Un importante movimento unitario che scuote la Francia capitalista e imperialista. Ne prendano ispirazione i movimenti anticapitalisti e antimperialisti italiani
I gilet gialli non lasciano la piazza e alzano sempre più il tiro
Macron, con le spalle al muro, lancia “un grande dibattito nazionale” nel tentativo di far rientrare il movimento nel sistema capitalista e imperialista francese

 
Il 12 gennaio in Francia è stato il nono sabato di proteste consecutivo del movimento dei gilet gialli con cortei in diverse città da Parigi a Bordeaux a Bourges, nella Francia centrale facilmente raggiungibile dalle altre località. Nella capitale i manifestanti hanno cantato la Marsigliese, a Bordeaux si sono scontrati con la polizia, a Bourges dove uno dei leader del movimento nel suo discorso ha parafrasato Martin Luther King per sostenere “ho un sogno. Che questa dolce Francia si alzi in piedi unita per vivere i valori che invoca, libertà, eguaglianza, fratellanza”. Posizioni evidentemente diverse che però sono riuscite a marciare unite dietro la parola d'ordine “Macron, demission” e a dimostrare che il movimento iniziato con le manifestazioni del 27 novembre scorso contro gli aumenti dei carburanti riesce a tenere la piazza, a manifestare in città militarizzate dal premier Edouad Philippe, che ha schierato migliaia poliziotti e gendarmi, e a alzare il tiro contro la politica del governo del presidente Emmanuel Macron.
Si tratta di un importante movimento unitario che scuote la Francia capitalista e imperialista. Che non si è fermato quando Macron dopo le prime proteste ha sospeso l'inviso pacchetto di aumenti, quando intervenendo in diretta tv dall'Eliseo il 10 dicembre ha annunciato una serie di misure quali l'aumento di 100 euro del salario minimo che è di 1.184 euro netti mensili, l'abolizione di nuove tasse sulle pensioni sotto i 2 mila euro, la detassazione degli straordinari e del premio di fine anno e una rinnovata lotta all'evasione fiscale. Per alcuni dei leader del movimento dei gilet gialli tanto bastava per smobilitare, per la maggioranza no e il movimento ha costruito tramite la rete una propria piattaforma rivendicativa, che non si accontenta delle briciole concesse dal presidente, e che al momento tiene insieme le diverse anime che lo compongono e i portavoce più o meno improvvisati che si trovano alla testa delle proteste.
L'ultima offerta di Macron, ma non al movimento di lotta, era contenuta nella lettera redatta in forma di messaggio diretto alle “Care francesi, cari francesi, miei cari compatrioti” chiamati a partecipare a “un grande dibattito nazionale” su quattro punti chiave: le tasse, l'organizzazione dello Stato, la transizione ecologica, la democrazia e la cittadinanza. Macron è con le spalle al muro e lancia l'iniziativa per “costruire un nuovo contratto per la Nazione, di strutturare l'azione del Governo e del Parlamento, ma anche le posizioni della Francia a livello europeo e internazionale”. “Vi riferirò direttamente nel mese successivo alla fine del dibattito”, conclude la lettera presidenziale che è un evidente tentativo di far rientrare il movimento nel sistema capitalista e imperialista francese.
A portare in strada i gilet gialli, per la prima volta il 17 novembre, è stata la protesta montata sulla rete con l'adesione a posizioni contro il rincaro delle accise sui carburanti, contro l’aumento dei pedaggi autostradali e l’incremento del numero dei radar per le multe. Decisioni denunciate come una sorta di “tassa sui poveri” con la quale il governo metteva le mani in tasca ai milioni di pendolari costretti a fare ricorso all’automobile. Una protesta che per questo nasceva e prendeva rapidamente corpo nelle cittadine periferiche, nelle campagne, dalla Nuova Aquitania, alla Borgogna, alle Ardenne, ai Pirenei, in regioni dove alta era la partecipazione alle prime proteste e ai blocchi stradali dove la popolazione ancora di più che nelle maggiori città è colpita direttamente non solo dall'aumento del costo dei carburanti ma soprattutto dal taglio dei servizi pubblici, dai trasporti alla sanità. Quella fascia di popolazione colpita e impoverita dalla politica del governo e che vede peggiorare costantemente il proprio tenore di vita, con salari e stipendi bloccati negli ultimi dieci anni di crisi economica mentre anche il tasso ufficiale di povertà saliva negli ultimi due anni dal 14% al 17%.
 

Le rivendicazioni dei gilet gialli
La continuazione della protesta era sostenuta da un elenco di rivendicazioni che si arricchiva nel tempo. Da quelli pubblicati a inizio gennaio la lista inizia con la richiesta dell'eliminazione del crescente fenomeno dei senzatetto con una lotta senza quartiere alla povertà e comprende la richiesta di uno SMIC, il salario minimo, di 1.300 euro netti e di nessuna pensione inferiore a 1.200 euro e l'indicizzazione all’inflazione di salari e pensioni; più tasse per le grandi società capitaliste come McDonalds, Amazon e Google e meno tasse per artigiani e piccole imprese; meno contratti a tempo determinato per le grandi aziende e più contratti a tempo indeterminato; la fine della politica di austerità e recupero dei soldi per rimborsare gli interessi sul debito non dai poveri e dai meno poveri ma perseguendo gli evasori fiscali.
Il movimento chiede che il salario massimo sia fissato a 15.000 euro, di creare lavoro per i disoccupati, l'aumento dei fondi per i disabili, la limitazione del costo degli affitti soprattutto per studenti e lavoratori precari. Ma anche altre come il divieto di vendere le proprietà appartenenti alla Francia (dighe, aeroporti, ecc.) e mezzi adeguati concessi al sistema giudiziario, alla polizia, alla gendarmeria e all’esercito e che gli straordinari delle forze dell’ordine siano pagati o recuperati.
Riguardo al tema migranti le rivendicazioni partono dalla richiesta che i richiedenti asilo siano trattati bene, con alloggio, sicurezza, cibo e istruzione per i minori; sostengono la collaborazione con l’ONU affinché i campi di accoglienza siano aperti in molti Paesi del mondo, in attesa dell’esito della domanda di asilo, che i richiedenti asilo respinti siano rinviati al loro Paese di origine e che sia implementata una vera politica di integrazione intesa così: vivere in Francia significa diventare francese (corso di francese, corso di storia francese e corso di educazione civica con certificazione alla fine del corso).
Il movimento chiede la cessazione immediata della chiusura di piccole linee di trasporto, uffici postali, scuole e degli asili nido, di promuovere il trasporto di merci su rotaia; il pensionamento a 60 anni, a 55 anni per i lavori usuranti, un massimo di 25 studenti per classe dalla scuola materna alla dodicesima classe e, chiude la lista, la fine delle indennità presidenziali a vita.
Sul movimento dei gilet gialli hanno provato a mettere il cappello sia i rappresentanti della “sinistra” borghese, dai trotzkisti de La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon ai socialisti dell'ex presidente Francois Hollande, a tutti i raggruppamenti della destra, dai Républicaines di Wauquiez ai fascisti del Rassemblement National di Marine Le Pen. Componenti che sono presenti in un movimento che non ha un solo leader e ha come collante l’opposizione al governo Macron. E che ha aperto la strada a altre proteste: da quella degli studenti a quella della donne che hanno viaggiato per proprio conto, come le manifestazioni studentesche del 6 dicembre e delle numerose occupazioni di facoltà e scuole fino ai cortei di donne del 6 gennaio a Parigi, a Caen e a Tolosa dietro lo striscione “precarie, discriminate, arrabbiate, donne in prima linea” cantando “Macron sei finito, le ragazze sono piazza”.
Il 7 gennaio una delle leader che ha dato il via alla protesta con un appello in rete e considerata della parte moderata dei gilet gialli annunciava la creazione di una formazione battezzata “Les Emergents”, gli Emergenti, il cui programma avrebbe alla base una grande riforma fiscale e il “ritorno del sociale” nell'agenda politica. Altri leader hanno prima accettato e poi respinto le avances demagogiche del M5S che, in caccia di alleati per le prossime elezioni europee, proclamava la sua vicinanza al movimento mettendo a disposizione la piattaforma Rousseau per controllare il movimento. Secondo Beppe Grillo e la Le Pen quelli dei gilet gialli sarebbero “temi che abbiamo lanciato noi”. Financo l'anima nera di Trump, e dei ducetti Salvini e Di Maio, Steve Bannon ha cercato di farsi spazio fra i concorrenti che vogliono mettere il cappello sul movimento dichiarando che “i gilet gialli sono lo stesso tipo di persone che hanno eletto Donald Trump presidente degli Stati Uniti nel 2016 e lo stesso tipo di persone che hanno votato per la Brexit”.
Noi registriamo che i No Tav sulla pagina Facebook hanno definito le manifestazioni in Francia una ”rivolta popolare esempio a tutta Europa” e che intanto, in due mesi di lotta nelle strade e nelle piazze, il presidente Macron è stato costretto a fare concessioni a parte delle richieste dei gilet gialli che hanno confermato che la lotta paga e non è un esempio da poco.
Che i movimenti anticapitalisti e antimperialisti italiani prendano esempio dai gilet gialli francesi e diano vita a un movimento che dia battaglia contro il governo nero Salvini-Di Maio con la stessa determinazione e chiarezza di obiettivi dei fratelli francesi.

16 gennaio 2019