Il compromesso Lega-M5S rimanda la soluzione delle trivellazioni
Sospende per 18 mesi i permessi per la ricerca di idrocarburi ma salva le trivellazioni in corso

 
Come ormai da tempo le vicende interne al governo Lega e Cinque stelle ci hanno abituato, ecco raggiunto l’accordo anche sullo spinoso tema delle trivellazioni. Ad un lettura superficiale vi si potrebbe leggere semplicemente che la ricerca di gas e petrolio nel nostro Paese è sospesa per 18 mesi.
Approfondendo il testo del tanto discusso emendamento al disegno di legge (DDL) di conversione in legge del decreto semplificazioni però, emergono diverse questioni da trattare.
Innanzitutto la sospensione sarebbe in attesa della redazione di un piano che stabilisca quali sono le aree del territorio italiano dove sarà possibile cercare e estrarre idrocarburi e dove no; tale piano dovrà essere adottato dal Ministro dello sviluppo economico in accordo coi Comuni e le Regioni (in Conferenza Unificata).
Se l’accordo non dovesse concretizzarsi entro 18 mesi per divergenze di vedute, il Ministero avrà tutta l’autonomia per procedere autonomamente alle delibere.
 

I possibili scenari di un provvedimento inconsistente
Sostanzialmente fino a quando non sarà approvato il piano, le attività di ricerca sono ferme, ma non l’estrazione poiché lo stop colpisce soltanto i procedimenti già avviati per il rilascio di un permesso di ricerca e i permessi già rilasciati ma ai quali non si è dato via nella pratica ad attività estrattive.
Naturalmente la decisione finale dipenderà soltanto da quello che stabilirà il piano, se esso entro 18 mesi ci sarà.
Per farla più semplice, se il piano dirà che le attività di ricerca e di estrazione non sono compatibili con una specifica area territoriale, il Ministero interromperà definitivamente i procedimenti di rilascio in corso in quell’area sospesi dall’emendamento e revocherà quelli già rilasciati e nel frattempo sospesi, tuttavia le estrazioni in corso, neanche ad oggi sospese resteranno operative.
Se invece il piano darà l’ok alle attività in quel territorio, ogni attività riprenderà il suo corso concretizzando i procedimenti in via di definizione e si continuerà a estrarre senza alcun problema.
A indebolire un provvedimento che nella sostanza rimanda la questione e la sua risoluzione a un piano il cui buon esito puzza già di bruciato, ecco tutta una serie di problematiche giuridiche che con ogni probabilità potrebbero verificarsi, a partire dall’impugnazione dei provvedimenti di sospensione da parte dei colossi petroliferi dinanzi al Tar per lesione del legittimo affidamento.
Inoltre, in piena continuità coi governi precedenti, a partire dal governo della grande finanza Monti, rimane vigente la proroga automatica delle concessioni già scadute che ha come prima conseguenza il prolungamento delle estrazioni nel già devastato territorio della Val d’Agri per altri dieci anni.
La maggiore criticità a nostro avviso rimane comunque il provvedimento “a termine”, e cioè limitato ai 18 mesi, dopo i quali, nel caso il nuovo piano non dovesse essere redatto, non essendo previsto un allungamento nei termini, tutto tornerà come prima dell’emendamento.
Lo stesso accadrà anche se il futuro piano dovesse nascere ed essere bocciato per qualunque questione legale o amministrativa.
 

I ducetti alle prese con l’ennesimo gioco delle parti
Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa (indicato dal M5S) aveva più volte tuonato la sua indisponibilità a firmare la valutazione di impatto ambientale per le trivellazioni, invitando anche la maggioranza a sfiduciarlo qualora la questione fossa stata dirimente per l’unità di governo.
La bocciatura in prima assise del decreto semplificazioni bloccato in commissione dal sedicente braccio di ferro tra 5 Stelle e Lega proprio su questo argomento, fu poi risolta nella notte in un vertice con Conte quando i due ducetti trovarono convergenza sull’emendamento poi approvato.
Sempre Costa, che diceva “Io i permessi alle trivelle non li firmo, se mi sfiduciano torno a fare il comandante dei Carabinieri”, esulta come se le trivellazioni – e quindi la ricerca del fossile - fossero state definitivamente stoppate: “Provano a dire che siamo quelli del No. E invece siamo quelli del Sì: sì alle rinnovabili, sì alla green economy, sì alla tutela del territorio e del mare. Come ambientalista e da uomo dello Stato voglio e devo tutelare il Paese. Dare nuove autorizzazioni a trivellare oggi è il contrario della tutela ambientale. Non solo: è una scelta economica miope. (…) L’importante è che abbiamo iniziato un percorso con lo stile rigoroso di tutelare l’ambiente, la moratoria è già un bel passaggio ”.
Dietro alle sue dichiarazioni, naturalmente fa eco un Di Maio che oggi come mai prima pare attento ai sondaggi e a trovare posizioni che possano fargli recuperare quelle percentuali di voto perse a favore di Salvini e all’astensionismo, il tutto in previsione delle prossime elezioni regionali e soprattutto delle amministrative ed europee di maggio.
Lo dice incredibilmente Conte alla Merkel in occasione dell’ultimo summit a Davos, e ciò conferma che ogni giorno si apprezza il numero di coloro che si sentono traditi dal Movimento 5 Stelle ai quali hanno dato il proprio voto illudendosi di un cambio di rotta con la “vecchia” politica antipopolare e corrotta che invece egli sta contribuendo a rafforzare.
Di Maio, al quale non manca certo la faccia tosta, ha addirittura definito “di portata storica” il provvedimento.
Salvini di contro veste i panni di colui che ha ceduto qualcosa ma che è riuscito a tenere in vita gli interessi delle multinazionali del petrolio, alle quali chiede solo un temporaneo stop – ma solo per ulteriori profitti – in attesa di una scadenza che potrebbe sdoganare tutto ancora una volta. Dell'intero governo è dunque la scelta di non intervenire, scovando una soluzione che come sempre salvi capre e cavoli a tutte spese dell’ambiente e delle popolazioni di quei territori già altamente inquinati.
Il fascioleghista leader del Carroccio, non perde occasione per rilanciare il suo pericoloso cavallo di battaglia: “adesso cominceremo a imporre un po’ di sì, garantito. L’unico no è agli sbarchi”.
A qualificare ancor di più il ruolo della Lega, giunge in soccorso il senatore Paolo Arrigoni che sottolinea: “Grazie all’intervento della Lega sono salve le trivellazioni in corso, sia a terra che oltre le 12 miglia dalla costa. Se è vero che si sospendono le nuove ricerche, continuano le coltivazioni di idrocarburi e soprattutto di gas (…) non vengono sospesi nemmeno gli iter autorizzativi di rilascio di nuove concessioni di estrazione e abbiamo contenuto gli spropositati aumenti dei canoni al 25% contro il 35% in proposta”.
Senz’altro un bell’affare per i capitalisti del petrolio; una moratoria che in ultima analisi consente ai pentastellati di ostentare un qualche passo in avanti in ambito ambientale dopo i tradimenti del TAP e dell’utilizzo dei fanghi industriali in agricoltura, ed al Carroccio di tenere in mano la bandiera del SI servile alle multinazionali ed alle altre grandi opere, con forza rilanciate.
 

Le reazioni del mondo ambientalista
Pressoché tutte le grandi associazioni ambientaliste sostengono che, seppur si tratti di un primo, piccolo, passo in avanti, il percorso per rendere l'Italia libera dalle trivelle ha bisogno di interventi più incisivi.
Greenpeace, Legambiente e WWF Italia, da un lato ammiccano una strizzatina d’occhio verso il governo poiché dichiarano di “apprezzare” la definizione di un Piano per la transizione energetica e l’aumento dei canoni annuali delle concessioni, mentre dall’altro ribadiscono che si sarebbero aspettati segnali chiari sul superamento dei meccanismi automatici di autorizzazione unica ai “progetti sperimentali” per le trivellazioni nella zona offlimits del Golfo di Venezia, nonché sulla eliminazione della franchigia d’esenzione dal pagamento delle royalties che permane, poi sull’introduzione di valutazioni sul “pericolo di incidente rilevante” e sul divieto di utilizzo dell’airgun nelle attività d’esplorazione.
Relativamente poi alla franchigia che rimane in essere, è bene ricordare che l’Italia è considerata universalmente un “paradiso fiscale” per le aziende petrolifere. Nel nostro Paese a mare non si pagano le royalty (10%) entro 80.000.000 Smc (metri cubi standard di Gas), e entro 50.000 tonnellate di petrolio, mentre a terra l’esenzione è applicata entro 25.000.000 Smc ed entro 20.000 tonnellate di petrolio.
Ciò ha comportato, come rilevato nel 2015 dal WWF, che su 123 concessioni operanti delle 202 presenti in terra e in mare, in Italia solo 30 superavano la franchigia . Tra il 2017 e i primi tre trimestri del 2018 la franchigia è stata applicata al 27% della produzione italiana di gas offshore e al 22% circa della produzione offshore di petrolio. 
Infine non bisogna dimenticare che il governo continua a erogare 16 miliardi di euro di sussidi ambientalmente dannosi, a partire da quelli per le fonti fossili, che da tempo tutto il mondo ambientalista chiede sia cancellato.
 

Pesanti critiche dal Coordinamento No Triv
Il Coordinamento No Triv, già promotore nel 2016 di alcuni quesiti referendari per fermare le trivellazioni in mare, va ben oltre le posizioni delle grandi associazioni ambientaliste e si dichiara invece profondamente deluso ma per nulla sorpreso.
Attraverso un comunicato stampa all’indomani dell’approvazione dell’emendamento, oltre alle precedenti critiche, il Coordinamento individua nei contenuti del decreto in ambito di trivelle un “dato politico”, sostenendo che sul rapporto Stato-Regioni, unito alle proroghe automatiche, M5S e Lega si schierano nel campo opposto rispetto a No Triv.
“La scelta dei proponenti dimostra apertamente quanto distanti siano le forze governative dalla cultura e dalle posizioni del Coordinamento No Triv, in particolare per quanto riguarda la concezione politica dei rapporti Stato-Regioni, che nonostante i proclami resta fortemente centralista, nonché per quanto riguarda le proroghe automatiche e il divieto di nuove attività petrolifere entro le 12 miglia marine.”
Sul delicato tema del Piano delle Aree (ora PTESAI), i No Triv rilevano la presenza di due emendamenti, diversi ed alternativi tra loro, ma vergati dalle stesse penne, accusando i Cinque stelle di essere colpiti dalla "sindrome del Dottor Jekyll e Mister Hyde", dei quali il primo, poi pubblicato, tradisce completamente l'originaria proposta referendaria No Triv, sostenuta anche da Lega e Cinque Stelle.
Nell’emendamento 6.0.25, pubblicato il 12 gennaio, la Conferenza Unificata è stata sostituita dalla Conferenza Stato-Regioni e ciò vuol dire che agli Enti locali sarà impedito di partecipare all’elaborazione del Piano; non si sospendono poi i procedimenti in corso in attesa che il Piano venga elaborato e non è previsto neanche un termine entro il quale il Piano debba essere adottato.
Quest’ultimo punto è particolarmente delicato poiché, anche in considerazione del fatto che i procedimenti in corso non saranno sospesi, la dice lunga su che fine rischia di fare il Piano. Date le premesse dunque, l’ipotesi del nulla di fatto è altissimo.
Anche sulla questione Airgun, i No Triv sono pesantemente critici; quello che nasce come l’emendamento “bandiera” dei 5 Stelle, nella sostanza viene definito “un emendamento blocca-niente” con queste parole: “Ebbene, non ci si faccia trarre in inganno dal giro di parole che fa l’emendamento! Ad essere sottoposti nuovamente a VIA e a VAS saranno solo quei permessi di ricerca per i quali è stato previsto l’utilizzo della tecnica dell’airgun e non tutti i permessi di ricerca nè tutte le concessioni esistenti in Italia.” In sostanza in tutta Italia parliamo di appena una decina di casi.
 

L’opportunismo consolida gli interessi dei petrolieri
Noi concordiamo con le conclusioni dei No Triv poiché è evidente che gli emendamenti al DL Semplificazioni non danno seguito alle richieste più importanti del fronte No Triv che noi in ambito referendario sostenemmo con forza.
Il fatto che anche Lega e Movimento fecero parte di quel fronte referendario conferma la politica delle “giravolte” di cui sono maestri soprattutto i Cinque Stelle del ducetto di Maio che ha cambiato posizione praticamente su tutto; stavolta questo compromesso consente ai pentastellati di vantarsi di aver ottenuto il blocco delle domande di nuove ricerche, e alla Lega, di aver evitato di bloccare del tutto l’industria estrattiva.
La realtà però è quella ampiamente illustrata in questo articolo: il provvedimento non ha fatto altro che consolidare questo tipo di estrazione fossile e perpetuare e tutelare gli interessi delle multinazionali dell’energia, a parte qualche piccolo ritocco ai canoni, con i profitti salvaguardati dalla franchigia.
Tutto ciò, unito alle contraddizioni sul futuro Piano delle Aree, fa intravedere all’ennesimo giro di giostra, non la “soluzione” – che non giungerà mai col perdurare del capitalismo – bensì un nuovo compromesso al ribasso tra i due azionisti di questo nero governo Salvini-Di Maio.
 

6 febbraio 2019