Strage a Strasburgo. Cordoglio per le 5 vittime, solidarietà ai 13 feriti
Cessare la guerra allo Stato islamico per fermare gli attentati
L'attentatore: “Ho vendicato i fratelli uccisi in Siria”

 
La sera dell'11 dicembre un giovane di origini nordafricane, nato in Francia, sparava nel centro di Strasburgo uccidendo 5 persone e ferendone altre 12; tra le vittime il giovane giornalista italiano Antonio Megalizzi, colpito da un proiettile alla testa. L'attentatore riusciva a sfuggire alla immediata caccia della polizia francese che lo trovava due giorni dopo a Neudorf, nel quartiere di Strasburgo in cui viveva e lo uccideva nello scontro a fuoco.
Secondo quanto riportava il quotidiano Le Parisien citando la testimonianza del conducente del taxi a bordo del quale l'attentatore era fuggito dopo aver sparato sulla folla, avrebbe detto di aver “ucciso per vendicare i fratelli morti” in Siria. Dopo la sua uccisione da parte della polizia l'agenzia di propaganda dello Stato islamico Amaq rivendicava l'attentato di Strasburgo sostenendo che il giovane “era un nostro soldato” che “ha portato avanti l'operazione per vendicare i civili uccisi dalla coalizione internazionale”.
La strage dei civili a Strasburgo è certamente un atto di barbarie che condanniamo e assieme esprimiamo cordoglio per le 4 vittime e solidarietà ai 13 feriti. Ma non possiamo fermarci qui per provare a capire le ragioni della strage, espresse nelle rivendicazioni, e volutamente coperte dalla cortina fumogena della propaganda imperialista che la presenta quasi come un atto inspiegabile, nato dalla reazione di emarginati, dalla “radicalizzazione” di giovani islamici fanatici magari conquistati dalla propaganda sul web. E nasconde che questo atto di barbarie, come gli altri che lo hanno preceduto, è figlio di una più ampia e incancrenita barbarie: è figlio di quella guerra scatenata dai paesi imperialisti occidentali che da decenni insanguina, mette a fuoco e porta alla rovina quell'arco di paesi che va dalla Libia a tutto il Medio Oriente fino all'Afghanistan. Una guerra che continua a provocare un numero enorme di vittime civili in nome della “guerra al terrorismo” e che non è affatto finita con la fine del controllo dello Stato islamico (IS) a Mosul e Raqqa, in Iraq e Siria.
Giusto poco più di un anno fa, il 21 ottobre 2017 il presidente americano Donald Trump si diceva “felice di annunciare che le forze democratiche siriane (Fds, ndr), nostri partner nella lotta contro l'Isis in Siria, hanno riconquistato Raqqa”, una vittoria che avvicinava “la fine del califfato dello Stato islamico” e apriva “una nuova fase in cui sosterremo le forze di sicurezza locali, ci sarà una de-escalation della violenza in Siria e saranno favorite le condizioni per una pace duratura”. Una pace tanto duratura che il 15 dicembre le Fds annunciavano di avanzare “con aspre battaglie nelle strade di Hajin”, presso Deir ez-Zor nella Siria orientale dove “si trova uno zoccolo duro di diverse migliaia di esperti combattenti jihadisti di IS”. L'avanzata della Fds era coperta dall'aviazione Usa che nelle ultime settimane aveva bombardato alcuni villaggi e ucciso diversi civili. Alimentando quella spirale di guerra e attentati terroristici; per fermare gli attentati occorre cessare la guerra allo Stato islamico.

19 dicembre 2018