I nuovi padroni dell'Ilva licenziano gli operai critici

Non è certo un bel biglietto da visita quello di Arcelor Mittal, il grande gruppo franco-indiano dell'acciaio che attraverso Am InvestCo è diventato il nuovo proprietario dell'Ilva. L'accusa che gli viene mossa da sindacati, lavoratori e cittadini è quella di aver selezionato i lavoratori da mettere in cassa integrazione sulla base del comportamento che hanno avuto verso l'azienda, e non tenendo di conto di quanto stabilito dall'accordo governo-Arcelor Mittal-sindacati firmato a settembre e poi confermato attraverso un referendum.
L’accordo prevede che 10.700 dipendenti in tutti gli stabilimenti del gruppo (di cui 8200 a Taranto) passino alle dirette dipendenze del gruppo indiano dal primo gennaio 2019: nei mesi di novembre e dicembre sono invece considerati in distacco dall’amministrazione straordinaria Ilva. Gli altri sono trattati come “esuberi”, formalmente rimasti alle dipendenze dell’attuale amministrazione e poi collocati in cassa integrazione straordinaria a zero ore: solo 300 saranno utilizzati per le bonifiche mentre alcune centinaia di lavoratori aderiranno all’esodo volontario con incentivo.
Nei giorni scorsi sono giunte a 2586 lavoratori le lettere per l’avvio della cassa integrazione straordinaria. Chi l'ha ricevuta, vi legge: “non rientra tra i destinatari di proposta di assunzione da parte di Am InvestCo o società affiliate o, in alternativa, tra coloro che hanno aderito al piano di incentivazione all’esodo oggetto di intesa sindacale”.
Subito dopo Fim, Fiom, Uilm e Usb di Taranto hanno inviato una lettera all’amministratore delegato del Gruppo in Italia, Jehl Matthieu, e per conoscenza al ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, segnalando “gravissime anomalie rispetto all’applicazione dei criteri di legge in ambito selettivo del personale” e “molteplici incongruenze palesi sui criteri della professionalità, anzianità e carichi familiari”.
L’intesa firmata al ministero del Lavoro prevedeva di valutare per ogni lavoratore questi tre parametri, ma invece per i sindacati “non vi è più ombra di dubbio come la selezione per centinaia di distacchi sia stata operata attraverso criteri unilaterali da parte dell’azienda, di fatto al di fuori di quanto previsto dall’accordo”. “Ho sentito padri di famiglia con 3 figli che non sono stati assunti”, ha spiegato Francesco Brigati della Fiom Taranto.
La selezione ha invece falcidiato l’ala più ribelle e intransigente degli operai. Come quelli appartenenti al Comitato cittadini Liberi e pensanti che dal 2 agosto 2012 si batte per la chiusura e la riconversione dello stabilimento di Taranto, gli aderenti a quei sindacati non confederali critici verso l'accordo come lo Slai Cobas o l'Flmu Cub, pezzi di Usb e della Fiom (nonostante siano sigle firmatarie) e chi, più semplicemente, viene considerato fisicamente non idoneo a sopportare lo sfruttamento.
Liste di proscrizione che a Taranto hanno rievocato lo spettro della Palazzina Laf, il luogo in cui i Riva, al loro arrivo a Taranto a metà degli anni ’90, confinarono gli operai che non accettavano e protestavano contro le nuove condizioni di lavoro. Un confino fermato dalle lotte operaie e dall’intervento della magistratura, che con l’arrivo dei nuovi padroni indiani sembra tornare ad aleggiare sugli operai dello stabilimento pugliese.
L'inizio della Gestione Arcelor-Mittal non inizia sotto buoni auspici, confermando le critiche di quanti consideravano questo accordo una svendita dell'Ilva a una multinazionale straniera senza ottenere in cambio nemmeno la salvaguardia di tutti i posti di lavoro e un piano ambientale serio che possa garantire la salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto.
L'ingresso dei nuovi padroni sta già provocando malumori anche a Cornigliano (GE). I circa 500 operai che rimarranno in cassa integrazione dovrebbero integrare il sussidio con lavori di pubblica utilità gestiti dalla Società di Cornigliano, che però dev’essere finanziata dal governo e i sindacati aspettano ancora l’incontro chiarificatore con il ministro allo Sviluppo economico Luigi Di Maio. Per questo è partita la protesta con sciopero e assemblea permanente.
 

14 novembre 2018