Elezioni di medio termine negli Usa
La sinistra dell'imperialismo americano riconquista la Camera. La destra mantiene il Senato
Entrambi i partiti promettono di “collaborare”. Tlaib, di origine palestinese, eletta deputata: è favorevole a uno Stato unico palestinese. “Il manifesto” trotzkista semina illusioni sul cambiamento dell'America

 
Nelle elezioni di midterm, a metà del mandato presidenziale, del 6 novembre negli Stati Uniti per eleggere i 435 membri della Camera dei rappresentanti il cui mandato dura due anni e di un terzo dei 100 membri del Senato il cui mandato dura invece sei anni, la sinistra dell'imperialismo americano ha riconquistato la maggioranza alla Camera mentre la destra ha ampliato quella in Senato, dove tra i seggi persi dai democratici spicca quello di Obama in Illinois. Scampato il pericolo di una sconfitta il presidente americano Donald Trump può addirittura definire il risultato come “un enorme successo”.
Per la prima volta nelle elezioni di midterm i votanti hanno superato i 100 milioni, sono stati 113 milioni, comunque neanche la metà degli elettori registrati.
Alla Camera il Partito democratico conquista 222 seggi contro i 199 del Partito repubblicano ribaltando il risultato del 2016; al Senato i repubblicani mantengono la maggioranza di 51 seggi mentre i democratici ne perdono due dei 49 che avevano. I dati definitivi saranno pubblicati al termine della verifica in tre collegi dove i candidati sconfitti per pochi voti hanno richiesto un nuovo conteggio dei voti.
Chiusa la guerra della campagna elettorale e chiuse le urne, sono partite le promesse di collaborazione da entrambi gli schieramenti. Per i democratici ha inziato Obama che detto di voler trovare un “terreno comune” con i repubblicani, le stesse parole usate in un comunicato ufficiale della presidente uscente della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, che passerà a fine anno il testimone al suo successore repubblicano, probabilmente John Boehner.
Stesse parole usate sulla sponda repubblicana dall'ex presidente della Camera Paul Ryan che si congratulava con i Democratici per la conquista della maggioranza nel ramo del Congresso e li esortava a collaborare di fronte a un Paese che si presenta diviso: “Non abbiamo bisogno di un'elezione per sapere che siamo una nazione divisa e ora abbiamo una Washington divisa ma come Paese e come governo dobbiamo trovare un modo per unirci e trovare un terreno comune e costruire i successi di questo Congresso”.
Trump ha gioito per aver tenuto la maggioranza al Senato, dove peraltro erano in rinnovo i seggi in una maggioranza di Stati sotto il controllo indiscusso dei repubblicani, i democratici registrano la vittoria alla Camera e un aumento complessivo di voti di circa l'8%, recuperato la maggioranza in diversi seggi nel midwest e nel sud, dove due anni fa aveva vinto Trump, e sperano che ciò sia di auspicio per la vittoria nelle presidenziali del 2020. I punti di forza dei democratici sono le rappresentanti e i rappresentanti eletti che sono parte di gruppi etnici o di immigrati. Che servono a rastrellare il consenso di queste fasce di popolazione ma che non potranno portare al “cambiamento” dell'America, finanche neanche al cambiamento della politica dei democratici che nelle questioni fondamentali di politica estera e interna serve l'imperialismo americano nella stessa misura dei repbblicani.
Fra chi si rende complice di questa semina di illusioni sul cambiamento dell'America registriamo tra gli altri “Il manifesto” trotzkista che ha dedicato pagine e pagine all'evento, a partire dalla enfatizzazione del successo di molte candidate democratiche affacciatesi per la prima volta al giudizio del voto. “L’onda rosa nelle fila democratiche che promette di cambiare il paese” è il titolo che meglio rende l'idea del giudizio del quotidiano trotzkista, soddisfatto perché per la prima volta un numero record di donne, almeno 110 neo elette, entreranno al Senato e alla Camera dei Rappresentanti il prossimo gennaio. Anche se saranno solo il 20% dei parlamentari.
Tra queste registriamo comunque l'elezione in Michigan della candidata democratica di origine palestinese Rashida Tlaib che sostiene la posizione dello Stato unico democratico per ebrei e palestinesi.

14 novembre 2018