Conferenza di Varsavia promossa dagli Usa
L'imperialismo americano e i sionisti, razzisti e nazisti israeliani uniti per imporre la loro “pace” e “sicurezza” nel Medioriente
Il governo Salvini-Di Maio a rimorchio di Trump
Vertice di Sochi tra Putin, Erdogan e Rohani sulla Siria

 
I rappresentanti di oltre 60 paesi hanno partecipato alla Conferenza sulla stabilità e la sicurezza in Medio oriente voluta dall'imperialismo americano che si è tenuta il 13 e 14 febbraio a Varsavia dove, secondo il segretario di Stato americano Mike Pompeo, “abbiamo detto all'unisono che bisogna aumentare la pressione sull'Iran”, anche se “diversi Paesi possono arrivare a diverse conclusioni”. “L'Unione europea e gli Stati Uniti condividono l'opinione sulla situazione in Medio Oriente e sull'impatto negativo dell'Iran, ma hanno visioni diverse su cosa fare e come farlo”, sintetizzava il ministro degli Esteri polacco Jacek Czaputowicz, mentre il premier sionista Benjamin Netanyahu parlava di “svolta storica” perché nella capitale polacca aveva potuto incontrare importanti paesi arabi e discutere assieme della minaccia iraniana.
Nel corso della sua visita in Bahrein, a metà gennaio, Pompeo aveva annunciato che la Conferenza di Varsavia doveva trattare il tema della stabilità, la pace e la sicurezza in Medio Oriente, e anche le modalità per impedire all’Iran di proseguire la sua influenza “destabilizzante” sulla regione. Detto nella visita a Manama, in un paese a maggioranza sciita e retto da una dittatura della monarchia sunnita protetta dai carri armati sauditi che nel febbraio 2011 spensero la primavera araba nel paese, dava il segnale del cuore del progetto di Trump: pur annunciando il ritiro dell'imperialismo americano da Afghanistan e Siria la Casa Bianca non ha affatto intenzione di lasciare il campo alle rivali, all'imperialismo russo nello specifico, e sollecita casomai un contributo maggiore ai paesi imperialisti alleati nella preparazione della guerra contro la Repubblica islamica dell'Iran, il bersaglio principale individuato dal presidente americano fin dal suo primo viaggio diplomatico nella regione, a Ryad, una volta considerata quasi chiusa la partita con lo Stato islamico.
Con la Turchia del dittatore Erdogan passata, seppur non definitivamente, nel campo imperialista guidato dalla Russia di Putin e a fianco dell'Iran nella guerra in Siria, e coi paesi reazionari arabi divisi dopo che il Qatar aveva affiancato la Turchia nelle ingerenze in Libia, Siria e Egitto e allacciato rapporti commerciali con l'Iran, l'intervento dell'imperialismo americano ha puntato a rinserrare le file a partire dalla sua alleanza sempre più stretta coi sionisti, razzisti e nazisti di Tel Aviv per imporre la loro “pace” e “sicurezza” nel Medioriente. Tanto più che sono oramai maturati i tempi dell'intesa alla luce del sole tra i regimi di Tel Aviv e quelli reazionari di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, finora tenuti dietro le quinte; il rapporto dei sionisti con l'Egitto è consolidato nella gestione della repressione dei diritti e del popolo palestinese anche se il dittatore Al Sisi gioca coi piedi in due staffe, tiene la porta aperta con Mosca e non pare entusiasta della costituzione dell'alleanza militare araba, la cosiddetta Nato araba, che doveva essere costruita per combattere il terrorismo, leggi lo Stato islamico, e l'Iran.
L'alleanza militare dei paesi arabi, l’Alleanza strategica del Medio Oriente (MESA), sembra non aver fatto passi avanti a Varsavia dove gli Usa hanno dovuto prendere atto anche della diversa posizione dei paesi europei, niente affatto contenti di essere tirati per i capelli nell'embargo e nello scontro con l'Iran, col quale vogliono anzi mantenere i rapporti economici. L'imperialismo americano nella guerra all'Iran può contare per il momento sul boia Netanyahu e Ryad e non aveva certo bisogno della conferenza per saperlo, voleva scuotere i partner europei e intanto trascinarli nel rigetto dell’Accordo sul Nucleare Iraniano (JCPOA) del 2015 e nell'applicazione delle sanzioni a Teheran e per questo ha scelto la Varsavia del nuovo fedele alleato nella Nato e contro la Russia.
L'imperialismo Usa è nel pieno dell'attacco al Venezuela di Maduro e prepara contemporaneamente una nuova guerra nell'area mediorientale, o comunque agita i pugni e chiede assistenza agli alleati imperialisti; una conferma di come “Trump ha ristabilito la leadership americana sulla scena mondiale”, spiegava a Varsavia il vice presidente Mike Pence che sottolineava l'importanza di “questa conferenza storica, una testimonianza che è iniziata una nuova era”, che vede assieme “vecchi nemici” che trovano un terreno comune nella guerra al terrorismo islamico in Medioriente. Gli Usa inizieranno il ritiro delle truppe dalla regione e lasceranno il compito di finire il lavoro ai partner ma “questo è un cambio di tattica, non un cambio di missione. Gli Stati Uniti manterranno una forte presenza nella regione” teneva a precisare Pence. Non c'erano dubbi, ma il vice presidente americano ribadiva che “il presidente Trump è un leader che cerca di guidare il mondo libero attraverso la forza” e ripeteva che “rimarremo sempre con i nostri alleati e difendere i nostri valori”. A partire dall'alleato per eccellenza, i sionisti di Tel Aviv con i quali andare all'attacco dell'Iran, seppur il lavoro per cancellare la presenza dello Stato islamico nella regione non sia ancora finito, ribadiva Pence.
Nelle quinte di Varsavia si è parlato anche del fantomatico piano di pace Usa per la questione palestinese, il cosiddetto “Accordo del secolo”, che l'inviato per il Medio oriente di Trump, il genero Jared Kushner, alla fine di febbraio porterà nella missione nei paesi arabi del Golfo Persico ma che sembra non sarà reso noto che dopo le elezioni anticipate a Tel Aviv del 9 aprile. Non vedo l'ora di vederlo, gongolava Netanyahu, perché, come denunciavano i palestinesi il piano prevederebbe il riconoscimento ufficiale dell’occupazione sionista di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. D'altra parte disinnescare mina della questione palestinese, non riconoscendo i diritti del popolo e continuando a tenere a libro paga i collaborazionisti del presidente Abu Mazen, è precondizione per aprire la guerra all'Iran con le retrovie più sicure.
Dalla Conferenza gli Usa non ottenevano invece, almeno al momento, i risultati sperati coi paesi europei che non li hanno seguiti nella disdetta dell’accordo sul programma nucleare iraniano e sulle sanzioni. La distanza tra le due parti era segnata dall'assenza dei rappresentanti di alto livello dei maggiori Paesi europei con l'eccezione della Gran Bretagna, presente col ministro degli esteri Jeremy Hunt, e l'Italia presente col ministro Enzo Moavero Milanesi; un conferma che in questo caso il governo Salvini-Di Maio è a rimorchio di Trump tanto che, assieme alla Grecia di Tsipras, ha smesso di acquistare petrolio iraniano nonostante siano gli unici Paesi dell'Ue esentati temporaneamente dalle sanzioni.
L'Ue mantiene l'impegno di sostenere il JCPOA, condizionato “dalla piena attuazione da parte dell’Iran dei suoi obblighi nel settore nucleare” e anzi Francia, Germania e Gran Bretagna hanno recentemente annunciato la creazione di Instex (Instrument in Support of Trade Exchanges), un sistema di pagamento per gli scambi con l’Iran che aggira le sanzioni americane non usando il sistema bancario americano e il dollaro per non incorrere nella rappresaglia minacciata da Trump. INSTEX avrà sede a Parigi, sarà diretto da un banchiere tedesco e da un consiglio di sorveglianza con sede in Gran Bretagna. Voluto dall’Alto Rappresentante Federica Mogherini, Instex è aperto a tutti i membri Ue.
Se il gruppo imperialista a guida Usa si riuniva a Varsavia, quello che opera in concorrenza in Medioriente guidato dalla Russia si riuniva il 14 febbraio a Sochi per l'ennesimo vertice nel quadro degli accordi di Astana per la spartizione della Siria.
Il presidente della Repubblica islamica dell'Iran Hassan Rouhani, il presidente della Federazione russa Vladimir Putin e il Presidente della Repubblica di Turchia Recep Tayyip Erdogan riuniti a Sochi, rendeva noto la dichiarazione congiunta, non riuscivano ancora a sciogliere il nodo della restituzione del controllo della regione di Idlib, oggi in mano alle milizie delle opposizioni comprese quelle filoturche, al regime di Damasco mentre almeno formalmente trovavano l'intesa contro i curdi siriani alleati di Trump e dichiaravano di respingere “tutti i tentativi di creare nuove realtà sul terreno con il pretesto di combattere il terrorismo e espresso la loro determinazione a schierarsi contro programmi separatisti volti a minare la sovranità e l'integrità territoriale della Siria, nonché la sicurezza nazionale dei paesi limitrofi”, mettendo una pietra sopra ai propositi autonomisti o federalisti curdi.
Per non essere fraintesi ribadivano in un altro passaggio del comunicato che in merito alla situazione nel nord-est della Siria decidono “di coordinare le loro attività per garantire sicurezza, sicurezza e stabilità in questo settore, compresi gli accordi di cooperazione, rispettando la sovranità e l'integrità territoriale del paese”. La Turchia non deve mettere piede nelle regioni curde della Siria dell'est dicono Mosca e Damasco che sembra si siano già dimenticate del cantone curdo di Afrin occupato dalle milizie di Ankara, a mettere il morso ai curdi ci pensiamo noi. Come dichiarava Putin “comprendiamo la necessità di garantire la sicurezza della Turchia lungo i suoi confini meridionali” e “crediamo che l'integrità territoriale della Repubblica araba siriana sarà assicurata con l'eliminazione della minaccia terroristica (leggi curdi, ndr) evidenziata dal Presidente della Turchia”. I tre presidenti ritenevano positivo l’annunciato ritiro delle forze americane dalla Siria, non dicevano una parola sulle continue aggressioni dei sionisti di Tel Aviv.
Proprio l'11 febbraio il regime di Damasco aveva denunciato il lancio di quattro missili da parte di un drone israeliano contro un ex ospedale e una postazione militare a Quneitra nell'estremo sud siriano. E mentre il viceministro degli Esteri di Mosca chiedeva la fine degli attacchi israeliani in Siria, Netanyahu non li negava oltre l'evidenza come fino a poco tempo fa e anzi li rivendicava e li difendeva come attacchi necessari “contro l’Iran e i suoi tentativi di stabilire la sua presenza nell’area”.
Il progetto dell'imperialismo americano e degli alleati sionisti, razzisti e nazisti israeliani uniti per imporre la loro “pace” e “sicurezza” nel Medioriente è già attivo con gli attacchi militari di Tel Aviv alle forze filoiraniane o ai libanesi di Hezbollah che hanno supportato l'intervento diretto della Russia che ha tenuto in piedi il regime di Assad. La coalizione regionale imperialista che dovrà riempire il buco lasciato dai marines americani parte a ranghi più ridotti del previsto, ma intanto è partita. E Netanyahu da Varsavia ha portato a casa anche un ulteriore passaggio per l'ingresso dei sionisti nel gruppo reazionario e fascista europeo di Visegrad, chi si assomiglia si piglia, preparando l'incontro a Gerusalemme est col leader ceco Andrej Babis, lo slovacco Peter Pellegrini, l’ungherese Viktor Orban e il polacco Mateusz Morawiecki per discutere di azioni comuni su flussi migratori, sicurezza e antiterrorismo, senza dimenticare il ruolo attuale e quello futuro dell’Europa. Anche se il vertice è poi stato annullato a seguito delle dichiarazioni del neoministro israeliano degli Esteri che ricordava le responsabilità della Polonia nell'Olocausto nazista.
 

20 febbraio 2019