Professore Zagrebelsky sia più chiaro: “Tribalismo” o fascismo?
“Resistenza civile” contro chi e con quale obiettivo?

Con un articolo su "la Repubblica" del 24 novembre Gustavo Zagrebelsky lancia un appello alla resistenza e alla disobbedienza civile contro l'imbarbarimento politico e sociale a cui stiamo sempre più assistendo.
L'illustre costituzionalista prende l'avvio dalla constatazione che in questo momento si discute "sempre meno di Costituzione e sempre più di fascismo", e questo spostamento dell'attenzione spiega il silenzio di tanti giuristi, "fino a qualche tempo fa alquanto loquaci (tra i quali io stesso)". Sottintendendo con ciò che rispetto alla stagione del referendum sulla controriforma del Senato di Renzi, in cui era direttamente la Costituzione ad essere minacciata, e dunque a provocare la discesa in campo di giuristi e costituzionalisti per difenderla, stavolta l'attacco alla democrazia non è portato direttamente a ciò che lui chiama "lo strato" o "superficie" del nostro sistema di governo (la Costituzione e tutta l'impalcatura giuridica che lo sorregge), ma piuttosto al "substrato", cioè al sistema concreto di valori, rapporti e interessi che formano la società.
"A ogni regime politico deve corrispondere infatti un certo tipo di società; lo strato deve appoggiarsi su un substrato coerente. La costituzione democratica presuppone una società a sua volta democratica", scrive infatti il professore, e aggiunge che "non esiste democrazia politica se non c’è democrazia sociale. Chi vuole destabilizzare la costituzione democratica, per poi rovesciarla e costruirne una nuova su altre basi, sa bene che deve incominciare dalla società. Si tratta per lui di amplificare il disgusto per le immancabili corruzioni, di diffondere veleni che alimentano paure, invidie, risentimenti, e giustificano così pulsioni autoritarie, sopraffazioni, intolleranze, discriminazioni e violenze".
Con questa premessa sembra voler controbattere le critiche, di provenienza PD, che rinfacciano a lui e agli altri giuristi che si schierarono per il No al referendum del 2016, di aver spianato la strada al governo Salvini-Di Maio, e di essere volontariamente silenti nei suoi confronti come invece non lo furono verso il governo Renzi. E allo stesso tempo sembra voler controbattere quegli intellettuali e politologi, come Paolo Mieli, che negano recisamente e con supponenza che il governo Lega-M5S sia un governo fascista, e suonare invece un campanello d'allarme antifascista.

Ragionamento astratto e ambiguo sul fascismo
Purtroppo però lo svolgimento e le conclusioni del suo intervento non ci sembrano coerenti con la premessa, tanto che dopo essersi chiesto se quel che esce da quanto detto è o no fascismo, Zagrebelsky sembra cercare di svicolare dal problema e perdersi nei meandri di un ragionamento astratto e ambiguo sul significato della parola fascismo, tentando di dimostrare che l'imbarbarimento sociale e civile che si sta cercando scientemente di coltivare nel "substrato", per rovesciare - come dice - la Costituzione e costruirne una nuova su altre basi, è qualcosa di molto più "primordiale" del fascismo, e che lui individua nel "tribalismo".
"Il fascismo - dice infatti il professore - è solo una tra le tante manifestazioni storiche di qualcosa di assai più profondo, costante e radicato nell’animo umano e nelle pulsioni sociali. Questo 'qualcosa' può assumere forme storiche le più varie, pur avendo radici comuni... ma i nemici della democrazia sono proteiformi, non necessariamente fascisti nel significato ch’esso ha assunto storicamente. Si può essere antidemocratici senza essere fascisti. Non tutto ciò che non ci piace è fascismo".
Qui sembra addirittura scivolare sulla posizione di Mieli adombrando che il fascismo non c'entra nulla con questo governo (che egli peraltro non nomina direttamente mai in tutto l'articolo). Ma poi fa tutta una lista dei caratteri distintivi del fascismo, riprendendoli da uno scritto di Umberto Eco, molti dei quali riscontrabili nel governo Salvini-Di Maio e nei suoi atti, come (citando le sue parole), l'identità aggressiva, il primato dell'azione sulla riflessione e la discussione, il decisionismo, il culto della forza e il "machismo", l'antiparlamentarismo, l'ostilità nei confronti di scienza, arte e stampa, la concezione del popolo come un tutt'uno indifferenziato, il corporativismo, l'intolleranza nei confronti dei "diversi" e dei "non integrabili", la xenofobia e il razzismo, il pensiero unico e unanimismo, il nazionalismo e così via.
Tutti caratteri a suo dire "tipici delle 'società chiuse', o 'società organiche' di cui il modello primordiale è, propriamente, la tribù". "L’archetipo - conclude - è il tribalismo da sempre riemergente in particolari situazioni storiche, ogni volta con caratteri propri, per esempio con quelli del fascismo. Ciò significa che tutti i fascismi sono tribalisti, ma non tutti i tribalismi sono fascisti".

C'è il vecchio ma anche il nuovo fascismo
Ma allora, il fascismo c'è o non c'è con questo governo? Il professore non chiarisce questo punto fondamentale. Da una parte sembra ammetterlo, dicendo che "per mettersi il cuore in pace non basta dire che, data l’incontestabile distanza della società odierna da quella del secolo scorso, ciò che bussa alle nostre porte non è fascismo" (e qui sembra di nuovo polemizzare con Mieli); ma poi finisce per concludere che alle nostre porte "possono battere, uno dopo l’altro, gli ingredienti del tribalismo; ed è perfino peggio, perché è facile illudersi che ci si fermi lì. Invece, uno dopo l’altro, possono diventare una valanga".
Quindi ancora una volta non si ha il coraggio di chiamare le cose col loro vero nome, cioè fascismo, e si preferisce ricorrere ad una definizione astratta e ambigua, come tribalismo, forse nel timore di osare spingersi troppo oltre e correre il rischio di essere ridicolizzati da volponi spregiudicati e voltagabbana alla Paolo Mieli, che mascherano dietro il loro scetticismo "anti ideologico" il loro servilismo verso il governo borghese di turno. È sempre la solita storia: se non ci sono le camicie nere, i gagliardetti e l'olio di ricino, non si può parlare di fascismo.
Ma a parte il fatto che c'è anche questo, dato che c'è ancora, e sempre più violento e protervo, il vecchio fascismo che si richiama apertamente a Mussolini e che imperversa impunemente con le squadracce nere di CasaPound e Forza Nuova, e in parlamento con i fascisti di FdI. Soprattutto non si vuol capire o si finge di non capire che c'è un nuovo fascismo, che non veste la camicia nera ma il doppiopetto, e che già da molti anni, da Craxi, a Berlusconi e a Renzi, pezzo per pezzo ha già cambiato di fatto la Costituzione e la democrazia borghese e instaurato la seconda repubblica neofascista, piduista, presidenzialista, razzista e interventista. Un nuovo fascismo del XXI secolo che oggi si incarna nel governo nero di stampo trumpiano, razzista, xenofobo e omofobo Lega-M5S, che con il decreto Salvini sui migranti e la sicurezza e la sua politica estera interventista nel Sud del Mediterraneo si riallaccia direttamente alle leggi razziali e alla politica colonialista e imperialista di Mussolini.

Avere il coraggio di andare fino in fondo
Zagrebelsky chiude il suo intervento con un appello a contrapporsi al "tribalismo" nelle sue manifestazioni concrete nel "substrato" sociale, attraverso il dissenso e "fino al limite della resistenza ai soprusi e della disobbedienza civile", sull'esempio di Don Milani, ma nel concreto non chiarisce contro chi va condotta questa "resistenza civile", con quali mezzi e per quale obiettivo.
Il suo grido d'allarme antifascista, per quanto troppo timido e indeciso, è giusto e va raccolto, ma occorre avere più coraggio e andare fino in fondo, altrimenti si rischia di prendere delle cantonate come quella di alcuni costituzionalisti ed ex esponenti dei Comitati per il No, come Montanari, Carlassare, Villone e altri, che pure si erano battuti contro la controriforma costituzionale di Renzi, ma che durante la crisi per la formazione del governo attaccarono Mattarella per le sue resistenze alle forzature di Salvini e Di Maio; e che poi hanno persino fatto un'apertura di credito al loro "governo del cambiamento", prima che la sua natura fascista, razzista, omofoba e xenofoba si palesasse al punto da non poter essere più ignorata.
In altre parole occorre che appelli come quello di Zagrebelsky diventino chiari e forti appelli antifascisti e che chiamino a raccolta tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche, antifasciste e antirazziste, in un fronte unito con i marxisti-leninisti, gli anticapitalisti e i partiti con la bandiera rossa e la falce e martello - fronte che il PMLI ha invocato per primo e fin da subito col documento del Comitato centrale del 13 giugno 2018 - per buttare giù il governo del fascismo del XXI secolo con la lotta di piazza. A maggior ragione adesso che sta cominciando una presa di coscienza della vera natura di questo governo e che movimenti di lotta cominciano a svilupparsi nel Paese, come dimostrano le manifestazioni antigovernative degli antirazzisti e degli studenti, che hanno significativamente bruciato in piazza le bandiere della Lega e del M5S.
Altrimenti, se non si avrà questo coraggio, sarà la dimostrazione lampante che non siamo noi marxisti-leninisti i settari, ma quei leader della sinistra democratica borghese che pur di ignorare i nostri appelli ed emarginarci finiscono per non fare contro questo governo fascista e razzista nemmeno quello che pur facevano contro Berlusconi, se non addirittura svolgere, volenti o nolenti, un ruolo di collateralismo nei suoi confronti.

5 dicembre 2018