Senza ritegno sempre più insopportabile provocatore
Salvini abbraccia il malavitoso ultrà
Lucci è stato condannato per spaccio di droga e aggressione a un interista che perse un occhio. Il ducetto: “Io stesso sono un indagato tra gli altri indagati”
Il ministro dell'Interno deve dimettersi subito

Il 16 dicembre in occasione della festa per i 50 anni della Curva Sud del Milan organizzata dai tifosi rossoneri presso l'Arena Civica di Milano, il ducetto Matteo Salvini, ministro degli Interni a “tolleranza zero contro chi delinque” ma solo se si tratta di immigrati, è stato ripreso e fotografato da tutta la stampa nazionale mentre fraternizza amabilmente con il capo degli ultrà milanisti, Luca Lucci: un malavitoso di prim'ordine, pregiudicato, spacciatore di droga appena rimesso in libertà, già coinvolto in varie indagini sulla 'ndrangheta a Milano, con precedenti per rissa aggravata e Daspo e con una fedina penale a dir poco infamante.
Non solo. A chi si è permesso di far notare al caporione leghista, responsabile dell'ordine pubblico e della sicurezza, che la sua carica di ministro della Repubblica è a dir poco incompatibile con chi ama andare sottobraccio con certi ambienti malavitosi, Salvini, invece di vergognarsi e rassegnare immediatamente le sue dimissioni, si è addirittura vantato delle sue cattive frequentazioni e provocatoriamente ha aggiunto: "Io stesso sono indagato. Sono un indagato in mezzo ad altri indagati... Questi tifosi sono persone perbene, pacifiche, tranquille... l'ho fatto, lo rifarei... anche se questo mi comporta qualche polemica vado avanti e tiro dritto".
Insomma i “venditori di morte”, come li ha ribattezzati lo stesso Salvini, vanno “perseguiti, sbattuti in galera e va buttata via la chiave” ma solo se si tratta di immigrati; mentre con gli spacciatori italiani, in odore di 'ndrangheta e per giunta capi ultrà del Milan, come Lucci, si può andare tranquillamente a braccetto!
Un affronto al cospetto delle stesse forze di polizia e dei tantissimi magistrati che ogni giorno rischiano la vita proprio per assicurare alle patrie galere gente di malaffare come Luca Lucci.
L'ultimo atto della lunga storia criminale di Lucci contempla fra l'altro un recente patteggiamento a un anno e mezzo di carcere per spaccio di droga; pena scontata fino a poche settimane fa quando è stato rimesso in libertà. Il capo ultrà milanista infatti nel giugno scorso è stato arrestato e filmato dalla polizia in flagranza di reato mentre trattava un grosso carico di droga nei pressi del Clan di Sesto San Giovanni, locale-ritrovo degli ultras rossoneri, insieme a una banda di albanesi e calabresi intenti a spacciare oltre 600 chili di stupefacenti provenienti dai Balcani, Spagna e Sud America.
Ma il curriculum criminale di “Toro”, questo il soprannome della persona “perbene, pacifica, tranquilla” con cui il Ministro dell’Interno ama andare a braccetto, è molto più lungo e inquietante.
Ad esempio, durante il derby di Milano del 15 febbraio 2009, Lucci, diventato il capo degli ultrà rossoneri in seguito alla condanna a 3 anni e 8 mesi rimediata dal suo amico e predecessore Giancarlo Lombardi, detto Sandokan, coinvolto in un’inchiesta contro il clan mafioso dei Fidanzati (che in quegli anni, a Milano, controlla buona parte dei locali della “movida”, è stato coinvolto in una rissa da stadio durante la quale ha sferrato un pugno in faccia a Virgilio Motta, tifoso interista, spappolandogli un bulbo oculare e rendendolo per sempre cieco dall’occhio sinistro.
Quel 15 febbraio 2009 al Tribunale di Milano è di turno il giudice Celestina Gravina, che indagò sulla morte dell’avvocatessa Maria Spinella, trivellata dai colpi di una mitraglietta skorpion dal killer della ‘ndrangheta Luigi Cicalese. Dagli atti dell'inchiesta risulta che l'auto utilizzata per compiere l'omicidio era una Clio nera intestata proprio a Luca Lucci.
Durante il processo per l'aggressione a Motta, la dottoressa Gravina coglie l'occasione per chiedere a Lucci di chiarire il suo coinvolgimento nell'efferato delitto di ‘ndrangheta ottenendo però solo vaghe risposte e molti silenzi.
Il 17 luglio del 2009, il giudice Alberto Nosenzo condanna in primo grado Lucci a quattro anni e mezzo di carcere, riconoscendolo colpevole di aver materialmente sferrato il cazzotto, e stabilendo una provvisionale di 140 mila euro a titolo di risarcimento a favore del Motta.
Soldi che però la famiglia Motta non vedrà mai perché l'amicone di Salvini risulta nullatenente. Pochi anni dopo, a causa della cecità, Motta perde anche il lavoro, sprofonda in un crisi depressiva e il 24 maggio 2012 si impicca lasciando la moglie e una bambina.
E allora viene da chiedersi: conosceva Salvini la storia criminale di chi aveva di fianco? E se lo sapeva, come ha fatto a rilasciare un commento del genere? E se non lo sapeva, come può un Ministro da cui dipende la Polizia di Stato essere così sprovveduto? Possibile che, sia i suoi scagnozzi più fidati, che gli uomini della sua scorta fossero all'oscuro di tutto? Come può un ministro della Repubblica che come Mussolini proclama ordine e sicurezza a tutte le latitudini e a colpi di Daspo urbano reprime chiunque osi contestarlo pubblicamente, farsi fotografare e andare sottobraccio con gentaglia come Lucci che il primo Daspo se lo è preso fin dal 2004 in occasione della trasferta Palermo-Milan?
E soprattutto come mai l'altro ducetto a Cinquestelle Di Maio e il suo Movimento ora che sono al governo se ne stanno zitti e buoni e non si azzardano nemmeno a chiedere le “dimissioni immediate” del ministro?
I fautori della cosiddetta “terza repubblica dei cittadini” non hanno nulla da dire nemmeno alla famiglia di Virgilio Motta, completamente abbandonata dallo Stato, e ora sbeffeggiata e vilipesa dalle massime cariche istituzionali?
Insomma è proprio vero che con l'avvento del governo nero, fascista e razzista Salvini-Di Maio c'è stato un bel cambiamento: dai politici che una volta si difendevano dalle loro malefatte lasciando intendere che tutto avveniva alle loro spalle, “a mia insaputa”, siamo passati ai ministri e alle massime cariche dello Stato che addirittura si vantano di frequentare certi ambienti criminali e di essere in stretti rapporti di amicizia coi loro capibastone.

9 gennaio 2019