L'onestà non è di casa
Il padre di Di Maio pagava i lavoratori in nero e evadeva il Fisco
Sospetto abusivismo su un terreno
Il ducetto Di Maio si deve dimettere dalla carica di ministro e vicepremier

Il verminaio di illegalità denunciato nel corso di alcuni servizi dalla trasmissione televisiva “Le Iene” circa l'impiego di lavoratori a nero, supersfruttati e sottopagati nell'impresa edile della famiglia Di Maio con sede a Pomigliano D'Arco a cui si aggiungono quasi 177 mila euro di tasse e contributi non versati e i manufatti abusivi realizzati dal padre Antonio Di Maio nel vicino comune di Mariglianella, confermano che il boss politico dei Cinquestelle, vicepremier, nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, non è proprio quello stinco di santo di onestà fatta a persona che vuole far credere.
I racconti degli ex operai dei Di Maio circa le condizioni di lavoro a cui venivano sottoposti suscitano interrogativi a dir poco vergognosi e imbarazzanti sull'attività imprenditoriale di famiglia che più volte, pubblicamente, il ducetto Luigi Di Maio ha citato come esempio virtuoso di impresa arrivando a rivendicare, in occasione dell’assemblea annuale di Confcommercio il 7 giugno 2018, con orgoglio di essere testimone diretto di un’azienda dove “mio padre, imprenditore, si sentiva e faceva anche il dipendente, e i suoi dipendenti si sono sempre sentiti un po’ anche imprenditori. È finita l'epoca del datore di lavoro contro il dipendente siamo tutti insieme nelle piccole e medie imprese italiane per provare a cambiare questo Paese”.
Il primo a parlare è stato Salvatore Pizzo interpellaot dalle Iene: “ho lavorato due anni con la ditta del padre di Di Maio. Un anno totalmente in nero, senza contratto di lavoro”.
Dichiarazioni che hanno costretto il vice premier a prendere le distanze dal papà Antonio Di Maio con il quale ora dice di aver avuto “rapporti difficili” accusandolo fra l'altro attraverso Facebook di aver “fatto degli errori nella sua vita, e da questo comportamento prendo le distanze, ma resta sempre mio padre”.
Pizzo ha raccontato di essere stato impiegato tra il 2009 e il 2010 in un cantiere di ristrutturazione dell’ "Ardima costruzioni": l’impresa edile che all’epoca dei fatti faceva capo al geometra Antonio Di Maio, il quale nel 2012 l'ha ceduta al 50% ai figli Luigi e Rosalba con relativo cambio della ragione sociale in “Ardima srl”.
Tra l'altro va detto che la "Ardima costruzioni" era intestata alla mamma del vicepremier Di Maio, Paolina Esposito, docente di ruolo di Italiano e Latino, e quindi in pieno violazione della vigente normativa della Pubblica Amministrazione che vieta espressamente ai dipendenti pubblici di ricoprire la carica di amministratore di impresa.
“Un giorno mi feci male a un dito mentre stavo scaricando una carriola – ha detto ancora Pizzo alle Iene - il geometra Di Maio, durante il viaggio verso l’ospedale Cardarelli di Napoli, mi disse: 'Non raccontare che ti sei fatto male sul cantiere, altrimenti ci mettiamo 20 mila euro vicino a sto dito'. Non dovevo dire di essermi fatto male presso la sua azienda perché lavoravo al nero. Altrimenti lui si sarebbe cacciato nei guai”. Dopo l’incidente, afferma ancora Pizzo: “il geometra Di Maio ogni venerdì mi veniva a prendere e mi portava a fare le medicazioni in una clinica, pagandomi regolarmente”. Ma poi, un mese dopo, l’operaio avrebbe ricevuto il benservito. “Mi ha scaricato, ha detto che non avevo più lavoro”. Pizzo a quel punto si rivolse alla Cgil e si accordò con l’impresa, ottenendo 500 euro e un contratto: “Aveva la durata di sei mesi, dopo mi scaricò totalmente”.
In sostanza i Di Maio hanno comprato per 500 euro il silenzio di Pizzo sia per quanto riguarda l'infortunio che la sua condizione di lavoratore a nero.
Alle domande di chiarimento delle Iene il vicepremier pentastellato ha fatto il pesce in barile affermando fra l'altro che: “A me questa cosa non risulta. Non sapevo di lavoratori in nero. Ma il fatto è grave, verificherò”. Subito dopo in un post su Facebook Di Maio ha aggiunto che: “Il caso riguarda un solo lavoratore che 8 anni fa ha lavorato in nero per mio padre”.
In realtà ora si è scoperto che i lavoratori a nero sono almeno quattro, praticamente quasi tutti i dipendenti della ditta dei Di Maio. Fra questi c'è anche Mimmo Sposito, operaio specializzato originario di Marigliano e di recente trasferitosi al Nord, che ha detto di aver “lavorato per tre anni nei cantieri dell’impresa del geometra Antonio Di Maio. Otto ore al giorno. Metà riconosciute da un contratto part time, l’altra metà in nero”.
Ma non è tutto, perché oltre ai lavoratori in nero e agli infortuni non denunciati, è saltato fuori anche una procedimento per abusivismo edilizio a carico dei Di Maio inerente i quattro manufatti realizzati su un terreno di loro proprietà nel vicino comune di Mariglianella.
Nei giorni scorsi si sono conclusi gli accertamenti della polizia municipale e il sindaco Felice Di Maiolo ha già fatto partire la procedura, prevista dalle norme anti-abusivismo, che dovrebbe portare alla demolizione dei manufatti abusivi.
Tra l'altro è venuto fuori che sul terreno in cui insistono i manufatti abusivi il 3 settembre 2010 è stata scritta un’ipoteca da parte di Equitalia Polis spa per un importo di 353.449,18 euro, pari al doppio come da prassi, del debito di quasi 177mila euro accumulato da Antonio Di Maio nel corso della sua attività imprenditoriale. Si tratta di ben 33 cartelle esattoriali notificate ai Di Maio durante un periodo lungo circa nove anni, dal 2001 al 2010, per debiti previdenziali e contributivi e tasse non pagate all'Inps, Inail, Cassa Previdenziale dei Geometri e Ufficio Imposte Dirette per un importo complessivo pari a 176.724,59 euro, comprensive degli interessi di mora. Inoltre risulta che papà Di Maio non ha pagato alcune tasse sui rifiuti solidi urbani e tra le causali dei mancati versamenti figurano somme mai corrisposte per addizionali regionali Irpef, per Iva, Irap-Irpef, un mancato pagamento di Iva di ritenuta alla fonte, e un mancata imposta sul condono.
Messo con le spalle al muro, papà Di Maio in un video diffuso via social ha fatto pubblica ammenda di tutti “gli errori” e nel chiedere di “lasciar stare la mia famiglia” ha provato a spiegare che: “Non esiste nessuna elusione fraudolenta. Nel 2006 ho deciso di chiudere la mia azienda per debiti tributari e previdenziali che non ero in grado di pagare. Non vi era altra strada che chiuderla”. Quindi, ha aggiunto papà Di Maio con una bella faccia di bronzo: “Non ho sottratto i miei beni alla garanzia dei creditori, tanto è vero che, 4 anni dopo, nel 2010, Equitalia iscrive ipoteca legale. Successivamente mia moglie ha avviato una nuova attività di impresa che ha pagato regolarmente le tasse”.
Invece risulta che Antonio Di Maio ha continuato a guidare ogni attività dell’azienda, sia quando figurava la moglie come titolare, sia ora che i soci della nuova Ardima srl sono i figli Rosalba e Luigi. Non solo: resta il mistero del debito non riscosso dallo Stato in otto anni.
Gli interrogativi su questo punto chiamano ancora una volta in causa il Di Maio vicepremier promotore del decreto sulla cosiddetta “pace fiscale” che azzererà 13 contestazioni sulle 33 avanzate di Equitalia contro il papà Antonio garantendogli un beneficio di ben 5.000 euro di sconto.
Ma i sospetti sui favoritismi ai Di Maio non finiscono qui e lambiscono anche l’ex candidata governatrice e oggi consigliera regionale a Cinquestelle della Campania, Valeria Ciarambino, fedelissima di Di Maio jr, oltre che funzionaria (in aspettativa) di Equitalia e che per l'appunto ha lavorato a Napoli dal 2007 al 2008 e dal 2011 al 2015 e sulla quale le “malelingue” dicono che potrebbe in qualche modo aver rallentato la pratica di riscossione da parte di Equitalia nei confronti dei Di Maio.
Ma la vera domanda è: possibile che tutto ciò sia avvenuto all'insaputa del ducetto Di Maio il quale si è più volte vantato di aver lavorato lui stesso da “operaio comune” durante le vacanze estive nei cantieri del papà senza vedere ciò che che gli succedeva introno?
Insomma: Di Maio è finito esattamente come Renzi, immerso fino al collo nei torbidi affari di famiglia! E proprio come Renzi cerca di mettere tutto a tacere sostenendo che: “mio padre si è preso le sue responsabilità e ci ha messo la faccia. Io metto in liquidazione l’azienda. Adesso, però, possiamo anche finirla qui”.
La differenza è che Di Maio, ora più che mai, ha l'occasione d'oro per dimostrare fino in fondo la sua “onestà e la sua voglia di cambiamento” rassegnando immediatamente le sue dimissioni che, ne siamo certi, non arriveranno mai perché la tanto sbandierata “onestà” di Di Maio e dei Cinquestelle serve solo per ingannare gli elettori e non certo per “ripulire il parlamento”!
E a chi sostiene che in fondo il vicepremier Di Maio non ha commesso nessun reato gli va ricordato che lui ha ereditando la ditta di famiglia e ha beneficiato anche dei profitti realizzati illegalmente dal padre sulla pelle dei lavoratori!

5 dicembre 2018