In Polonia la 24esima Conferenza mondiale dell’ONU
“Solo 20 anni per scongiurare la catastrofe climatica”
Il premier polacco: “Non rinunciamo alle centrali a carbone”. Aumenta il fronte dei negazionisti.
Manifestazioni in tutto il mondo per chiedere ai governi di risolvere il problema

Sono passati 3 anni dalla firma dell’accordo di Parigi sul clima, protocollo che fu celebrato con toni trionfalistici in tutto il mondo, eppure ad oggi la sua applicazione è un nulla di fatto e sul suo percorso aumentano gli ostacoli.
A Katowice, nella capitale polacca dell’Alta Slesia, tra i maggiori bacini carboniferi d’Europa dove la fuliggine ha ormai superato i livelli di Pechino, 30 mila delegati di 196 paesi dell’ONU, sono chiamati a discutere dell’applicazione di quell’accordo tanto osannato ma disatteso quanto inefficace.
Durante la sessione inaugurale, il nuovo presidente fascista del Brasile Jair Bolzonaro, ha respinto al mittente la proposta di presiedere e ospitare la Cop25, che nel 2019 dovrebbe tenersi in America Latina.
La decisione dunque segna una netta svolta nella linea politica del paese, membro del BRICS ed incluso da anni nelle cosiddette “economie emergenti”, rispetto agli impegni assunti con l’Accordo di Parigi; in sostanza ecco un altro leader di un grande Paese che si affianca al negazionismo di Trump che uscì dall’accordo durante la Cop22 di Marrakech.
Difficoltà che si aggiungono a ulteriori problemi poiché, se è vero che l’assenza di queste due potenze da un dialogo - seppur inserito in un accordo che aveva come prima grande criticità il fatto di non essere vincolante - rappresenti una grande difficoltà, è altrettanto vero che l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, dimostra come gli attuali impegni di riduzione della Co2 di tutti i singoli Stati non permettano in ogni caso di raggiungere gli obiettivi della Cop 21.
Anche gli altri Paesi capitalistici firmatari dell’accordo, in sostanza, fanno ben poco.
 
 

Due decenni per scongiurare una catastrofe irreversibile
A Katowice ancora una volta, si discuterà di finanziamenti per le rinnovabili, imputazione di costi aggiuntivi secondo il principio “chi più inquina più paga” e, soprattutto, circa la definizione di obiettivi nazionali di riduzione in linea con gli obiettivi raccomandati dalla comunità scientifica.
Un’urgenza resa ancor più pressante dall’allarme lanciato lo scorso ottobre dallo stesso IPCC, secondo il quale abbiamo davanti a noi solo 12 anni per dimezzare le emissioni globali, che vanno azzerate improrogabilmente entro metà secolo, pena l’irreversibilità del riscaldamento globale con tutte le sue conseguenze.
Disattendendo queste scadenze, non ci sarà più alcuna possibilità di mantenere l’aumento medio delle temperature entro +1,5°; già nel 2017 la concentrazione media di Co2 in atmosfera ha raggiunto il record assoluto di 405,5 ppm, con un l’aumento del 146% rispetto ai livelli pre-industriali, segnando l’inizio di una nuova era climatica che trova continue conferme nelle cronache degli ultimi mesi, in Italia come altrove, dove sono sempre più frequenti e incontrollabili gli effetti del riscaldamento globale, drammatici per le vite di milioni di persone.

La Polonia e il carbone
Diciamo che la necessaria fine dell’utilizzo delle fonti fossili, a partire dal carbone, appare ancora molto lontana; la Polonia, ad esempio e tanto per citare i “padroni di casa”, non ha nessuna intenzione di rinunciare al carbone come fonte energetica, e lo ha detto chiaramente il leader polacco Andrzej Duda durante la conferenza stampa di apertura della COP 24 di Katowice.
Se da un lato, l’esponente del partito di destra Diritto e Giustizia, ha sottolineato l’importanza di questo appuntamento, dall’altro ha voluto chiarire fin da subito che molti Paesi sono nella stessa condizione della Polonia avendo una produzione energetica che dipende in larghissima parte dal carbone, e che necessitano dunque di tempo, di flessibilità e di aiuti economici per realizzare la cosiddetta “giusta transizione” dalle energie fossili alle rinnovabili.
Nell’occasione, il ministro polacco dell’energia Krzysztof Tchórzewski ha annunciato un piano per la riduzione del carbone e per lo sviluppo delle rinnovabili che dovrebbe essere in grado di ridurre l’energia prodotta da combustili fossili dall’attuale 80% al 60% entro il 2030 e di portare quella prodotta delle fonti rinnovabili e alternative al 26%.
Va detto, seppur ci si voglia fidare di questi proclami, che per arrivare a questi risultati, oltre a piattaforme eoliche off-shore nel Mar Baltico, il governo polacco vorrebbe costruire altre sei centrali nucleari con tutti i rischi connessi. Non ci pare proprio una riconversione “verde”!
Nel concreto, il governo polacco dal 2016 in poi, attraverso un iniquo sistema di tassazione non ha fatto altro che osteggiare la crescita delle energie rinnovabili e ha puntato a salvaguardare l’industria carbonifera; secondo Greenpeace e Carbon Market Watch, in Polonia il 75% degli investimenti per la produzione di energia è riservato alle fonti fossili.
Non stupisce dunque che all’inizio del 2018 il vice ministro Grzegorz Tobiszowski abbia dichiarato: “l’industria estrattiva costituisce, e costituirà nei prossimi anni, la base del bilancio energetico del paese. Ciò consente di mantenere un alto grado di indipendenza energetica e di incrementare la concorrenza economica”.
Quindi, altro che abbandono progressivo del carbone (!), per il governo di Varsavia le miniere e le centrali elettriche a carbone sono un settore da rivitalizzare e da difendere politicamente. Fra l’altro, oltre a produrlo, la Polonia continua a importarne milioni di tonnellate dalla Russia.
E non è tutto; il governo polacco vuole investire nell’ampliamento di quattro centrali a carbone e ha annunciato l’apertura di una nuova miniera carbonifera a Złoczew, puntando a estendere la durata del sito di Bełchatów, a cinquanta chilometri dalla nuova miniera, che rappresenta la centrale a lignite più grande e inquinante d’Europa.
La Cop del carbone, come è stata chiamata dai manifestanti a Katowice, è un paradosso rafforzato anche dai suoi principali sponsor fra i quali spiccano tre delle maggiori compagnie carbonifere pubbliche, quali la JSW, principale produttrice europea di carbone da coke e la PGE, proprietaria della centrale di Bełchatów e la Tauron.
Del resto lo stesso si verificò per Parigi dove furono le aziende automobilistiche a fare la parte del leone, e per tutte le COP precedenti, dettate dalla prima all’ultima dalle pressanti e danarose attività di lobby delle multinazionali, rese legali anche da Bruxelles.

Poco o nulla anche sul drenaggio dei finanziamenti al fossile
In concomitanza con l’inizio della CoP 24 di Katowice, la rete Unfriend Coal ha lanciato il suo ultimo rapporto sul sostegno delle compagnie assicurative al comparto carbonifero. Il rapporto esamina e classifica le 24 maggiori compagnie assicurative mondiali valutando le loro politiche in materia di investimenti, copertura dei rischi e altri aspetti legati all’azione climatica, con un approfondimento sugli investimenti nel carbone, ma ha il limite di essere stato realizzato sulle informazioni disponibili e soprattutto dalle risposte ad un questionario sottoposto alle compagnie stesse. In sostanza questi dati contengono anche le bugie, ormai storiche, degli operatori finanziari che investono nel fossile.
Tutti gli addetti ai lavori considerano però i dati incoraggianti: 19 marchi assicurativi, che in totale gestiscono asset per 6 mila miliardi di dollari, sostengono di aver disinvestito dal carbone e nel solo 2018, quattro dei più grandi gruppi assicurativi mondiali – ovvero Generali, Allianz, Axa e Zurich – hanno introdotto nuove restrizioni alla sottoscrizione di assicurazioni di progetti carboniferi.
Queste prospettive, che paiono sempre così esaltanti da indurre ottimismo, sono però smentite dai fatti in quanto tutte queste compagnie si sono ben guardate dal prendere una posizione definitiva e decisa come la gravità delle condizioni del pianeta e gli allarmi della scienza indurrebbero dicendo no a questo tipo di finanziamento; Generali così come le altre continuano ad investire ancora nel settore del carbone in paesi come Polonia e Repubblica Ceca, offrendo così risorse finanziare alle società più inquinanti d’Europa.

Il problema asiatico e l’asse USA – Russia – Arabia Saudita
Anche l’Asia, responsabile ad oggi della crescita globale dell’1,4% delle emissioni di CO2 legate alla produzione energetica, continua la sua marcia verso le fossili.
Il Giappone ad esempio ha costruito 30 nuove centrali a carbone dopo il disastro di Fukushima e ad oggi è l’unico paese del G-7 che ne sta ancora progettando di nuove, così come – ed al pari di altri capitalismi concorrenti in America ed in Europa - attraverso le sue banche e le agenzie internazionali di sviluppo sta finanziando un’ondata di ulteriori ed enormi centrali a carbone dal Vietnam all’Indonesia.
È infatti proprio la Banca Giapponese per la Cooperazione Internazionale che negli ultimi tre anni ha annunciato piani per fornire fino a 5,2 miliardi di dollari di finanziamenti a sei progetti relativi al carbone che poi in qualche modo rientreranno nella terra del sol levante.
La Cina invece, primo inquinatore attuale, continua a consumare ancora metà del carbone mondiale. Sono più di 4,3 milioni i cinesi impiegati nelle miniere di carbone del paese e secondo un’analisi della statunitense Coal Swarm, nuovi impianti a carbone, alla faccia degli accordi di Parigi siglati anche dalla Cina, continuano a essere costruiti, così come tante aziende cinesi ne stanno costruendo altre analoghe in almeno 17 paesi stranieri, dal Kenya al Pakistan.
In sintesi, gli USA – il più grande inquinatore mondiale dal punto di vista storico - , il Brasile, la Cina, il Giappone e la Germania, negazionisti o firmatari degli accordi di Parigi che siano, non fanno niente in concreto per stoppare questa devastante deriva.
Ma c’è di più. Alla COP 24 sta prendendo forma un'alleanza USA, Russia, Arabia Saudita e Kuwait che durante i negoziati ha bocciato l’inserimento di una frase che sostanzialmente accettava, dando una sorta di “benvenuto”, la posizione dell’IPCC già citata che in mancanza di un accordo è stata accantonata.
Il fatto è particolarmente grave non tanto per la frase in sé, ma in quanto pare disconoscere proprio i contenuti del rapporto nel quale si evidenziano allarmi seri e circostanziati sui rischi collegati all’aumento delle temperature a causa dei piani energetici in essere nei vari paesi e tendenti ad un aumento di 3 gradi contro l’1,5 che doveva essere l’obiettivo da raggiungere.
Una sorta di ulteriore negazionismo abbracciato anche dalla superpotenza russa e dal reazionario governo saudita che sgretola miseramente gli auspici di chi riponeva fiducia nel nuovo negoziato, sperando nella ragionevolezza dell’imperialismo.

In tutto il mondo le popolazioni in piazza
Già, la Germania locomotiva dell’Europa capitalista, ormai sempre più lenta e aggressiva nelle politiche comunitarie che detta senza imbarazzo alcuno, produce un quarto del totale dell’energia prodotta nei Land carboniferi dell’ex Germania Est, su tutti Brandeburgo e Sassonia, che continuano a resistere alla chiusura ed alla riconversione delle loro miniere.
È noto che la sola lignite è responsabile di un quinto delle emissioni di Co2, il che imporrebbe alla Germania la riduzione immediata dell’utilizzo fossile, fino alla cessazione nel medio periodo; e invece anche da Berlino, siamo sempre a un sostanziale nulla di fatto.
Queste grandi contraddizioni, sempre le stesse nonostante la maggiore urgenza del tema che si moltiplica di anno in anno, hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone ed organizzazioni sociali.
Tantissime manifestazioni popolari hanno affollato in queste settimane le strade delle grandi capitali europee e di molte altre città in tutto il mondo, per premere sulle delegazioni governative in arrivo in Polonia affinché stavolta si traduca in pratica l’auspicato “cambio di passo” senza che esso sia nuovamente rimandato, come sempre avviene, conferenza dopo conferenza.
Oltre alle mobilitazioni in Germania e in Polonia, l’8 dicembre si sono tenute in ogni angolo del mondo iniziative di piazza parallele alla COP di Katowice, con lo slogan “Il tempo è adesso”.
A Katowice migliaia di persone hanno sfilato con mascherine, cartelli e striscioni colorati per strade del centro, sotto lo slogan “Sveglia”. È il momento di salvare il pianeta”, circondate da un impressionante dispiegamento di polizia che ha fermato e perquisito ogni singolo pullman o treno che prima del corteo ha portato i manifestanti nella città polacca.
Tre attivisti sono stati trattenuti dalle “forze dell’ordine” ed il corteo è stato fermato da un cordone di agenti che ha costretto alla sosta nei pressi della sede della COP, senza poter raggiungere il punto d’arrivo previsto. Delegati di tutto il mondo sono intervenuti durante il percorso, rappresentando le istanze dei movimenti dell’ambiente dei cinque continenti che all’unisono hanno collegato la questione climatica alle battaglie in corso per cambiare modello agricolo, abbandonare i fossili, proteggere i suoli e la biodiversità, fino a modificare gli stili di vita individuali.
Un marcia da Roma a Katowice e altre iniziative in alcuni territori hanno coinvolto anche il nostro Paese, contrassegnato da tante vertenze ambientali e sociali tutte indirettamente legate al tema del clima come le lotte NoTav, NoTap, NoTriv, ecc. che in qualche modo hanno fatto sentire la loro voce.
Una opposizione che però rimane molto frammentata e poco visibile nonostante la sensibilità sul tema risulti sempre più ampia tra i popoli del mondo.

La necessità della prospettiva strategica del socialismo
Alla base quindi di una vertenza comune che possa essere partecipata ed incisiva, va posta la lotta per un sistema economico differente, e non per una falsa e illusoria nuova versione del capitalismo poiché è proprio quest’ultimo l’origine di tutti i mali sociali, inclusi quelli ambientali. Se si riconosce che questa situazione e l’empasse che ne consegue in termini di politiche energetiche risolutive è responsabilità dei “signori di un capitalismo finanziario, estrattivo e predatorio che domina il pianeta” le cui conseguenze sono subite dalla “moltitudine sterminata dei popoli e delle comunità (…) i cui profughi e migranti cercano di varcare, da soli o in carovana, i confini di un mondo protetto”, come afferma anche “Il Manifesto”, che cosa si aspetta a mettere al centro del dibattito la questione del socialismo?
È con il socialismo che, in ultima analisi, sarà possibile per tutti avere un lavoro libero, che tenga di conto dell’ambiente in tutti i suoi settori produttivi a partire dall’energetico, per arrivare alla mobilità, all’agricoltura ed alla conseguente qualità dell’alimentazione, alla salvaguardia del territorio e della salute, poiché è il marcio profitto capitalista che induce aziende e governi a rendere subalterni questi temi di profondo carattere sociale al profitto stesso che rimane l’unico obiettivo da raggiungere nel minor tempo possibile.
“Il tempo è adesso”, soprattutto per il socialismo. Mentre l'imperialismo e il sistema economico capitalistico trasformano in un inferno la vita dei popoli e condannano il pianeta alla catastrofe climatica.

12 dicembre 2018