Giù le mani dell'imperialismo americano dal Venezuela
Uniamoci e lottiamo perché il popolo italiano sostenga il governo di Maduro
Maduro: “Io scelgo il dialogo ma non permetteremmo che venga toccato un solo palmo del nostro territorio. Tutto dipende dal livello di follia e di aggressività degli imperialisti del nord e dei loro alleati occidentali”. Trump: “Tutte le opzioni sono sul tavolo, anche quella militare”
Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna riconoscono il golpista Guaidò al servizio di Trump. Mattarella sulla stessa linea

 
Nel corso di una intervista alla rete televisiva Cbs del 3 febbraio il presidente americano Donald Trump, rispondendo ad una domanda sulla possibilità che gli Stati Uniti considerino l'uso della forza in Venezuela, affermava che “questo non lo voglio dire” ma l'intervento militare “è certamente un'opzione”. Tutte le opzioni sono sul tavolo, era il minaccioso e inaccettabile ritornello che ripetevano da tutte le tribune disponibili il vicepresidente Mike Pence e il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton che pochi giorni prima si era presentato a un incontro coi giornalisti mostrando “casualmente” il suo blocco per appunti dove spiccava la frase manoscritta “5.000 soldati in Colombia”. Erano i momenti in cui Trump in una serie di tweet aveva salutato le “grandi proteste in tutto il Venezuela” contro Maduro, sostenuto che “la lotta per la libertà è cominciata” e confermato di aver avuto un colloquio telefonico con il golpista presidente ad interim venezuelano Juan Guaidó “per congratularsi con lui per la sua storica conquista della presidenza e rafforzare il già forte sostegno degli Stati Uniti”. Il sostegno alla creatura politica costruita a Washington e lanciata nel paese sudamericano con l'autoproclamazione di Guaidó del 23 gennaio che ha aperto il tentativo di abbattere il legittimo governo del presidente Maduro; una operazione spacciata dall'imperialismo americano e dai suoi seguaci occidentali come una” lotta per riconquistare la democrazia”, quando l'azione della Casa Bianca punta invece a mettere le mani sul Venezuela e sulle sue fonti energetiche, scalzando i concorrenti imperialisti Cina e Russia presenti nel paese.
La risposta del presidente venezuelano Nicolas Maduro, che il 2 febbraio era intervenuto alla grande manifestazione popolare in suo sostegno a Caracas, era affidata a interviste a diverse reti televisive spagnole alle quali ribadiva che era pronto a sedersi al tavolo dei negoziati con l'opposizione per porre fine alla crisi politica del paese ma avvertiva che “io scelgo il dialogo ma non permetteremmo che venga toccato un solo palmo del nostro territorio. Tutto dipende dal livello di follia e di aggressività degli imperialisti del nord e dei loro alleati occidentali”. "Noi semplicemente viviamo nel nostro Paese - affermava Maduro - e chiediamo che nessuno intervenga nei nostri affari interni. Ci stiamo preparando a difendere il nostro Paese”; ”la gente si sta già armando. L’opzione militare è sul tavolo di Trump. Cosa dovrebbe fare un paese, arrendersi?”, sosteneva il presidente venezuelano che ammoniva Trump a fermarsi, a non intervenire altrimenti gli Usa “avranno un Vietnam peggiore di quanto si possa immaginare”; denunciava infine che gli Usa “vogliono tornare a un Ventesimo secolo di colpi di Stato militari, di governi fantoccio subordinati a loro e di saccheggio delle nostre risorse naturali, proprio come hanno fatto in Iraq e Libia”.
In questa partita noi stiamo con il legittimo governo venezuelano, diciamo “Giù le mani dell'imperialismo americano dal Venezuela” e lanciamo la parola d'ordine “Uniamoci e lottiamo perché il popolo italiano sostenga il governo di Maduro”.
A fianco dell'imperialismo americano erano scesi in campo a fine gennaio diversi governi imperialisti europei capeggiati dalla Francia di Macron e dalla Spagna del socialista Pedro Sánchez che pur alla guida di un esecutivo di minoranza Madrid rispolverava l'arroganza del lungo periodo di colonizzazione spagnola sul Venezuela (fra la fine del XV e gli inizi del XIX secolo) e pretendeva di dettare i tempi della soluzione alla crisi. Il 4 febbraio annunciava in una conferenza stampa il
riconoscimento di Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela e che “nelle prossime ore mi metterò in contatto con i governi europei e latinoamericani che vogliono unirsi a questo riconoscimento. Guaidó deve convocare il prima possibile elezioni libere perché il popolo del Venezuela deve poter decidere del proprio futuro. La comunità internazionale dovrà rispettare il risultato e verificare questo processo”. La posizione espressa dalla Spagna era quella concordata con Francia, Gran Bretagna, Svezia, Germania e Austria e presentata il 26 gennaio da Macron con un inaccettabile ultimatum: “se non saranno annunciate elezioni entro otto giorni, saremo pronti a riconoscere Guaidó come 'presidente in carica' del Venezuela”. “Il popolo venezuelano deve poter decidere liberamente il suo futuro”, era il ritornello ipocrita ripetuto da Macron e dagli altri paesi imperialisti che hanno scelto di stare dalla parte del golpista.
In un'intervista all'agenzia di stampa russa Ria del 30 gennaio, Maduro rispondeva che “sarebbe molto positivo organizzare elezioni parlamentari anticipate, sarebbe una buona forma di discussione politica, una buona soluzione con il voto popolare” ma respingeva le elezioni presidenziali: “si sono tenute meno di un anno fa, dieci mesi fa. Non accettiamo gli ultimatum di persone nel mondo, non accettiamo il ricatto. Le elezioni presidenziali in Venezuela ci sono state e se gli imperialisti vogliono nuove elezioni, che aspettino fino al 2025".
L'opposizione venezuelana manovrata dagli Usa respingeva ogni proposta di dialogo, vuole la testa di Maduro. Intanto intascava però la bocciatura dell'Onu con la respinta della sua richiesta di aiuti umanitari; l'Onu collabora solo con il governo riconosciuto del paese, quello guidato dal presidente Maduro, spiegava il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres nella lettera spedita a Guaidó. Gli oltre venti paesi che al momento hanno riconosciuto il golpista venezuelano non sono sufficienti a validarlo in sede Onu.
La “destituzione” del presidente venezuelano era praticata dal Parlamento europeo che il 31 gennaio approvava con 439 voti a favore, 104 contrari e 88 astensioni, una risoluzione a favore del riconoscimento di Guaidó che invitava le istituzioni Ue e gli Stati membri a fare lo stesso. Il documento non era vincolante, a renderlo operativo ci penseranno i paesi i autori dell'ultimatum a Maduro. Anche perché sempre il 31 gennaio i ministri degli Esteri della Ue riuniti a Bucarest non trovavano l'unanimità sul riconoscimento del golpista Guaidò, il rappresentante italiano era tra i contrari, e potevano solo annunciare la creazione di un “gruppo di contatto” col compito di “accompagnare il processo democratico del Paese”. La prima missione del gruppo, composto dai rappresentanti di Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito è in programma per il 7 febbraio a Montevideo per l'incontro con i rappresentanti di Bolivia, Costa Rica, Ecuador e Uruguay. L'alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, dichiarava che i lavori del gruppo termineranno fra 90 giorni se non avranno raggiunto risultati; ner caso, minacciava la Mogherini, saranno possibili altre sanzioni economiche contro il governo di Caracas.
La posizione del governo italiano a Bucarest era spiegata dal sottosegretario agli Esteri M5S Manlio di Stefano col fatto che l'Italia non riconosce Guaidò: “siamo totalmente contrari al fatto che un Paese o un insieme di Paesi terzi possano determinare le politiche interne di un'altra nazione, si chiama principio di non ingerenza”. Una posizione che cozzava contro quella del fascista Salvini da sempre schierato con Trump e contro “Maduro dittatore”. A segnare l'ennesima capitolazione del M5S all'alleato leghista ci pensava Luigi Di Maio spiegando che “visto che siamo già stati scottati dalle ingerenze in altri Stati, non vogliamo arrivare al punto di riconoscere soggetti che non sono stati votati” e con la consueta tattica di dire tutto e il contrario di tutto nella stessa frase aggiungeva che “per questo non riconosciamo neppure Maduro” dopo aver sostenuto che “il cambiamento lo decidono i venezuelani”.
Si faceva sentire anche il governo Conte che con una nota di Palazzo Chigi precisava che il nostro Paese “appoggia il desiderio del popolo venezuelano di giungere nei tempi più rapidi a nuove elezioni presidenziali libere e trasparenti, con un percorso pacifico e democratico, nel rispetto del principio di autodeterminazione”. Detto in altre parole era come dire Maduro vattene, lo stesso concetto espresso dal presidente Sergio Mattarella che allineava l'imperialismo italiano alla posizione di quello europeo: “tra Venezuela e Italia il legame è strettissimo, questa condizione ci richiede senso di responsabilità e linea condivisa con tutti i nostri alleati e i nostri partner europei. Non ci può essere incertezza o esitazione sulla scelta tra volontà popolare e richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della forza e le sofferenze della popolazione civile”.
L'ingerenza della Ue negli affari interni del Venezuela era condannata dal governo di Caracas che in una nota del 4 febbraio denunciava che alcuni governi europei si erano ufficialmente inchinati alla strategia del golpe promosso dagli Usa e preso una posizione che viola i principi e la pratica che governano le relazioni diplomatiche e che al momento costituisce un “pericoloso precedente”. Una posizione appoggiata da Mosca col ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, che sosteneva che “è incredibile come l'intera Unione europea si sia di nuovo schierata in modo obbediente dietro gli Stati Uniti e abbia iniziato a porre ultimatum, sostenendo che le elezioni che hanno portato il presidente Maduro a un secondo mandato erano illegittime. Gli Stati Uniti non fanno mistero del fatto che vogliono ottenere un cambio di regime a qualunque costo”; il 4 febbraio Lavrov ammoniva gli Usa a fermare l'escalation interventista militare: “se usa in Venezuela la forza, Trump mina tutti i principi di base del diritto internazionale”.
Chiudiamo con questa dichiarazione del presidente Maduro del 3 febbraio. “Il futuro della Patria si decide oggi, o lasciamo che ci trasformino in una stella della bandiera imperiale, oppure difendiamo con dignità il nostro tricolore nazionale con le sue 8 stelle. Proteggiamo il Venezuela con il coraggio, la forza e la lealtà che abbiamo ereditato dal Gran Maresciallo Sucre”, sosteneva riferendosi a Antonio José de Sucre, il generale e uomo politico venezuelano che partecipò alle insurrezioni contro i colonialisti spagnoli in Venezuela del 1811 e del 1813 e alla guerra di liberazione dei popoli della regione con Simon Bolivar, guadagnandosi nel 1826 l'elezione di presidente a vita di quel territorio che corrisponde all'odierna Repubblica di Bolivia.

6 febbraio 2019