Col voto di fiducia il senato nero approva il decreto fascista e razzista su sicurezza e migranti
Salvini esulta: “Una giornata storica”

Il decreto legge fascista e razzista di Salvini su sicurezza e migranti è stato approvato dal Senato nero col voto di fiducia il 7 novembre, con 163 sì, 59 no e 19 astenuti, e a breve approderà alla Camera per la conversione definitiva in legge. Hanno votato a favore M5S e Lega, contro soltanto PD, LEU e il gruppo Autonomie, mentre Fratelli d'Italia e Forza Italia si sono astenuti, ma non perché fossero contrari al provvedimento, anzi tutt'altro, ma più che altro perché il governo non ha avuto bisogno del loro soccorso. Il dissenso tra le file della maggioranza, infatti, è stato molto contenuto e si è limitato a cinque senatori dissenzienti del M5S, Gregorio De Falco, Paola Nugnes, Elena Fattori, Matteo Montero e Virginia La Mura, che sono usciti dall'aula per non votare la fiducia ad un provvedimento da loro giudicato "contrario ai principi del movimento". "Una giornata storica", ha subito esultato il caporione fascio-leghista Salvini su Twitter ancor prima della chiusura ufficiale della votazione, a cui aveva presenziato di persona per tutto il tempo dandosi arie ducesche, per poi convocare una conferenza stampa fuori dall'aula in cui ha profferito con aria tronfia: "Si rassegnino gli sciacalli, questo governo andrà avanti a lavorare per cinque anni".
Il suo riferimento era alle contraddizioni riesplose pochi giorni prima in seno alla maggioranza e sedate solo alla vigilia del voto di fiducia. Questa volta il pomo della discordia tra M5S e Lega non era rappresentato dal condono ma dall'accorciamento dei tempi della prescrizione, fortemente avversato dalla Lega, che il ministro della Giustizia Bonafede voleva inserire nel ddl anticorruzione. In mancanza del quale il M5S minacciava di non votare il dl sicurezza. Ne nasceva un braccio di ferro durato fino alla vigilia del voto di fiducia, concluso ancora una volta da un faccia a faccia tra Salvini e Di Maio in cui quest'ultimo si è calato come al solito le brache accettando di far slittare l'applicazione della nuova prescrizione al 2020, e solo previa approvazione di una "riforma" generale della giustizia. "Riforma" che sarà manco a dirlo targata Lega-FI.

Paura di Di Maio per la "compattezza" interna del M5S
Il fatto è che il ducetto pentastellato doveva fare la voce grossa agitando la bandierina della prescrizione perché era in difficoltà, tra la base in rivolta per il tradimento su Tap e Muos e il dissenso dei suoi cinque senatori che chiedevano modifiche al decreto sicurezza invocando "libertà di coscienza" sui temi etici. Per farli recedere gli erano stati rivolti insulti di ogni tipo, e la senatrice Fattori aveva ricevuto anche minacce di morte. Il capo del M5S era arrivato a minacciarli di convocare un'assemblea dei parlamentari per metterli alla gogna; e aveva anche evocato la metafora della "testuggine romana", presa dall'armamentario mussoliniano ripescato da CasaPound, per richiamarli alla disciplina militaresca: un messaggio rivolto non solo a loro ma anche ai movimenti di lotta, come No Tav, No Tap e No Muos, che stanno prendendo coscienza di essere stati strumentalizzati e traditi dal M5S.
In realtà Di Maio non ha mai pensato veramente di silurare il decreto di Salvini, sul quale c'è sempre stato un patto di ferro tra i due ducetti, suggellato dall'accordo sul condono, col quale Salvini aveva accettato di sfrondarlo da alcuni aspetti troppo sfacciati e indigeribili e in cambio Di Maio gli aveva promesso di cassare tutti gli emendamenti del M5S al decreto sicurezza che non fossero strettamente concordati con la Lega. Patto che ha tenuto fino in fondo, come si è visto già dall'esame in commissione Affari costituzionali, il 31 ottobre, quando il governo ha respinto compattamente tutti gli emendamenti non concordati. E poi quando, a fronte dei 71 voti segreti chiesti dal PD - cosa consentita dal fatto che molti aspetti del decreto andavano a interessare articoli della Costituzione - la maggioranza ha risposto chiedendo il voto di fiducia per evitare possibili sorprese da altri senatori Cinquestelle dissenzienti.
Segno questo che il M5S non era poi tanto sicuro di mantenere altrettanta compattezza tra le sue file nel segreto dell'urna. Per la verità Salvini avrebbe voluto evitare il voto di fiducia, per poter sventolare la bandiera di una vittoria senza ombre, e aveva suggerito a Di Maio che FdI avrebbe compensato con i suoi voti quelli eventualmente mancanti tra i suoi senatori, e all'occorrenza, nel segreto dell'urna, anche un po' di voti di Berlusconi sarebbero arrivati in soccorso del governo. Ma per Di Maio sarebbe stato un voltafaccia troppo duro da far ingoiare al movimento, e così ha scelto il male minore, quello di fargli ingoiare "solo" il voto di fiducia.

Lega e M5S si ricompattano ancora più a destra
Subito dopo il voto, comunque, la maggioranza M5S-Lega ha serrato nuovamente i ranghi, con il capogruppo del M5S, Stefano Patuanelli, che proclamava che "la maggioranza e il governo godono di buonissima salute", e annunciava che i cinque dissenzienti che sono usciti dall'aula saranno deferiti al collegio dei probiviri del M5S per subire provvedimenti di richiamo, sospensione o espulsione, a seconda dei casi. E con il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, che irrideva le "opposizioni" avvisandole che "non ce la farete a rompere il collante Lega-Movimento 5 Stelle".
D'altra parte con queste "opposizioni" il governo ha avuto vita facile, perché di FdI e Fi si è già detto, e quanto al PD, al Senato formato quasi tutto da renziani, si è limitato a qualche schermaglia procedurale e a una sceneggiata finale con esibizione di cartelli e magliette di "protesta". Tra l'altro con slogan alquanto ambigui, come "Meno sicurezza, più clandestini", e "Decreto Salvini, più clandestini", che sposavano il termine dispregiativo "clandestini" coniato espressamente dalla Lega per dare un marchio di criminalità ai migranti senza permesso di soggiorno. Le critiche del PD al provvedimento, infatti, non erano rivolte alla sua natura fascista, razzista e anticostituzionale, ma essenzialmente all'aumento del numero di "clandestini" che esso produce.
Ha passato così il primo esame del parlamento nero un provvedimento che abolisce la protezione umanitaria, smantella il sistema dell'accoglienza diffusa sul territorio basata sugli Sprar, concentrando i migranti nei disumani Cas (Centri di accoglienza strordinaria) e Cpr (Centri per il rimpatrio) dati in gestione a speculatori privati, raddoppia da 90 a 180 giorni la detenzione dei migranti in questi centri, revoca la cittadinanza a cittadini stranieri condannati anche non in via definitiva negando loro il diritto costituzionale alla difesa, estende il periodo di esame delle domande di cittadinanza fino a 2-4 anni, e molte altre misure fasciste e razziste da Stato di polizia e di apartheid.

Crollo delle protezioni umanitarie a ottobre
Tra l'altro il decreto Salvini ha già fatto sentire i suoi effetti malefici devastanti, visto che secondo dati dello stesso Viminale, ad ottobre i dinieghi della protezione umanitaria decisi dalle commissioni territoriali sono balzati al 75%, dal 58% che erano nel 2017, e le protezioni umanitarie, che rappresentavano la parte più rilevante di tutti i permessi concessi, sono scese dal 25% al 12%, con un dimezzamento secco rispetto all'anno scorso, e con un calo sensibile anche rispetto allo scorso settembre, quando rappresentavano ancora il 17% del totale. In pratica a ottobre, su 8.925 domande di asilo, ben 6.634 si sono viste rifiutare qualsiasi tipo di protezione. Secondo alcune stime da giugno ad oggi gli irregolari sono aumentati di una cifra compresa tra le 17 mila e le 23 mila persone. E a migliaia si contano ora i migranti che, avendo perso la protezione umanitaria, sono stati espulsi dagli Sprar per ordine dei prefetti.
Ma non basta ancora. Appena incassato il primo via libera al decreto sicurezza, Salvini ha convocato una conferenza stampa per annunciare trionfante il taglio delle spese per l'accoglienza, che dagli attuali 35 euro a testa scenderanno tra i 26 e i 19 euro, a seconda delle dimensioni dei centri di detenzione dei migranti. Il "risparmio" per lo Stato, secondo il ministro fascio-leghista, sarà di 1,5 miliardi in tre anni, più che dimezzando la spesa di quasi 4 miliardi di euro registrata nel 2016, da quando già con Minniti aveva cominciato a ridursi drasticamente.
 
 
 
 
 

14 novembre 2018