Il governo Conte non alza un dito per impedire il trasferimento del marchio in Turchia
Chiude la Pernigotti
Senza lavoro 92 dipendenti e un centinaio di interinali

Chiude i battenti la storica fabbrica di cioccolato Pernigotti. L'azienda era stata fondata nel lontano 1860 e il suo marchio è molto conosciuto, anche fuori dall'Italia. Adesso 92 dipendenti più un centinaio di interinali si ritrovano sul lastrico, senza lavoro e senza reddito.
L'unico sostegno economico sarà la cassa integrazione per cessazione di attività per 12 mesi, reintrodotta dal governo con il “decreto Genova” (era stata tolta da Renzi con il Jobs Act) dopo la lotta dei lavoratori della Bekaert contro la chiusura dello stabilimento di Figline Valdarno (FI). Si tratta in ogni caso di un provvedimento tampone e di breve durata che tra l'altro non interesserà quel centinaio di lavoratori a tempo determinato che veniva costantemente impiegato dalla Pernigotti e che potranno contare solo per qualche mese sull'assegno di disoccupazione.
Il gruppo turco Toksöz aveva rilevato il marchio dalla Famiglia Averna (la stessa dell'omonimo amaro ) nel 2013 e nonostante le promesse fatte al momento dell'acquisizione, ha iniziato fin da subito a smantellare la parte produttiva. La crema spalmabile e i famosi gianduiotti già si producono nel Paese mediorientale. Questo ha danneggiato anche gli agricoltori piemontesi che fornivano le nocciole per il cioccolato gianduia.
L'azienda di Istanbul ha optato per chiudere la storica fabbrica di Novi Ligure (AL) e lasciare gli uffici e la parte amministrativa di Milano dove sono impiegate una cinquantina di persone con il mantenimento del marchio e della rete commerciale, che servirebbe dunque a vendere prodotti fatti in Turchia.
Comprensibili la rabbia e le critiche degli operai che per tre mesi, con freddo pioggia e neve hanno mantenuto il loro presidio permanente davanti allo stabilimento piemontese. Intervistati da Canale 5 hanno dichiarato: “non siamo stupidi, abbiamo sentito tante belle parole dal Ministro Di Maio quando è venuto qui, ma poi quando c'era da metterci la faccia non è nemmeno venuto al tavolo"
L'ultima richiesta di lavoratori e sindacati era che Toksöz vendesse assieme allo stabilimento il marchio, mantenendone la continuità per favorire una nuova acquisizione. Proprio sulla questione del marchio si è giocata buona parte della vertenza, sulla quale erano giunte le rassicurazioni del governo Conte e del Ministro Di Maio in particolare, ma solo a parole.
A inizio 2019 il vice-premier era giunto a Novi Ligure e con i cioccolatini in mano aveva tuonato: “sono qui in fabbrica a dire che la battaglia continua e che i lavoratori avranno al loro fianco il Governo tutto, il Mise, perché facciamo sul serio, il marchio deve essere garantito”.
Di Maio aveva promesso misure forti per la salvaguardia del Made in Italy: ”si chiamerà Pernigotti. Nascerà una legge che si chiamerà così e nel futuro obbligherà i marchi italiani a produrre sul territorio italiano". “Tutto dipende dal fattore tempo -aveva continuato- e io ho garantito ai lavoratori che hanno paura di perdere il posto di lavoro che, se ci sarà bisogno di più tempo, lo prenderemo".
Ma evidentemente aveva altro da fare, come ad esempio incontrare demagogicamente i “Gilet gialli” e acuire la crisi diplomatica con la Francia invece di preoccuparsi di salvare l'azienda con i suoi posti di lavoro.
L'unica misura presa è la messa a punto di un “piano di reindustrializzazione”, vago e fumoso, con la Regione Piemonte che attiverà un “piano di politiche attive”. Come per altre misure governative (pensioni, reddito di cittadinanza, decreto “dignità”) la montagna ha partorito il topolino.
 
 

13 febbraio 2019