A tre anni dall'assassinio del giovane ricercatore
In cento piazze d'Italia per la verità per Giulio Regeni
I genitori: “L'Italia ritiri l'ambasciatore, dichiari l'Egitto un paese non sicuro”

 
Lo scorso 25 gennaio in oltre 100 piazze italiane migliaia di luci si sono accese in altrettante fiaccolate, cortei, manifestazioni che si sono svolte in occasione del terzo anniversario della sparizione di Giulio Regeni al Cairo. Il giovane ricercatore universitario infatti fece perdere le sue tracce il 25 gennaio 2016 e il suo corpo martoriato fu ritrovato il 3 febbraio successivo alla periferia della metropoli egiziana.
Le manifestazioni sono state indette da Amnesty International Italia, e hanno avuto una grande partecipazione ovunque: a Roma la fiaccolata si è svolta in piazza Montecitorio, con l’adesione della Federazione nazionale della stampa italiana, Ordine dei giornalisti, Articolo 21 e UsigRai, a Milano la fiaccolata si è svolta in piazza della Scala, a Napoli in piazza del Gesù, mentre a Torino si è svolta una manifestazione all’Università.
Analoghe iniziative si sono svolte a Fiumicello (la cittadina friulana dove era nato Giulio), e poi a Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Cagliari, quindi in altre città italiane da nord a sud della penisola come Aosta, Bolzano, Trento, Trieste, Verona, Rovigo, Brescia, Ravenna, Pesaro, Ancona, Perugia, Pescara, Formia, Termoli, Barletta, Agrigento, e tante altre città.
Innumerevoli iniziative si sono inoltre svolte in centinaia di istituti scolastici italiani, mentre a Potenza, a causa dell’intensa nevicata, la manifestazione si è svolta il 3 febbraio, anniversario del ritrovamento del corpo di Giulio.
Il filo conduttore delle manifestazioni è stata la richiesta alle autorità italiane di obbligare il governo egiziano a fare piena luce sulla morte del giovane ricercatore, soprattutto alla luce del fatto che in questi tre anni il regime egiziano retto dal dittatore fascista Abd al-Fattah al-Sisi ha sistematicamente ostacolato le indagini della Procura di Roma sull’omicidio che, con ogni evidenza, è stato perpetrato dagli stessi apparati di sicurezza di quel Paese, che allo stesso al-Sisi rispondevano e tuttora rispondono, e che avevano spiato, controllato e pedinato Regeni prima del suo brutale assassinio.
L’indignazione ha raggiunto il suo culmine quando alla manifestazione di Fiumicello i genitori del giovane ricercatore hanno chiaramente detto: “L'Italia ritiri l'ambasciatore, dichiari l'Egitto un paese non sicuro”.
Già il nostro giornale, in un articolo apparso a p. 9 del numero del 9 febbraio 2017, denunciava un anno dopo la morte del giovane friulano che “Regeni fu assassinato dal regime egiziano”, e due anni più tardi le conclusioni alle quali anche la magistratura italiana è giunta sono del tutto identiche: infatti continuano ad aumentare giorno dopo giorno precisi indizi sul ruolo dei servizi segreti interni egiziani in relazione alla morte del ricercatore.
Il quotidiano “La Repubblica” ha recentemente rivelato testimonianze di agenti e ufficiali della National Security Agency (Nsa) messe agli atti dell'inchiesta della Procura di Roma con tanto di prove di tabulati telefonici, da cui emerge come la Nsa, su segnalazione del capo degli ambulanti del Cairo, avesse spiato, pedinato e controllato per almeno una settimana il giovane italiano fino al 25 gennaio 2016, quando ufficiali di quella struttura contattarono un capo di polizia distrettuale proprio all'ingresso della stazione della metropolitana in cui Regeni sparirà poche ore dopo.
Le autorità egiziane sono state sulla vicenda estremamente ambigue sin dall’inizio: inizialmente incolparono una banda criminale locale specializzata in rapimenti di stranieri, i cui membri furono uccisi dalla polizia egiziana, ma in seguito le forze di sicurezza locali riferirono di aver trattenuto Regeni il giorno in cui sparì: a questo punto gli indizi raccolti dalla procura di Roma, che portavano a precise responsabilità della Nsa, si rivelarono talmente gravi che dopo il decimo incontro fra magistrati inquirenti italiani ed egiziani, svoltosi al Cairo il 28 novembre 2018, si apprese che i magistrati della Procura di Roma avrebbero iscritto nel registro degli indagati almeno cinque ufficiali dei servizi segreti civili egiziani con l’ipotesi di reato, peraltro assai meno grave rispetto all’omicidio, di sequestro di persona.
Gli ufficiali della Nsa iscritti nel registro degli indagati dai magistrati romani sono il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal, il maggiore Magdi Sharif e l’agente Mhamoud Najem.
Ciononostante la Procura generale egiziana fece sapere di non poter mettere sotto accusa i pubblici ufficiali egiziani finiti sono indagine né di poterli sottoporre ad alcuna misura cautelare, e tantomeno consegnarli all’Italia, e ciò non solo perché in Egitto manca un istituto analogo al registro degli indagati ma anche perché, secondo la procura generale di quel Paese, non vi sarebbero indizi di colpevolezza tali per poter istruire un valido processo, neppure per il reato di sequestro di persona.
Eppure in un comunicato congiunto, subito dopo l’incontro dello scorso 28 novembre, le due procure affermarono: “Le parti hanno riaffermato la determinazione a proseguire le indagini e incontrarsi nuovamente nel quadro della cooperazione giudiziaria, sino a quando non si arriverà a risultati definitivi nell'individuazione dei colpevoli dell'omicidio di Regeni”. Ma è chiaro che se a parole la magistratura egiziana fa capire di voler collaborare, i fatti concreti la smentiscono, e fatti concreti sarebbero la messa a disposizione, quantomeno in territorio egiziano, dei cinque indagati al fine di consentire ai magistrati italiani di procedere al loro interrogatorio.
La magistratura egiziana, a parole, ha portato come esempio di collaborazione la consegna, nel dicembre 2017, del fascicolo giudiziario che la famiglia Regeni aveva sin dall’inizio reclamato e l'analisi dei video della metropolitana della capitale egiziana, che comunque non ha dato risultati di rilievo, ma quando si è trattato di consentire alla Procura di Roma di dar seguito ai propri atti di indagine, essi sono stati ritenuti non pertinenti e comunque non rilevanti per risalire alle responsabilità.
I vari governi italiani, da quando è stata diffusa la messinscena del ritrovamento del corpo martoriato del giovane ricercatore italiano, non hanno mosso un dito contro governo egiziano: non lo fecero i governi Renzi e Gentiloni e non lo sta facendo l’attuale governo Conte, nel quale il ministro dell’Interno Salvini ci ha abituati quotidianamente alle sue comparsate in divisa con la quale, vigliaccamente, vuole spacciarsi forte con i deboli come i migranti disperati e debole con i poteri realmente forti, come quello del regime fascista di al-Sisi: occorre invece che il governo italiano interrompa subito tutte le relazioni diplomatiche e tutti gli accordi economici, politici e militari con il governo egiziano, promuova azioni in tutte le sedi internazionali per accusarlo di violazione dei diritti umani e gli applichi le relative sanzioni, e pretendere che altrettanto facciano le autorità dell’Unione Europea.
 

6 febbraio 2019