Gli industriali caseari pagano una miseria il latte
Tutta la Sardegna con la rivolta delle pastore e pastori sardi
Salvini scavalca Conte, ma il pre-accordo non trova consensi

 
Le problematiche legate al prezzo del latte ovicaprino sardo non sono certo una novità, e le sue soluzioni rimangono sempre aperte, poiché le numerose trattative che si sono susseguite negli anni hanno avuto come unico risultato soltanto accordi “tampone” che non hanno portato nel tempo ad alcun risultato concreto e definitivo.
Il 7 di febbraio l’ennesimo tavolo di trattativa, convocato dalla giunta Regionale al fine di trovare un nuovo accordo fra pastori e industriali di prodotti caseari sul prezzo al litro da riconoscere ai primi, è definitivamente saltato.
La conseguente rivolta è rimbalzata immediatamente su tutti i media; non era inaspettata ma senz’altro ha avuto uno sviluppo senza precedenti per capillarità e portata.
Infatti, subito dopo il termine del vertice cagliaritano, tutte le autobotti che trasportavano latte verso i caseifici sono state bloccate sulla statale 131, che collega Cagliari a Sassari, e migliaia di litri di prodotto sono stati sversati sulla carreggiata, tagliando in due l’intera regione e paralizzando il traffico per un paio d’ore.

Le iniziative di lotta si moltiplicano
Nei giorni successivi la protesta è dilagata nel nuorese, area di grande concentrazione di aziende agropastorali, ed in particolare ad Orune e Macomer dove gli slogan degli allevatori hanno preso di mira, oltre agli industriali, anche la giunta regionale di centro-sinistra che non si è sufficientemente impegnata per far riconoscere il rialzo dei prezzi del latte richiesto.
Poi ancora blocchi stradali con sversamenti di latte a terra – simbolo di questa protesta - si sono tenuti ad Oristano quando anche gli studenti hanno appoggiato le iniziative dei pastori, manifestando con loro in segno di solidarietà e facendo capire che la questione latte in Sardegna è un problema di tutti i sardi, direttamente o indirettamente coinvolti in questa devastante corsa al ribasso dei prezzi.
A Nuoro alcuni commercianti hanno lanciato lo slogan “io sto con i pastori”, chiudendo le serrande dei propri negozi; in seguito è stata organizzata una manifestazione di piazza in loro solidarietà.
A Nunghedu sono stati gli uffici comunali a chiudere sempre in segno di solidarietà con la lotta, mentre nel nord della Sardegna altri blocchi hanno interessato le principali arterie che collegano Alghero a Sassari e Porto Torres; gli stessi blocchi si sono registrati anche a Capoterra (CA), Tralias, Villacidro, Ballao, Suelli, Bonorva ed in tanti altri luoghi ancora.
A Burcei, una trentina di uomini incappucciati, dopo aver accerchiato un’autobotte, hanno aperto le valvole e sversato circa tremila litri di latte sulla strada. A Dorgali invece la cooperativa di pastori locale ha regalato ricotte alle famiglie del paese.
Oltre alle quotidiane e ripetute iniziative di blocco stradale che si susseguono da giorni, la minaccia del Movimento è quella di bloccare i seggi elettorali aperti il 24 febbraio prossimo per il rinnovo della giunta regionale, indicata quale principale responsabile della situazione.
Sulla scia di ciò che sta succedendo in queste ore in Sardegna, anche le aziende agropastorali di Toscana, Lazio e Umbria, si interrogano sulle azioni da portare avanti per ottenere una migliore remunerazione del latte ovicaprino, che nel centro Italia oscilla tra gli 80 e i 90 centesimi a litro, prezzo comunque considerato troppo basso, in linea col minimo fissato dal movimento sardo di un euro netto al litro.
Nei pressi di Radicofani (Siena), infatti i pastori hanno dato inizio alla mobilitazione bloccando e svuotando un camion cisterna pieno di latte, bloccando così il Rally della Val D'Orcia.

Il Movimento dei Pastori Sardi
Seppur le proteste siano sorte spesso spontaneamente e senza una regia precisa, l’organizzazione di riferimento rimane il Movimento dei Pastori Sardi (MPS) nato negli anni Novanta alla conclusione di una manifestazione organizzata dalla Coldiretti a Cagliari per il rafforzamento del sindacato, ma che di fatto non fu di nessuna utilità per la categoria pastorale.
In questa circostanza, un gruppo di giovani pastori, delusi dall’ennesimo epilogo negativo, decisero di continuare la loro battaglia da soli, dando vita ad un movimento autonomo, disposto a lasciare le proprie campagne ed a scendere in piazza “affinché venga dato il giusto riconoscimento al proprio lavoro senza l’intervento di intermediari che si accontentano delle “piccole briciole” concesse dai politici del momento”, come si legge dal loro profilo facebook.
Il leader del movimento è esso stesso un pastore, Felice Floris, proprietario di una azienda di 600 pecore, nel 1993 candidato con il Partito Repubblicano e nel 2000 con il movimento indipendentista Sa Mesa de sos Sardos Libero (Il Tavolo dei sardi liberi). La prima iniziativa di rilievo del MPS si registra nel 2010 quando trenta pastori a cavallo, seguiti da oltre diecimila di loro, invasero Cagliari ancora una volta per il basso prezzo del latte riconosciuto dagli industriali caseari ai pastori.
Nel 2010 un litro era remunerato 0,65 euro e la rabbia dei pastori esplose: 42 assemblee spontanee in poche settimane ed il movimento registrò l’adesione di oltre 500 iscritti. Da allora il movimento ha registrato numerose altre proteste (blocchi stradali, aeroportuali, incursioni sui traghetti ecc.) dall’esito altalenante, ma la costante è sempre stata una trattativa con la controparte disposta unicamente a riconoscere soluzioni economiche “tampone” e mai risolutive dei rapporti commerciali fra le parti.
Il Movimento dei Pastori Sardi è gemellato con il Movimento dei Forconi costituito dagli agricoltori siciliani che scese in piazza nel 2013.

Le rivendicazioni del MPS
Il settore della pastorizia in Sardegna è in contrazione da decenni: dal 1982 al 2010 ben 6.886 aziende pastorali sono sparite (-35%). I dati dal 2010 al 2018 confermano questo trend, con il “contributo” aggiuntivo della crisi del capitalismo mondiale, che ha portato gli industriali a contrarre i prezzi del latte riconosciuti ai produttori per tenere alti i propri profitti.
Ancora oggi oltre l’80% delle aziende pastorali sarde fanno latte per produrre il Pecorino Romano, che a sua volta rappresenta l’81,54% dei pecorini DOP prodotti in Italia ed il 52% di quelli Ue. Praticamente un’attività storica e tradizionale, sostanzialmente monotematica in Sardegna in ambito rurale, che risulta essere la prima attività economica dell’intera isola, dalla quale dipendono pertanto i destini di migliaia di famiglie ormai in grande difficoltà.
Ad aggravare le condizioni sempre più difficili dei pastori e dei lavoratori del settore della pastorizia, hanno contribuito anche gli investimenti per adeguare le loro imprese alle nuove esigenze richieste dal “mercato”, quali la razionalizzazione produttiva ed i sistemi di controllo e verifica della qualità che le hanno pesantemente indebitate.
Oggi un litro di latte viene pagato ai pastori 0,58 centesimi, meno ancora che nel 2010. Il problema dunque è sempre lo stesso e, nonostante l’avvicendarsi dei governi nazionali e regionali, da allora non è cambiato nulla; rimangono sempre inascoltate le richieste di interventi per gestire le giacenze di latte e formaggio evitando crolli dei prezzi, così come la ridefinizione dei rapporti commerciali fra produttori ed industria, ad oggi totalmente sbilanciata verso gli interessi di quest’ultima.
Nello specifico, la piattaforma rivendicativa del movimento datata 2012 rimane sempre valida e prevede la richiesta di un contributo di 15.000 euro annui per azienda produttrice attraverso l’inserimento nella lista dei comuni “svantaggiati” di tutti gli altri comuni di produzione acquisendone il diritto; la rimodulazione del Piano di Sviluppo Rurale riconoscendo il ruolo sociale del pastore come presidio territoriale in tutela del patrimonio ambientale; il ritiro immediato delle eccedenze del pecorino romano da parte delle istituzioni regionali, affiancato da un impegno specifico degli industriali in merito al prezzo del latte della prossima campagna lattiero casearia per portare i prezzo netto da riconoscere ai produttori ad 1 euro a litro; l’individuazione di mercati alternativi; impedire a coloro che hanno ricevuto agevolazioni di trasformare il latte ovicaprino in prodotti derivati alternativi come altri tipi di formaggi, ricotte, panna ecc. e all’utilizzo dei propri impianti per lo stoccaggio e la bonifica del latte da esportazione; limitare i contributi ai soli produttori diretti; l’abbattimento dei costi del trasporto del latte applicando la continuità territoriale già riconosciuta dalla comunità europea; ridurre i costi di alimentazione del bestiame attraverso incentivi per incrementare la coltivazione di foraggere; la ristrutturazione dei debiti delle aziende produttrici nei confronti delle banche; la realizzazione di mattatoi comunali o di mattatoi mobili coordinati dagli stessi produttori, la moratoria per almeno due anni dei contributi previdenziali come avvenuto in Francia e, in ultimo, la costituzione di una società partecipata per lo sviluppo delle energie rinnovabili al fine di investire per poi abbattere i costi energetici puntando in particolare sul fotovoltaico.

Salvini si intesta il negoziato con i produttori
Pochi giorni dopo l’inizio delle proteste, Conte e il ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio hanno programmato un tavolo al quale “per la prima volta parteciperanno anche gli allevatori”, come dichiarava con boria il primo ministro. Il leader dei pastori però affermava di essere ancora molto lontani dalla soluzione: “Il governo ha dato un segnale di attenzione però ci servono risposte in tempi brevi. Per questo i presidi si intensificheranno nei prossimi giorni: noi non molliamo”.
Il 14 febbraio, come c’era da aspettarsi, ecco che Salvini ha convocato un vertice al Viminale con Centinaio e l’MPS, annunciando opportunisticamente che non si sarebbe alzato dal tavolo finché il prezzo del latte non fosse arrivato a un euro.
In realtà ai produttori sono stati proposti 44 milioni di euro per il ritiro di 67.000 quintali di formaggio in eccedenza sul mercato, ritenuti la causa del ribasso dei prezzi: 14 milioni dal Governo, 10 dal Ministero, 10 dalla Regione e 10 dal Banco di Sardegna. Il ritiro dovrebbe far salire il prezzo del pecorino e di conseguenza del latte, che nel tempo dovrebbe raggiungere gradualmente il prezzo di un euro al litro richiesto dai pastori.
Il “no” secco dell’MPS all’ennesima soluzione che non risolve il problema alla radice, ha offerto un assist al ducetto leghista che si è fatto portavoce autonomo di una proposta di aumento immediato a 70 centesimi al litro fino ad un euro entro tre mesi che però è stato ritenuto anch’esso poco credibile, oltre che insufficiente, a fronte degli atteggiamenti tenuti da sempre dall’industria casearia e dalla loro proposta inamovibile di pochi giorni prima che fissava come tetto massimo il possibile aumento del prezzo a 65 centesimi di euro, ritenuta dai pastori una “inaccettabile elemosina”.
Il rifiuto dei pastori è giustificato anche dall’assenza di interventi strutturali di riorganizzazione della filiera del latte che confermano l’ennesima proposta di soluzione tampone senza alcuna prospettiva certa. La trattativa continuerà in Sardegna alla presenza del ministro Centinaio e probabilmente anche di Salvini, poiché il vicepremier che si arroga il ruolo del premier, vi si trasferirà per tutta la prossima settimana nel pieno della campagna elettorale.
Dunque, ora Salvini seppur senza risultati e con un dichiarato ottimismo che cozza con l’insoddisfazione dei produttori del latte che per ora restano sul piede di guerra, si accolla le proteste degli stessi pastori sardi che nel 2010 furono pesantemente bastonati dalla polizia del suo amico di Partito Maroni, allora Ministro degli Interni, all’arrivo nel porto di Civitavecchia dal quale in 300 volevano recarsi al Ministero per protestare.
In quella occasione il cordone della polizia rispose all’ordine del ministro che aveva intimato “A Roma non devono arrivare”, picchiando, respingendo e di fatto sequestrando anche donne e bambini all’interno del porto.

Solidarietà alle pastore ed ai pastori sardi in lotta
La vicenda che vede le allevatrici e gli allevatori ovicaprini in Sardegna in lotta contro il loro sfruttamento non può che trovarci convintamente dalla loro parte. Siamo di fronte a una normale conseguenza dei rapporti di produzione e di mercato e, nei fatti, all’ennesima crisi di sovrapproduzione e di ricerca del massimo profitto – seppur in uno specifico settore - che rimangono capisaldi imprescindibili del capitalismo.
La causa stessa dell’abbassamento dei prezzi non è “naturale” o incontrollabile, poiché risponde effettivamente alle due questioni appena espresse: nel 2018 a fronte di un piano di programmazione che prevedeva in terra sarda la produzione di 280 mila quintali di pecorino romano, ne sono stati prodotti 340 mila determinando una conseguente riduzione dei prezzi sia del formaggio stesso, sia del latte, poiché su di esso si scaricano i costi aggiuntivi necessari al mantenimento dei profitti degli industriali che producono e commerciano il prodotto. Esattamente lo stesso processo che vede in generale l’attacco ai diritti, ai salari del quale soffrono costantemente gli operai e tutta la massa lavoratrice di ogni azienda.
È il capitalismo stesso che ha ridotto gli introiti peggiorando decisamente le condizione di vita dei produttori diretti, in questo caso dei pastori sardi, in passato benestanti ed indipendenti, oggi sotto attacco al pari delle masse lavoratrici ugualmente sfruttate e vittime del profitto.
È dunque la cosiddetta “economia di mercato” la causa principale del basso prezzo del latte che genera ulteriore povertà, sfruttamento e ricatto in una terra già colpita da questi fenomeni e non meno da una questione ambientale sempre più sull’orlo del tracollo.
Tutti coloro che oggi paiono muoversi dalla parte dei pastori, siano essi di maggioranza o di opposizione istituzionale, sono in realtà coloro che mantengono in vita questo sistema e che lo rafforzano con ogni loro legge o provvedimento.
Le pastore e i pastori risolveranno definitivamente le loro problematiche se saranno capaci di rimanere indipendenti senza cedere alle sirene di qualsiasi schieramento politico borghese, e di unirsi nel fronte comune con la classe operaia e le grandi masse popolari, che sono le prime vittime come loro del capitalismo, degli effetti della sua grave crisi economica e finanziaria e delle sue dinamiche attuali.
Per i motivi suddetti, gli industriali caseari e il governo non hanno altra strada che soddisfare le richieste delle pastore e dei pastori sardi.

20 febbraio 2019