di compromesso tra la Commissione e il governo Italiano la si potrà trovare. Ciononostante il ducetto Di Maio lo aveva attaccato dichiarando che "secondo me siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente". Ma Salvini non lo seguiva su questo terreno, dimostrando di capire meglio del ducetto pentastellato il confine tra la propaganda elettorale e il realismo politico.

Impossibile discostarsi dalla politica di austerity
Stando così le cose, con la prospettiva di una procedura di infrazione della UE e con sulla testa l'incubo dello spread che rischia di dissestare il sistema bancario, il governo Lega-M5S sembra messo nell'angolo e costretto a cercare una qualche via d'uscita da offrire alla Commissione, al di là delle dichiarazioni di guerra di facciata. Si parla per esempio dell'ipotesi di scorporare dalla manovra le pensioni e il reddito di cittadinanza per affidarle a un disegno di legge, in modo da posticipare e diluire nel tempo l'impatto finanziario di circa 16 miliardi che questi due provvedimenti comportano, o altre scappatoie del genere. Ferma restando la già citata "clausola di salvaguardia" dei tagli "lineari" alla spesa che il governo ha promesso di fare nel caso la tanto strombazzata crescita del Pil all'1,5% nel 2019, che dovrebbe miracolosamente risolvere tutto, non dovesse realizzarsi. Anche perché Salvini e Di Maio hanno confermato solennemente che il governo non ha intenzione di ricorrere a nessuna patrimoniale.
Il succo di tutta questa vicenda - al di là del nostro giudizio di merito su questa manovra demagogica, che noi rifiutiamo e invitiamo a rifiutare perché premia i ricchi con la flat tax e il condono e dà solo briciole ai lavoratori e alle masse popolari, per giunta pagate aumentando il debito pubblico e i tagli alla spesa - è che non è possibile per un governo fare una politica economica e sociale autonoma, senza dover subire le ingerenze e i diktat della UE capitalista e imperialista. La quale non sopporta comunque che si esca dalla logica dell'austerity e del "fiscal compact", ed è pronta a bocciare da destra qualunque iniziativa - reale o demagogica che sia non importa - che tenti di discostarsene anche solo di poco.
Se si vuole davvero fare gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari, infischiandosene dei finanzieri e dei burocrati di Bruxelles, e con i fatti e non a parole come il governo nero Salvini-Di Maio, che in realtà è pronto a fare altri tagli e tradire promesse, pur di non toccare i grandi patrimoni e gli interessi dei capitalisti, non c'è altra strada che uscire dalla UE. Cominciando col sostenere l'astensionismo alle prossime elezioni europee, per assestargli un colpo demolitore da sinistra, delegittimarla ulteriormente agli occhi dei popoli europei e affrettarne la distruzione.
 

31 ottobre 2018