Guerra fredda tra i due paesi imperialisti che progettano nuovi missili
Usa e Russia si ritirano dal trattato sulle armi nucleari

 
“Per troppo tempo la Russia ha violato il trattato sulle forze nucleari a medio raggio impunemente, sviluppando segretamente e schierando un sistema missilistico proibito che pone una minaccia diretta ai nostri alleati e alle nostre truppe all'estero”: così sosteneva l'1 febbraio il segretario di Stato americano Mike Pompeo annunciando formalmente il ritiro degli Stati Uniti dal trattato Inf (Intermediate Range Nuclear Forces) con la Russia firmato alla Casa Bianca l'8 dicembre 1987 dagli allora presidenti Usa Ronald Reagan e dell'Urss Michail Gorbaciov; quel trattato che eliminava i missili balistici e da crociera, lanciati da terra con armi nucleari e con gittate tra i 500 e i 5.000 chilometri e le loro relative infrastrutture schierati in Europa dalle due superpotenze, e che viene ritenuto come uno dei segnali della fine della cosiddetta Guerra Fredda, lanciata 40 anni prima dall'imperialismo americano contro l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche di Stalin. La disdetta americana era già stata annunciata lo scorso ottobre dal presidente Donald Trump che ha riaperto la guerra fredda tra i due paesi imperialisti.
Un trattato che Mosca ha violato per anni, sosteneva Pompeo, appoggiato dagli alleati imperialisti come aveva confermato alcuni giorni prima, il 26 gennaio, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg: “tutti gli alleati concordano che Mosca stia violando l'accordo e l'hanno invitata a conformarsi”. Il segretario di Stato americano dichiarava la disponibilità della Casa Bianca a discutere il tema del controllo delle armi nucleari, considerando che ci vorranno almeno sei mesi prima che sia effettivo il ritiro degli Usa. Una proposta più formale che sostanziale dato che gli incontri sul tema che ci sono già stati fra le due parti nel mese di dicembre non hanno prodotto un bel nulla mentre il Cremlino faceva sapere a tambur battente che non erano certo maturi i tempi per riprenderli. Certo per Donald Trump vale la regola di buttare all'aria gli accordi internazionali multilaterali per rinegoziarli a vantaggio dei più forti Usa, vedi l'esempio del Nafta sul commercio con Canada e Messico disdetto e riscritto come Usmca. Non è detto che sia possibile per Washington portare a casa un risultato su materie che non riguardano tariffe e scambi commerciali come nel caso delle armi nucleari, le contraddizioni sulle prime possono arrivare alle guerre commerciali, come quelle in atto tra gli Usa e la Cina o quelle minacciate dagli Usa alla Ue, le seconde in caso di non accordo portano alla guerra vera e propria. In ogni caso questa è la pericolosissima strada sulla quale si è messo Trump nel voler prendere di petto la principale potenza imperialista concorrente sul piano militare, la Russia di Putin. Stesso discorso vale anche seguendo un altro ragionamento che porta allo scontro tra Usa e Cina: il trattato Inf segnava una tregua tra le due superpotenze che allora si contendevano il dominio del mondo, oggi non è più adeguato ai tempi perché la partita più grossa si giocherà non tra Washington e Mosca ma tra Washington e Pechino.
Non per nulla, fanno sapere fonti dell'amministrazione Usa, una volta usciti dall'Inf il Pentagono dislocherà altri missili con testate nucleari in Asia, financo i vecchi Tomahawk in Giappone e nella base americana di Guam, per fronteggiare le forze miliari cinesi nell'area. Senza dimenticare naturalmente la dislocazione di missili in Europa.
Intanto la Russia rispondeva per le rime per bocca del presidente Vladimir Putin che il 2 febbraio si presentava col ministro degli Esteri Serghiei Lavrov e con il ministro della Difesa Serghiei Shoigu per annunciare che anche Mosca si ritirava dall'accordo. Ciononostante non dispiegheremo missili a corta o media gittata se appariranno in Europa o in altre regioni del mondo, assicurava il “pacifista” Putin, “non ci faremo trascinare in una costosa corsa agli armamenti”. Detto ciò, anticipava che la Russia accettava la sfida e era pronta a sviluppare nuovi razzi.
Come se non fossero sufficienti gli ammodernamenti all'arsenale convenzionale russi che hanno portato alle nuove armi ipersoniche, un drone sottomarino ed altri sistemi all’avanguardia presentati in pompa magna da Putin nel marzo 2018.
Pechino si teneva in disparte e interveniva con una nota del ministero degli Esteri per sollecitare “Stati Uniti e Russia a risolvere in modo adeguato le differenze attraverso un dialogo costruttivo”.
Stando ai dati ufficiali l'accordo tra Reagan e Gorbaciov entrato in vigore nel 1988 avrebbe portato alla distruzione di 2.692 missili, 846 americani e 1.846 russi. Si trattava comunque di lanciatori terrestri di testare nucleari, quelli portati su navi, sottomarini e bombardieri non venivano toccati. La ricerca e costruzione di nuove armi nucleari non si fermava certo per il trattato Inf, né per i successivi Start che riguardavano le limitazioni dei missili a lungo raggio, e procedeva fra bombardieri invisibili e testate nucleari miniaturizzate che venivano sviluppate dalle due parti. Una realtà ben lontana dallo spacciato disarmo nucleare delle potenze imperialiste. Non sposta di una virgola il fatto se sia stata per prima Mosca, come denunciava già Obama nel 2014, a violare l'accordo per intimidire i paesi dell'est Europa annessi alla Ue e alla Nato con la messa in campo del missile 9M729, un gioiello della tecnologia russa utilizzato dal sistema d’arma Iskander-K. Mosca sosteneva che il missile non violava il trattato Inf e che aveva una portata di 470 chilometri, inferiore al limite dei 500 chilometri, mentre il ministro della Difesa russo rigirava l'accusa su Washington per avere già iniziato da due anni i preparativi della produzione dei missili a corto e medio raggio, banditi dal trattato, nello stabilimento della Raytheon a Tucson, in Arizona.
Il terzo incomodo, il socialimperialismo cinese, sta intanto marciando a tappe forzate per adeguare lo strumento militare alla posizione di potenza economica di prima grandezza. Nel corso degli ultimi dieci anni il governo di Pechino ha finanziato lo sviluppo, la produzione e l'installazione di diversi missili a medio raggio a “protezione” delle sue vie navali commerciali nel Pacifico occidentale. Hanno preoccupato seriamente il Pentagono i successi dei recenti test cinesi sul vettore a medio raggio DF-26, chiamato significativamente “Guam killer” perché in grado di colpire l'isola con la base americana.
Comunque la si metta il ritiro dal Trattato Inf deciso dagli Usa, seguiti a ruota dalla Russia, apre le porte ad una nuova corsa agli armamenti nucleari e moltiplica i pericoli di guerra.

20 febbraio 2019