1919 – 2 marzo – 2019
Viva la Terza Internazionale
Centenario dell’Organizzazione del movimento comunista mondiale diretta da Lenin e Stalin

Cento anni fa, il 2 di marzo del 1919 a Mosca, nasceva la Terza Internazionale (IC). Un’esperienza storica fondamentale per quanto riguarda la costruzione del Partito del proletariato, la lotta contro il capitalismo e per il socialismo, la lotta contro il revisionismo di destra e di “sinistra”.
Il Programma dell’IC, varato nel 1928, definì così il suo posto nella storia del movimento operaio: “L’Internazionale comunista, raggruppando gli operai rivoluzionari, che guidano milioni di oppressi e sfruttati contro la borghesia e i suoi agenti ‘socialisti’ altro non è che l’erede storica della ‘Lega dei Comunisti’ e della I Internazionale, che operarono sotto la guida diretta di Marx, e l’erede delle migliori tradizioni di anteguerra della II Internazionale. La I Internazionale gettò le basi ideali della lotta internazionale proletaria per il socialismo; la II, nel suo periodo migliore, preparò il terreno per una estesa e massiccia diffusione del movimento operaio. La III continuò l’opera della I e, valorizzando gli insegnamenti della II, ruppe decisamente con l’opportunismo, con il socialsciovinismo, con la caricatura borghese del socialismo dando l’avvio della pratica della dittatura del proletariato”.
Fu in definitiva il risultato della lunga lotta dei suoi principali artefici, Lenin e i bolscevichi russi, contro il riformismo e il revisionismo dei capi della II Internazionale, per la purezza del marxismo, per la vittoria dei principi ideali e organizzativi del marxismo-leninismo su scala internazionale, per il trionfo dell’internazionalismo proletario. Come indicò Lenin, “l’importanza storica mondiale della III Internazionale, dell’Internazionale comunista, sta nell’aver cominciato a tradurre in pratica la più grande parola d’ordine di Marx, la parola d’ordine che riassume il secolare sviluppo del socialismo e del movimento operaio, la parola d’ordine che si esprime nel concetto di dittatura del proletariato” (“La III Internazionale e il suo posto nella storia” -1919-).
Essa rivestirà per decenni un posto fondamentale nella storia del movimento comunista mondiale che ripercorriamo nella mirabile sintesi espressa dal Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, nel Rapporto dell’Ufficio politico al II Congresso del PMLI, svoltosi a Firenze dal 6 all’8 novembre del 1982: “Il filo rosso della storia del movimento comunista internazionale è dato dalla continuità che va da Marx a Mao e i Partiti autenticamente marxisti-leninisti… La storia del movimento comunista internazionale è divisa in quattro fasi. La prima fase – quella della I Internazionale (1864-1876) – gettò le basi ideologiche ed organizzative per lo sviluppo del movimento comunista internazionale e marcò le posizioni del marxismo rispetto all’anarchismo, il socialismo utopistico e pre-marxista e il blanquismo. Questa fase porta l’impronta di Marx e Engels. La seconda fase – quella della II Internazionale (1889-1914) che è stata fondata sotto l’influenza di Engels – sviluppò in estensione il movimento comunista internazionale ma ne abbassò il livello rivoluzionario. L’opportunismo e la socialdemocrazia dopo la morte di Engels (1895) presero il sopravvento, in coincidenza del fatto che il mondo attraversava un periodo di relativa calma e la lotta era concentrata per lo più sul piano parlamentare. Lenin si eresse a difesa del marxismo e combattè apertamente contro questi revisionisti che dichiaravano che il marxismo era ‘incompleto’ e ‘superato’. In particolare egli li attaccò duramente alle Conferenze di Stoccarda e Copenaghen per le loro posizioni socialscioviniste, poco prima della prima guerra mondiale.
La terza fase inizia con la Rivoluzione d’Ottobre (1917), attraversa la III Internazionale (1919-1943) creata da Lenin, l’Ufficio di informazione dei Partiti comunisti (5/10/47-17/4/56) creato da Stalin e si conclude col XX Congresso del PCUS (1956) e con le Conferenze di Mosca del '57 e del '60, che rappresentano le ultime occasioni che vedono ancora insieme i Partiti autenticamente comunisti e i partiti sedicenti comunisti in realtà revisionisti… La quarta fase è stata inaugurata da Mao con la lotta contro il revisionismo moderno… Egli fa il bilancio storico della dittatura del proletariato, elabora la grande teoria della continuazione della rivoluzione nelle condizioni della dittatura del proletariato, lancia, dirige e conduce alla vittoria la Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina che è l’applicazione concreta di questa nuova teoria marxista-leninista, indica i lineamenti di fondo della linea generale del movimento comunista internazionale… ristabilisce la verità marxista sulle menzogne e le falsificazioni revisioniste, rianima i comunisti di tutta la Terra, incoraggia il proletariato dei paesi capitalisti e revisionisti a intraprendere lotte rivoluzionarie per la propria emancipazione, sollecita i popoli e le nazioni oppresse a gettarsi coraggiosamente nelle fiamme della guerra popolare per la liberazione nazionale”.
 

Perché è stata costituita
La nascita dell’IC fu determinata da fattori storici oggettivi e preparata dal corso generale dello sviluppo del movimento operaio e socialista. Tradita dai suoi dirigenti opportunisti, la II Internazionale aveva subito un profondo tracollo nell’agosto 1914 allorché ci fu da decidere quale atteggiamento avere verso la prima guerra mondiale imperialista ormai impellente. Dividendo la classe operaia, i socialdemocratici svelarono la loro natura socialsciovinista, chiamando gli operai dei paesi in guerra a uccidersi tra loro, a collaborare con la “propria” borghesia e contemporaneamente a osservare la “pace civile” all’interno dei propri paesi, a rifuggire dalla lotta per gli interessi economici e politici del proletariato, ossia dalla lotta per il socialismo.
Per ottenere una vera unità internazionale del proletariato occorreva un deciso distacco dall’opportunismo, formando una nuova organizzazione in sostituzione di quella esistente ormai in bancarotta.
Fu grazie al Partito Operaio Socialdemocratico russo (Bolscevico) diretto da Lenin, che partì l’iniziativa di costituire l’IC. Già il 1° novembre del 1914 Lenin, esule in Svizzera, delineava con estrema chiarezza il ruolo della nuova Internazionale come espressione di una fase più matura del processo storico: “Nell’ultimo terzo del secolo XIX e all’inizio del secolo XX la Seconda Internazionale ha compiuto la sua parte di utile lavoro preparatorio, di organizzazione delle masse proletarie nel lungo periodo ‘pacifico’ della più crudele schiavitù capitalistica e del più rapido progresso capitalistico. Alla Terza Internazionale spetta il compito di organizzare le forze del proletariato per l’assalto rivoluzionario contro i governi capitalistici, per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, per il potere politico, per la vittoria del socialismo”.
Nei suoi scritti “La guerra e la socialdemocrazia russa”, “Il fallimento della II Internazionale”, “Il socialismo e la guerra”, “La situazione e i compiti dell’Internazionale socialista”, “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo” e in molti altri Lenin elaborò le basi ideologiche e organizzative, sulle quali doveva nascere la nuova Internazionale. Nonostante le difficoltà della guerra e il diffondersi dello sciovinismo, Lenin riuscì nelle conferenze di Zimmerwald (1915) e Kiental (1916) a ottenere la scissione degli internazionalisti rivoluzionari dai socialsciovinisti e a porre le basi per un’unità internazionale sotto la guida della sinistra zimmerwaldiana. Purtuttavia le due Conferenze, la cui maggioranza era rappresentata da centristi favorevoli alla riappacificazione con i socialsciovinisti e la ricostituzione della II Internazionale, non accettarono le parole d’ordine bolsceviche sulla trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile e sulla creazione della III Internazionale.
Fu la vittoria della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre a dimostrare al proletariato di tutti i paesi la giustezza del marxismo-leninismo. Essa innalzò la bandiera dell’internazionalismo proletario, incitò il proletariato dei paesi capitalistici e i popoli sfruttati delle colonie e delle semi-colonie alla lotta decisiva per la propria liberazione, influenzando e approfondendo la crisi generale del capitalismo e del suo sistema coloniale.
Il rafforzamento delle posizioni marxiste-leniniste era accompagnato da una profonda crisi della socialdemocrazia. In quest’opera di chiarificazione, grande importanza ebbero, ancora una volta, i discorsi e le opere di Lenin, tra le quali la “Lettera agli operai americani”, “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”, “Lettera agli operai d’Europa e d’America”. Smascherando l’opportunismo e il centrismo, questi interventi aiutarono gli internazionalisti, che intensificarono la propria azione nei partiti socialisti, fino a dare vita a partiti comunisti. Nel 1918 si formarono in Austria, Germania, Polonia, Ungheria, Finlandia e Argentina.
All’inizio di gennaio del 1919 si tenne l’assemblea dei rappresentanti di otto partiti e organizzazioni comuniste. Su proposta di Lenin fu presa la decisione di rivolgersi ai partiti proletari rivoluzionari con la richiesta di prendere parte alla conferenza costitutiva dell’IC. Nell’appello, pubblicato il 24 gennaio 1919, “Lettera di invito per il I Congresso dell’Internazionale comunista”, si formulava la piattaforma della nuova organizzazione internazionale: “Il gigantesco e rapido sviluppo della rivoluzione mondiale, che pone sempre nuovi compiti; il pericolo che la rivoluzione venga soffocata dagli stati capitalistici, che mascherano la loro lotta sotto l’ipocrita bandiera dell’‘unione dei popoli’ propagandata dalla Società delle Nazioni; i tentativi da parte dei partiti socialdemocratici di mettersi d’accordo e, ‘perdonandosi’ l’un l’altro, di aiutare i propri governi e le proprie classi borghesi per ingannare ancora una volta la classe operaia; la grande esperienza rivoluzionaria, infine, che si è venuta a creare e l’internazionalizzazione di tutto lo sviluppo rivoluzionario sono tutti motivi, che c’impongono di prendere l’iniziativa e di mettere all’ordine del giorno la convocazione di un congresso internazionale dei partiti proletari rivoluzionari”.
Messi in allarme dalla possente crescita internazionalista rivoluzionaria e dalla formazione dei partiti comunisti i capi socialdemocratici giocarono la carta della Conferenza di Berna, 3-10 febbraio 1919, per ridare vita alla morente II Internazionale, dichiarando che la Rivoluzione d’Ottobre era una deviazione dai principi della democrazia e invocando la liquidazione della dittatura del proletariato in Russia. Gli sforzi dei rinnegati e traditori Henderson, Kautsky, Vandervelde, Jouhaux e di altri leader socialdemocratici risultarono vani. La nascita di un vero centro del movimento operaio internazionale era ormai un fatto irreversibile.
 

La storia
 
Coerentemente ad una visione che faceva dei paesi europei capitalisticamente avanzati il centro motore del processo rivoluzionario, Lenin aveva sperato in un primo tempo che fosse possibile tenere l’assise da cui doveva nascere la nuova Internazionale in Germania o in Olanda, un progetto che non ebbe seguito per insuperabili difficoltà di ordine logistico e organizzativo, tanto che fu a Mosca, nelle sale del Cremlino, che il 2 marzo 1919 si aprirono i lavori della conferenza comunista internazionale con un discorso tenuto da Lenin. Vi parteciparono 35 delegati con voto deliberativo, in rappresentanza di 19 partiti o organizzazioni, e 19 delegati con voto consultivo, in rappresentanza di altri 16 gruppi.
Inaugurata con una divisione sui tempi della formazione della nuova Internazionale, il delegato tedesco Eberlein aveva ricevuto precise indicazioni da Rosa Luxemburg, punto di riferimento ancora oggi di vari gruppi trotzkisti come “il manifesto”, di opporsi ad ogni tentativo immediato di fondazione del nuovo organismo trovando una certa eco all’interno del gruppo dirigente bolscevico, particolarmente in Bucharin, tanto che il proposito che Lenin e Zinoviev avevano nutrito di trasformare la conferenza in congresso costitutivo sembrò in un primo tempo accantonato, la stessa conferenza trovò linfa vitale dai rapporti presentati nella terza giornata dai rappresentanti giunti dall’Europa centrale. Una mozione che chiedeva l’immediata fondazione dell’IC fu approvata a stragrande maggioranza. Il canto dell’“Internazionale” si levò spontaneo e prorompente nella sala dove i delegati avevano appena votato e approvato la Risoluzione di fondazione dell’Internazionale comunista: era il 4 marzo 1919.
L’unanimità si raggiunse invece da subito nella determinazione dei principi ideologici e politici fondamentali, che trovarono formulazione nella “Piattaforma dell’Internazionale comunista”, nelle “Tesi sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato”, in 22 punti scritte e presentate da Lenin, e nel “Manifesto al proletariato di tutto il mondo”. Conquista del potere da parte del proletariato in tutti i paesi, distruzione della democrazia borghese e sostituzione con la dittatura del proletariato, espropriazione della borghesia e socializzazione dei mezzi di produzione, internazionalismo proletario e nascita dei partiti comunisti i punti comuni.
Il congresso costitutivo di Mosca votò per acclamazione altri documenti, tra cui una risoluzione sul ruolo della donna nella lotta per il socialismo, una denuncia contro il “terrore bianco”, considerato l’estrema ma vana forma di reazione della borghesia per salvare il suo dominio, un appello ai lavoratori di tutti i paesi perché si opponessero con ogni mezzo alla politica aggressiva dell’imperialismo contro la Repubblica dei Soviet, e una serie di “Tesi sulla situazione internazionale e sulla politica dell’Intesa” dove si bollava la Società delle Nazioni come “santa alleanza dei capitalisti per la repressione della rivoluzione operaia”. Provvide altresì a dare alla nuova Internazionale (IC o, secondo la sigla russa da allora correntemente impiegata, Comintern) una prima struttura organizzativa e dirigenziale. Fu designato un Comitato esecutivo, composto dai rappresentanti dei partiti comunisti indicati come i più importanti e, all’interno di questo un ufficio politico di cinque membri. Zinoviev, che aveva presieduto i lavori del congresso, fu nominato presidente dell’Esecutivo, la carica di segretario, alla quale il congresso aveva designato Radek incarcerato in Germania per la sua partecipazione all’insurrezione di gennaio, fu provvisoriamente assegnata a Angelica Balabanoff, socialista italiana di origine russa divenuta bolscevica, che presto si dimise per contrasti con Zinoviev.
Il secondo congresso dell’IC si aprì il 19 luglio 1920 a Pietrogrado e dal 23 luglio al 7 agosto tenne le sue sedute a Mosca. Il 1919 aveva segnato un possente sviluppo rivoluzionario, all’insegna delle decisioni e dell’azione della neonata IC, che sfociò nell’eroica lotta dei popoli sovietici contro l’intervento imperialista e la controrivoluzione interna, le rivoluzioni proletarie in Ungheria (21 marzo) e Baviera (7 aprile), il grande movimento di liberazione nazionale antimperialista in Cina, India, Indonesia, Turchia, Egitto, Marocco e nei paesi dell’America latina, assieme alla formazione dei partiti comunisti in Jugoslavia, Olanda, Danimarca, Bulgaria, Messico, Stati Uniti, in Cina nacquero i primi circoli marxisti, quello di Changsha con a capo Mao, i partiti socialisti italiano e britannico decisero di aderire al Comintern. “L’Internazionale comunista – scriveva Lenin – in alcuni mesi del 1919, è diventata l’Internazionale mondiale che guida le masse e si oppone senza riserve ai traditori del socialismo della Internazionale ‘gialla’ di Berna e della confraternita di Lucerna” (“Come la borghesia si serve dei rinnegati” - 20 settembre 1919).
Al II Congresso vi erano rappresentati non solo i partiti comunisti (27), ma anche le organizzazioni socialiste di sinistra, i sindacati rivoluzionari e le organizzazioni giovanili di diversi paesi, ben 218 delegati di 67 organizzazioni. Partendo dalle posizioni espresse da Lenin nel suo discorso di apertura il Congresso affermò che compito principale dell’IC era l’unione delle forze comuniste, la formazione di un partito comunista in ogni paese per intensificare il lavoro di preparazione del proletariato alla conquista del potere. La risoluzione finale si espresse sull’essenza della dittatura del proletariato e del potere sovietico, spiegò il concetto di preparazione immediata e generale alla dittatura del proletariato e quale doveva essere la composizione dei partiti che già facevano parte o desideravano far parte dell’Internazionale comunista.
Proprio per evitare la penetrazione dell’opportunismo, del centrismo e in generale dell’idee dei rinnegati e traditori della II Internazionale nei giovani partiti comunisti, furono approvate le “21 condizioni” elaborate da Lenin per l’ammissione all’IC. Esse richiedevano che tutta la propaganda e l’agitazione dei partiti comunisti corrispondessero ai principi dell’IC, che si conducesse una insistente lotta al riformismo e al centrismo, che si operasse una vera e propria rottura con l’opportunismo, che si svolgesse un lavoro approfondito nelle campagne, che si sostenesse il movimento di liberazione nazionale dei popoli coloniali. Veniva altresì definito come obbligatorio il lavoro dei comunisti nei sindacati riformistici, nel parlamento, ma a condizione che la frazione parlamentare fosse sottomessa alla direzione del partito, unire l’attività legale a quella illegale e di sostenere senza riserve la repubblica sovietica, ogni partito doveva accettare le decisioni dell’IC e prendere la denominazione di partito comunista.
Durante l’aspra e accesa discussione sulle “21 condizioni” Lenin smascherò il carattere esiziale per la lotta rivoluzionaria del proletariato tanto le idee “ultrasinistre” di Bordiga e dell’olandese Wijnkoop, che identificavano tutte le avanguardie dei partiti socialisti con i traditori e rinnegati, quanto quelle di destra di Serrati e dei leaders del partito socialdemocratico tedesco Crispien e Dittman, che si opponevano all’accettazione obbligatoria dei principi della dittatura del proletariato e del centralismo democratico, come pure l’espulsione dal partito dei membri che rifiutassero di accettare le condizioni di ammissione all’IC.
Un passo importante fu l’accettazione dello Statuto dell’IC che determinava i principi della sua struttura e dei partiti comunisti e le direttrici fondamentali della loro attività, precisava la funzione degli organi direttivi, il Congresso Internazionale, il Comitato Esecutivo, la Commissione Internazionale di Controllo e i rapporti che questi organi dovevano avere con i partiti comunisti attraverso le sezioni del Comintern. Fu ratificata la rielezione di Zinoviev come presidente, mentre Radek non fu riconfermato come segretario. Nel Comitato Esecutivo oltre a Radek e Bucharin entrarono tra gli altri gli ungheresi Bela Kuhn, Rakosi e Varga, e l’italiano Serrati.
In risposta all’attacco dei centristi socialdemocratici, tra cui Bauer, Adler, Dittmann, Crispien e Longuet, che temendo l’indebolimento della propria influenza sulle masse e cercando di ostacolare la crescita del movimento comunista convocarono, il 22 febbraio 1921 a Vienna, una conferenza di undici partiti socialisti che dette vita alla “Associazione internazionale dei lavoratori aderenti ai partiti socialisti” nota come “l’Internazionale due e mezzo”, dal 22 giugno al 17 luglio del 1921 si tenne a Mosca il III Congresso dell’IC, con la partecipazione di 605 delegati di 52 paesi. Essi presero in esame la crisi economica mondiale e i nuovi compiti dell’IC, la tattica da usare, lo sviluppo organizzativo dei partiti, oltre ai metodi e al contenuto delle loro attività, il posto e i compiti che competevano al movimento sindacale, il movimento femminile e cooperativistico, le questioni tedesca e italiana, in connessione con seri errori che erano stati commessi dai dirigenti dei partiti comunisti di questi paesi. Fu riconosciuta la grande importanza dell’Internazionale comunista giovanile costituitasi a Berlino il 20 novembre del 1919.
Tirando le conclusioni sul III Congresso dell’IC Lenin rilevava che esso, sulla base dell’esperienza pratica del movimento comunista mondiale, aveva incominciato a fissare in qual modo si poteva ampliare il lavoro sul piano tattico e su quello organizzativo. Linee guida sancite dall’approvazione finale di un “Manifesto” che riprendeva i temi essenziali affrontati dalla discussione, lanciando due parole d’ordine fondamentali: “Alle masse!” e “Formare il fronte unico del proletariato!” E fu in conformità con le decisioni del III Congresso che il plenum del Comitato Esecutivo dell’IC nel dicembre del 1921 approvò le tesi sul fronte unico dei lavoratori. In esse si diceva che per fronte unico s’intendeva l’unità d’azione di tutti gli operai disposti a lottare, indipendentemente dalla propria appartenenza partitica o sindacale, contro il nemico comune, il capitalismo. La tattica del fronte unico doveva essere impiegata in ogni paese secondo le concrete condizioni nazionali e le circostanze, sottolineando al tempo stesso la necessità che il partito comunista che raggiungeva accordi con organizzazioni non comuniste, mantenesse la sua completa indipendenza.
Una svolta tattica che provocò lo scetticismo di alcuni partiti comunisti, tra cui quelli italiano, francese e spagnolo, e che rese necessaria la convocazione di una sessione plenaria dell’Esecutivo, allargata a un numero di delegati di vari partiti doppio del consueto. Tale sessione si svolse a Mosca dal 21 febbraio al 4 marzo 1922 e fu il primo di quei Plenum che a partire da questa data furono tenuti ad intervalli quasi regolari, fino ad assumere col tempo la funzione che in passato era stata propria dei congressi. Al termine del dibattito fu approvata a grande maggioranza, 19 contro 3, una risoluzione: “Dopo la discussione - vi si leggeva - che ha chiarito i malintesi ed ha dimostrato che la tattica di fronte unico non significa affatto un indebolimento dell’opposizione al riformismo, ma la continuazione e lo sviluppo della tattica seguita dal III Congresso e dalle sezioni nazionali, l’Esecutivo allargato conferma le tesi di dicembre sul fronte unico”. Un secondo Plenum, convocato a Mosca dal 7 all’11 giugno 1922, servì interamente per esaminare e criticare le posizioni del PCF e del PCd’I sull’argomento.
Per l’attuazione di un fronte unico della classe operaia l’IC si rivolse alla II Internazionale e a quella “due e mezzo”, proponendo l’azione comune nella lotta contro la reazione imperialistica. Ma le sue proposte furono celate ai lavoratori o sabotate. L’accordo di Berlino nell’aprile 1922 tra i tre esecutivi, raggiunto grazie a forti concessioni della delegazione dell’IC guidata da Radek e dalla tedesca Clara Zetkin, naufragò ben presto.
Il IV Congresso dell’IC, che si aprì solennemente a Pietrogrado il 5 novembre 1922 per festeggiare il quinto anniversario della Rivoluzione d’Ottobre per poi spostare i suoi lavori a Mosca fino al 5 dicembre 1922, contò 458 delegati di 58 paesi. Esso approvò le tesi sulla tattica dell’IC che prevedevano contro la coalizione aperta o mascherata della borghesia e della socialdemocrazia l’organizzazione di un fronte operaio unico di lotta per il rovesciamento del potere borghese e avanzavano l’idea della creazione di un governo operaio-contadino, che avrebbe potuto essere costituito come risultato della lotta delle masse in un periodo di crisi politica e di ascesa del movimento di massa. Il governo popolare avrebbe dovuto armare il proletariato, disarmare le organizzazioni controrivoluzionarie, introdurre il controllo della produzione, far gravare il peso principale delle tasse sulle classi abbienti e spezzare la resistenza della borghesia. I comunisti che ne facevano parte dovevano sottostare al più severo controllo del partito e mantenere i più stretti contatti con le altre organizzazioni rivoluzionarie di massa.
Grande attenzione fu dedicata al lavoro dei comunisti nei sindacati, analizzando i rapporti fra i sindacati rivoluzionari e quelli riformisti, sottolineata la necessità di una lotta decisa e conseguente contro le teorie della “neutralità” e dell’indipendenza dei sindacati. Il IV Congresso esaminò anche il problema nazionale e coloniale approvando una serie di importanti decisioni, come quella di un fronte unico antimperialista nelle colonie e semicolonie, proponendo ai partiti comunisti di dare un sistematico aiuto ideologico e materiale al movimento operaio e di liberazione nazionale nelle colonie, condannando la pratica di creare partiti comunisti limitati ai soli europei che vivevano nelle colonie come si era verificato in Egitto e Algeria.
In coincidenza con lasalita al potere dei fascisti di Mussolini in Italia e della minaccia fascista in Ungheria, Polonia, Germania e nei paesi balcanici, il Congresso definì la lotta contro il fascismo come il più importante compito del proletariato internazionale.
Il periodo di ascesa rivoluzionaria seguito alla Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre in Russia e alla fine della prima guerra mondiale imperialista si concluse all’inizio del 1924 con lo stabilirsi di nuovi rapporti di forza in campo internazionale. Mentre la Russia con la vittoria sulle forze interventiste straniere e la controrivoluzione interna viaggiava spedita verso l’attuazione del socialismo in tutti i campi, nel mondo capitalistico le grandi lotte delle masse popolari lasciarono il posto ad un riflusso dell’ondata rivoluzionaria. Dopo le sconfitte delle insurrezioni rivoluzionarie in Bulgaria del settembre 1923 e in Germania dell’ottobre dello stesso anno parve scomparsa ogni minaccia diretta alla stabilità del capitalismo nell’Europa occidentale.
Il V Congresso dell’IC, il primo dopo la morte di Lenin, avvenuta il 21 gennaio 1924, si aprì a Mosca il 17 giugno 1924 con il Rapporto sull’attività dell’Esecutivo tenuto da Zinoviev di fronte a 406 delegati giunti da 41 paesi in rappresentanza di 51 partiti e si concluse nella capitale russa l’8 luglio. Indicò come compito principale del momento la creazione di partiti comunisti di massa che facessero propria la ricca esperienza storica e politica del Partito bolscevico russo. Nella risoluzione finale si leggeva che “occorre portare avanti la bolscevizzazione dei partiti comunisti seguendo fedelmente gli insegnamenti di Lenin e tenendo conto della situazione concreta di ogni paese”. Un concetto sviluppato nelle Tesi sull’attività di propaganda dell’IC e delle sue sezioni” dove si affermava che la bolscevizzazione significava “la definitiva vittoria ideologica del marxismo e del leninismo (o con altre parole: del marxismo nel periodo dell’imperialismo e nell’epoca della rivoluzione proletaria) sul ‘marxismo’ della Seconda Internazionale e sui resti degli elementi sindacalistici”.
Il V Congresso sottolineò nelle sue decisioni che ogni vero partito comunista doveva essere un partito di massa, dotato di notevole capacità di manovra, fedele al marxismo e alla rivoluzione proletaria, centralizzato e disciplinato, capace di utilizzare la critica e l’autocritica per l’individuazione e la correzione dei propri errori. Con questo obiettivo essi dovevano riorganizzarsi sulla base delle cellule di fabbrica, operare attivamente all’interno dei sindacati, condurre una giusta politica nazionale e nei confronti delle masse contadine.
Il Congresso respinse l’interpretazione opportunistica della tattica del fronte unico operaio solo come accordo tra i vertici dirigenti dei partiti comunisti e di quelli socialisti. Riferendosi all’esperienza dei partiti comunisti, indicò altresì che occorreva costruire il fronte unico prima di tutto dal basso e che questo era il metodo per realizzare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse. L’unità dal basso non escludeva le trattative di vertice, soprattutto laddove la socialdemocrazia rappresentava ancora una forza considerevole, ma in questo caso condizioni obbligatorie dovevano essere l’autonomia dei partiti comunisti e la più ampia informazione alle masse operaie sul contenuto delle trattative e degli accordi.
Al V Plenum apertosi il 21 marzo 1925 Zinoviev tenne il Rapporto introduttivo di fronte a 244 delegati rappresentanti 34 sezioni, in cui ammise che l’IC si era sbagliata nel valutare il ritmo di sviluppo della rivoluzione mondiale, sottolineando che nemmeno Marx e Lenin avevano potuto evitare errori in un campo di previsioni dove giocava una parte importante una “comprensibile impazienza rivoluzionaria”. Nelle tesi sulla bolscevizzazione e nelle modifiche allo Statuto dell’IC ampio spazio trovava la condanna delle deviazioni ideologiche che ne minavano la compattezza, fra le quali figura per la prima volta il “luxemburghismo”.
Quando ebbe luogo l’elezione del nuovo Comitato esecutivo Trotzki non vi fu incluso pur essendo ancora designato membro candidato; entrò invece a farne parte Stalin che aveva avuto fino a quel momento un ruolo secondario nell’attività dell’IC. Radek non fu nemmeno rieletto membro candidato, il suo posto fu preso dall’ucraino Manuilski. Eletto nell’Esecutivo e nel Presidium il leader tedesco Ernst Thalmann.
Si rifletteva inevitabilmente sull’azione dell’IC l’aspra lotta apertasi all’interno del Partito comunista russo bolscevico tra il gruppo di Trotzki, Zinoviev e Kamenev che, perorando la “rivoluzione permanente”, attaccavano a fondo la costruzione del socialismo, la dittatura del proletariato e la corretta linea sindacale del Partito guidato da Stalin. Tanto che il 25 ottobre 1926 il Presidium accogliendo una proposta di Clara Zetkin, Togliatti, del cecoslovacco Smeral, Dimitrov, del finlandese Kuusinen, del giapponese Katayama e altri, dichiarava “del tutto impossibile l’ulteriore permanenza e l’attività del compagno Zinoviev alla testa del Comintern”. Tuttavia nel VI Plenium dell’IC svoltosi poco dopo Zinoviev, pur di essere recuperato alla causa, fu eletto nella speciale Commissione sindacale dell’Esecutivo, creata per meglio organizzare l’attività dei comunisti nel sindacato, di cui facevano parte Bucharin, Pjatnitski, Togliatti, Treint, Smeral, Tomski, Lozovski e Geschke. Ma nel novembre-dicembre 1926 il VII Plenium allargato approvò la risoluzione della XV conferenza del partito comunista russo che condannava la piattaforma e l’attività del blocco di Trotzki e Zinoviev come espressione di una tendenza menscevica e come minaccia all’unità del partito, iniziando una lotta implacabile contro gli elementi trotzkisti e opportunisti presenti nei partiti comunisti.
Al VI Congresso dell’IC tenutosi a Mosca dal 17 luglio al 10 settembre 1928 erano presenti 532 delegati in rappresentanza di 1 milione e 799 mila membri e candidati di 58 partiti e 9 organizzazioni comunisti. La massima assise mondiale comunista rilevò che l’acutizzarsi delle contraddizioni tra gli Stati capitalistici e la lotta di classe al loro interno, l’ascesa del movimento di liberazione nazionale nei paesi dipendenti e coloniali e l’approfondirsi delle contraddizioni tra il mondo capitalistico e l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche avrebbero inevitabilmente scosso le basi della stabilizzazione capitalistica.
Gli elementi di destra con a capo Bucharin, che dal 1926 aveva preso il posto di Zinoviev alla presidenza del Comintern, negarono che si potesse scuotere la stabilizzazione capitalistica e avanzarono la teoria rinunciataria del “capitalismo organizzato” affermando che le contraddizioni interne del capitalismo si sarebbero appianate e attenuate. Respingendo queste tesi, nelle sue conclusioni il Congresso invitò i comunisti di tutti i paesi a lottare contro il pericolo della guerra imperialista, a difendere la rivoluzione cinese e gli altri movimenti di liberazione nazionale e a coordinare questi compiti con la lotta quotidiana della classe operaia contro gli attacchi del capitale.
Sottolineò altresì che nel caso di attacco degli imperialisti contro l’URSS la classe operaia di questi paesi avrebbe dovuto non solo lottare per assicurare la sconfitta del proprio governo ma anche sostenere attivamente la lotta dello Stato socialista sovietico, patria ideale del proletariato di tutto il mondo.
Il VI Congresso condannò decisamente l’attività antipartito dei trotzkisti e riconobbe giusta la loro espulsione dalle Sezioni dell’IC, respinse la richiesta di Trotzki e di altri suoi compari di essere riammessi nel partito sovietico e le analoghe richieste del gruppo Maslov-Ruth Fischer (Germania) e di quello Traine (Francia).
L’approvazione del Programma e il nuovo Statuto dell’IC costituirono due grandi documenti storici, sintesi dell’esperienza compiuta fino a quel momento dai partiti comunisti di tutto il mondo.
Il Programma poneva come obiettivo finale del proletariato la sostituzione del sistema economico capitalistico mondiale con il sistema comunista e coerentemente con le tesi fondamentali della teoria marxista-leninista sottolineava la possibilità iniziale della vittoria del socialismo anche solo in alcuni paesi e persino in un unico paese, nonché la pecularietà delle condizioni concrete e delle vie di passaggio alla dittatura del proletariato nei singoli paesi. Le analisi scientifiche e le indicazioni programmatiche che essi contenevano illumineranno per decenni il cammino del movimento comunista internazionale.
A quasi un anno di distanza dal VI Congresso si riunì a Mosca, dal 3 al 19 luglio 1929 il X Plenum dell’Esecutivo, a cui presero parte 108 delegati di 30 paesi. Il progetto di tesi sulla situazione internazionale e i compiti dell’IC fu illustrato da due rapporti, di Kuusinen e di Manuilski, a cui si affiancò un co-rapporto di Molotov, il quale veniva ufficialmente investito di una funzione dirigente nell’IC. Al centro dei rapporti campeggiavano i temi della fascistizzazione dello Stato borghese e della trasformazione della socialdemocrazia in socialfascismo. Nella risoluzione finale si leggeva che “Di fronte ai crescenti contrasti fra imperialisti e all’inasprirsi della lotta di classe, il fascismo come sistema di dominio trova un’espansione sempre più rapida presso la classe borghese. Una particolare forma di fascismo, nei paesi con partiti socialdemocratici forti, è il socialfascismo, sempre più frequentemente impiegato dalla borghesia per paralizzare l’attività delle masse nella battaglia contro la dittatura fascista”. Per questo l’SPD in Germania e i laburisti in Gran Bretagna ebbero accesso al governo nazionale.
Il X Plenum sarà ricordato anche per l’esclusione di molti elementi di destra dal Presidium e dall’Esecutivo, arrivati al capolinea nello sposare le tesi anticomuniste e antirivoluzionarie della borghesia. Oltre a Bucharin furono infatti espulsi l’italiano Tasca e il franco-svizzero Humbert-Droz, il cecoslovacco Jilek e l’inglese Lovestone, i tedeschi Braudler e Thalheimer.
Spetterà al XIII Plenum del dicembre 1933 registrare l’ascesa di Hitler e del fascismo in Germania, dando nelle tesi approvate la sua definizione generale: “dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più imperialisti, più sciovinisti del capitale finanziario”.
Furono il coraggioso comportamento di Dimitrov imputato al processo di Lipsia nel settembre 1933 per l’incendio del Reichstag compiuto dagli hitleriani e gli avvenimenti in Francia e Austria del febbraio 1934 dove il fascismo passò direttamente al massacro operaio e popolare, a spingere l’IC verso il ritorno alla politica del fronte unico contro il fascismo e la guerra. A perorarla oltre a Dimitrov (entrato nel Segretariato politico nel marzo 1934), il tedesco Pieck, Manuilski e Kuusinen.
Essa fu alla base del VII Congresso dell’IC apertosi a Mosca il 25 luglio 1935 e che si protrasse per quasi un mese, fino al 20 agosto. Ai suoi lavori parteciparono 510 delegati in rappresentanza di 65 partiti comunisti. Di questi soltanto 22, di cui 11 in Europa, erano legali o semi legali.
La politica del fronte popolare antifascista segnava una nuova tappa nello sviluppo del movimento comunista internazionale, aprendo ai comunisti la via per porsi alla testa delle più larghe masse popolari e divenire la forza dirigente del movimento operaio, democratico, antifascista e antimperialista. Tre i principali documenti approvati: “L’offensiva fascista e i compiti dell’Internazionale comunista nella lotta per l’unità della classe operaia contro il fascismo” (risoluzione sul rapporto di Dimitrov), “I compiti dell’Internazionale Comunista di fronte ai preparativi di una nuova guerra mondiale imperialista” (risoluzione sul rapporto di Togliatti), “La vittoria del socialismo nell’URSS e il suo significato storico internazionale” (risoluzione sul rapporto di Manuilski).
Al termine dei lavori Dimitrov fu eletto Segretario generale, Togliatti, allora tra i più ferventi sostenitori di Stalin, e il cecoslovacco Gottwald entrarono nel Segretariato politico; Mao e Chu En-lai nel Comitato esecutivo.
La mobilitazione in difesa dell’indipendenza dell’Austria e della Cecoslovacchia e le molteplici iniziative assunte fin dall’estate 1937 in difesa della Spagna repubblicana, segnarono la politica del l’IC che dispiegò una politica i cui cardini principali restavano la salvaguardia della pace internazionale per mezzo della lotta senza quartiere alle aggressioni fasciste, il perseguimento della sicurezza collettiva fondata sull’alleanza tra l’URSS e gli Stati democratici e la ricerca dell’unità di azione del movimento operaio internazionale. In questa situazione va inquadrato lo scioglimento dell’IC, proposto con una risoluzione del Presidium del 15 maggio 1943 e in seguito ratificato da una successiva dichiarazione dello stesso organo l’8 giugno.
Fu Stalin a riassumere perfettamente le motivazioni dello scioglimento in una risposta scritta il 28 maggio 1943 a King, primo corrispondente a Mosca dell’agenzia inglese “Reuter”: “Lo scioglimento dell’Internazionale Comunista è giusto e tempestivo, perché facilita l’organizzazione dell’attacco comune di tutte le nazioni che amano la libertà, sul comune nemico, - l’hitlerismo.
Lo scioglimento dell’Internazionale Comunista è giusto perché:
a) Smaschera la menzogna degli hitleriani secondo la quale ‘Mosca’ intenderebbe immischiarsi nella vita degli altri Stati e di ‘bolscevizzarli’. D’ora innanzi a questa menzogna viene posta fine.
b) Smaschera la calunnia dei nemici del comunismo nel movimento operaio secondo la quale i partiti comunisti dei vari paesi agirebbero non nell’interesse del proprio popolo, ma dietro ordini esterni. Anche a questa calunnia d’ora innanzi viene posta fine.
c) Facilita l’opera dei patrioti dei paesi che amano la libertà, per l’unificazione delle forze progressive del loro paese in un unico campo di liberazione nazionale, per lo sviluppo della lotta contro il fascismo, indipendentemente dai partiti ai quali appartengono e dalle loro convinzioni religiose.
d) Facilita l’attività dei patrioti di tutti i paesi per l’unione di tutti i popoli amanti della libertà in un unico campo internazionale di lotta contro la minaccia di dominazione mondiale dell’hitlerismo, liberando in tal modo la strada per la futura organizzazione della collaborazione dei popoli, sulla base della loro eguaglianza di diritto.
Penso che tutte queste circostanze prese insieme porteranno all’ulteriore rafforzamento del fronte unico degli alleati e delle altre nazioni, unite nella loro lotta per la vittoria sulla tirannide hitleriana.
Ritengo che lo scioglimento dell’Internazionale Comunista è del tutto tempestivo perché, precisamente ora mentre la belva fascista tende le sue ultime forze, è necessario organizzare l’attacco comune dei paesi che amano la libertà, per abbattere questa belva e liberare i popoli dal giogo fascista”.
 

Il ruolo di Lenin e Stalin
 
Come si evince dalla storia dell’IC, trattata prima seppur sinteticamente, grande e inestimabile è stato il ruolo avuto da Lenin e Stalin nell’ideazione, costruzione e direzione del movimento comunista internazionale. Animati dalla forza e dall’abnegazione rivoluzionarie marxiste, dall’internazionalismo proletario, si sono profusi in un’opera grandiosa e senza precedenti per la causa della rivoluzione, affinché il socialismo e il comunismo trionfassero in tutto il mondo.
Lenin ha ideato, costruito dalle fondamenta e fatto spiccare il volo all’IC in una situazione difficilissima, quando il giovane potere sovietico doveva fronteggiare l’attacco esterno delle potenze imperialiste e la cruenta guerra civile scatenata dai bianchi per restaurare il capitalismo. Egli fu il più tenace e convinto assertore della necessità dell’IC, dando ad essa le fondamentali basi teoriche, l’indirizzo ideologico ed i principi organizzativi di cui necessitava e garantendone la direzione politica fino a quando le sue forze e la sua salute fisica glielo consentirono. Lo ha fatto attaccando e smascherando in decine di opere, articoli e saggi, il socialsciovinismo e l’opportunismo dei capi della II Internazionale e il loro vergognoso atteggiamento verso la prima guerra mondiale imperialista e dichiarando la necessità di una Internazionale comunista. Lo ha fatto altresì a livello pratico ed organizzativo. Dopo essersi adoperato in prima persona insieme ai bolscevichi russi per garantire l’arrivo a Mosca delle delegazioni straniere osteggiate dalle polizie di mezza Europa, tenne il discorso di apertura, come già detto, del Congresso costitutivo, illustrando in questa sede le sue “Tesi sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato”.
Al II Congresso oltre alle “Tesi sui compiti fondamentali dell’Internazionale comunista”, sottopose all’assise del comunismo mondiale un altro importantissimo documento destinato a tracciare il solco rivoluzionario tra comunismo e socialdemocrazia, “Le condizioni di ammissione all’Internazionale comunista” da lui scritto e articolato in 21 punti. Ancora di Lenin furono le “Tesi sulla questione nazionale e coloniale” e quelle sulla questione agraria, entrambe approvate all’unanimità.
Al III Congresso dell’IC intervenne esponendo le “Tesi sulla tattica del partito comunista in Russia” e tenendo due magistrali discorsi sulla questione italiana e in difesa dell’Internazionale comunista. Infine al IV Congresso relazionò sul tema “Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale” dove parlò della Nuova politica economica (NEP), di cui difese le ragioni e vantò i successi, senza tacere gli errori e le difficoltà che continuavano a contraddistinguerne l’applicazione, sottolineando l’importanza dell’insegnamento che dalla NEP poteva derivare anche all’IC, affermando che “tutti i partiti che nel prossimo avvenire si prepareranno a passare all’offensiva diretta contro il capitalismo, devono pensare fin d’ora al modo di prepararsi una ritirata ”.
Alla sua morte l’IC pubblicò un appello eloquente sul ruolo svolto dal grande Maestro del proletariato internazionale: “Come Marx, Lenin rimarrà per sempre la nostra guida. Marx ci ha mostrato le vie della liberazione del proletariato, Lenin ci ha condotto lungo queste vie alla vittoriosa realizzazione dell’insegnamento di Marx… Cinque anni fa Lenin fondava l’Internazionale comunista, e ci indicava quali dovevano essere i nostri compiti internazionali: la realizzazione degli ideali eterni del socialismo e del movimento operaio. Questo compito ha riempito tutta la sua vita. La storia non conosce un esempio maggiore di dedizione all’ideale della liberazione della classe operaia… Lenin è stato e resterà per sempre il capo della rivoluzione proletaria mondiale. Il suo genio ha segnalato il risveglio nazionale e l’ascesa rivoluzionaria dei popoli orientali in lotta contro l’imperialismo capitalistico. Rendendosi pienamente conto della loro enorme importanza, Lenin ha operato instancabilmente per collegare i popoli dell’Oriente all’Internazionale comunista.
Il suo merito resterà per sempre quello di aver affermato, attraverso l’Internazionale comunista, che ‘l’Internazionale sarà il genere umano’… L’Esecutivo dell’Internazionale comunista chiama tutte le sue sezioni alle prossime battaglie. Ai milioni di nostri compagni in tutti i paesi gridiamo: seguite l’insegnamento e l’esempio di Lenin, che vivranno eternamente nel nostro partito! Combattete come lui e come lui vincerete!”.
Stalin, allievo e successore di Lenin alla guida del Partito e dello Stato sovietici, ebbe un ruolo fondamentale e insostituibile nella direzione dell’IC dal 1925 fino al suo scioglimento. Nel discorso al II Congresso dei Soviet dell’URSS del 26 gennaio 1924, all’indomani della morte di Lenin, prestò un giuramento al suo maestro: “Lasciandoci, il compagno Lenin, ci ha comandato di essere fedeli ai principi dell’Internazionale Comunista. Ti giuriamo, compagno Lenin, che non risparmieremo la nostra vita pur di rafforzare e di estendere l’unione dei lavoratori di tutto il mondo, l’Internazionale Comunista!
In particolare la direzione e l’operato di Stalin furono decisivi nel combattere e smascherare le cordate russe e internazionali di destra e di “ultrasinistra” che mettevano in discussione la politica dell’IC e il suo ruolo guida nel movimento comunista mondiale. A partire dai due discorsi tenuti al Presidium del Comitato esecutivo il 26 gennaio 1926, riferiti rispettivamente alle deviazioni di destra e di “ultrasinistra” nel partito comunista francese e in quello tedesco, allo smascheramento di Bucharin che al VI Congresso del 1928 aveva presentato le “Tesi sulla situazione internazionale” senza prima discuterle all’interno del PCb dell’URSS, infrangendo il centralismo democratico, al discorso del 5 luglio 1928 “Sul Programma dell’IC”, in cui difese nascita, scopi e operato dell’IC e spiegò le linee guida che dovevano seguire i partiti comunisti nella lotta per la dittatura del proletariato e il socialismo nel mondo intero. Enorme fu la sua opera nel rilevare gli errori di Trotzki, Bucharin, Zinoviev, Kamenev, Radek e compagnia che coprivano gli opportunisti internazionali, in particolare la destra del partito comunista tedesco, difendendo l’operato di Thalmann ingiustamente accusato di essere in combutta con la destra stessa.
Meriti storici evidenziati nel telegramma del Presidium del 21 dicembre 1929 per il suo cinquantesimo compleanno: “Il Presidium dell’IC ritiene suo dovere rivolgere l’attenzione dell’intera Internazionale comunista sull’importanza eccezionale della tua partecipazione in funzione di guida al movimento comunista mondiale… Nei giorni più difficili e più densi di responsabilità, tu hai aiutato il VKP(b) – (Partito comunista (bolscevico) di tutta l’Unione, nella nuova dizione approvata dal XIV Congresso del dicembre 1925) - e il Comintern ad applicare il metodo dialettico della strategia di classe e della tattica leniniste in modo corretto e con successo. Grazie alla tua attiva partecipazione, il Comintern ha inferto un colpo mortale agli opportunisti di ‘sinistra’ e di destra, che di fronte alle difficoltà della lotta sono battuti in ritirata. Il Presidium dell’IC esalta i tuoi meriti storici per aver smascherato la favola trotzkista dell’impossibilità della vittoria del socialismo nell’Unione Sovietica e parimenti le calunnie trotzkiste sulla limitatezza nazionalista del VKP(b)”.
Persino Togliatti, campione di opportunismo in sostegno di Stalin e della sua linea, incaricato a leggere il Saluto inaugurale del VII Congresso del 1935 preparato su sua proposta dal vertice del Comintern, così si espresse: “Noi ti rivolgiamo capo amato del proletariato mondiale e di tutti gli oppressi, i nostri saluti ardenti… Giuriamo che sotto la bandiera di Marx, Engels, Lenin e Stalin condurremo la lotta fino al rovesciamento del capitalismo”.
Elogi a Stalin rinnovati nell’Indirizzo di saluto al grande Maestro del proletariato internazionale nel 20° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre del novembre 1937: “Armando il movimento internazionale dei lavoratori dell’esperienza della lotta vittoriosa per il socialismo sostenuta dalle popolazioni dell’Unione Sovietica, svolgendo e completando gli insegnamenti di Marx, di Engels, di Lenin tu non soltanto hai realizzato la tua promessa, ma hai moltiplicato la potenza di questa alleanza in quanto hai posto al servizio dei lavoratori del mondo intiero il grande paese del socialismo vittorioso… Espressione del pensiero e dei sentimenti di milioni di lavoratori, l’Internazionale comunista ti invia, caro compagno Stalin, il suo ardente saluto, assicurandoti che i comunisti di tutto il mondo mettono a disposizione ogni loro energia per quella causa alla quale tu dedichi e hai dedicato l’intiera tua vita”.
 

Linea e contraddizioni nei temi affrontati
 
Nei suoi 24 anni di attività l’IC è stata una fucina di indicazioni per il movimento comunista mondiale. Su ogni tema affrontato un educativo e approfondito dibattito faceva da anticamera all’emanazione della linea approvata nelle riunioni dei suoi organi, dove le contraddizioni erano all’ordine del giorno. Ma nell’idea di Lenin e Stalin e dei dirigenti internazionali fedeli alla causa dell’internazionalismo proletario, sempre all’insegna della dialettica marxista-leninista, occorreva rispettare sempre il centralismo democratico, seguendo sempre il principio di unità-critica-unità. Vediamo in sintesi linea e contraddizioni nei principali temi affrontati.
Partito
La necessità e l’indispensabilità di un partito comunista composto dalla parte più avanzata, cosciente e rivoluzionaria della classe operaia, che lottasse per la dittatura del proletariato, costruito sulla base del centralismo democratico, costituiva l’oggetto specifico di una serie di “Tesi sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria” discusse dal II Congresso nelle sedute del 23 e 24 luglio 1920 che le approvò. Al III Congresso furono approvate il 12 luglio 1921 le “Tesi sulla struttura organizzativa dei partiti comunisti, sui metodi ed il contenuto del loro lavoro”, mentre per superare le lotte interne ai partiti comunisti si fece riferimento alle “Tesi del V Congresso sull’attività di propaganda dell’Internazionale comunista e delle sue sezioni” (luglio 1924) dove si indicava la via della “bolscevizzazione” dei partiti comunisti. “Uno dei primi compiti dell’IC – vi si leggeva – e delle sue sezioni consiste quindi nel rendere questa teoria di avanguardia – il marxismo-leninismo – patrimonio comune dei suoi membri. I partiti comunisti non devono limitarsi all’agitazione di alcuni principi del marxismo-leninismo fra le masse, ma devono anche cercare di rendere tutto il marxismo-leninismo patrimonio di ciascun militante di partito attraverso una propaganda pianificata ed energica”. La questione del partito fu riproposta con forza al VI Congresso nelle Tesi sui compiti fondamentali del Comintern.
Da tutti questi documenti usciva con forza che la più importante esperienza del movimento comunista internazionale era che lo sviluppo e la vittoria della rivoluzione dipendevano dall’esistenza di un partito rivoluzionario proletario, che si basasse sul marxismo-leninismo e che avesse uno stile rivoluzionario, che sapesse associare la verità universale del marxismo-leninismo alla pratica concreta della rivoluzione del paese, che sapesse legare strettamente la sua direzione con le masse popolari, che sapesse correggere i suoi errori e procedere alla critica e all’autocritica.
Fronte unito
Quasi sempre presente nelle scelte di linea dell’IC questo tema si affacciò dal 18 dicembre 1921 allorché furono approvate all’unanimità 25 “Tesi sul fronte unico dei lavoratori e sui rapporti con i lavoratori che aderiscono alla Seconda Internazionale, all’Internazionale due e mezzo e all’Internazionale di Amsterdam, nonché con i lavoratori che appoggiano le organizzazioni anarco-sindacaliste”. Esse trovarono l’opposizione del KPD, del partito comunista cecoslovacco, del PCF, della direzione bordighiana del PCd’I di cui facevano parte Gramsci e Togliatti, del giovane partito comunista spagnolo. Nel seguente Plenum ad hoc (21 febbraio – 4 marzo 1922) Terracini fu il portavoce di questa opposizione. Dopo lo svolgimento della conferenza che si tenne a Berlino dal 2 al 5 aprile 1922 tra le varie Internazionali l’IC lanciò la parola d’ordine del “fronte unico dal basso”, ossia un’unità sulla testa dei dirigenti socialdemocratici, subordinando tuttavia tale collaborazione al carattere rivoluzionario di quelle forze.
Il fronte unito fece la sua comparsa anche nella politica estera, con le tesi del IV Congresso sulla questione orientale (novembre 1922). “Se in occidente si è affermata la parola d’ordine di un fronte proletario unito, nelle colonie d’Oriente attualmente va posto l’accento sullo slogan del fronte unico antimperialista… E come la parola del fronte unico popolare ha contribuito in Occidente a smascherare il tradimento socialdemocratico nei confronti del proletariato, così la stessa parola d’ordine del fronte unico antimperialista servirà a smascherare il doppiogioco dei singoli gruppi del nazionalismo borghese”.
Al IV Congresso fu anche la volta del “governo operaio”: questa parola d’ordine aveva la massima importanza in quei paesi dove la situazione della società borghese era particolarmente instabile e dove il rapporto di forza fra i partiti operai e la borghesia poneva d’attualità la risoluzione del problema del governo come necessità pratica. In questi paesi il “governo operaio” risultava come l’inevitabile conclusione dell’intera tattica del fronte unico.
Il Programma dell’IC approvato al VI Congresso del 1928 sposava la tattica del fronte unico proletario in quanto mezzo fondamentale di mobilitazione di classe del proletariato contro il capitale, nonché metodo di conquista della maggioranza della classe operaia per il comunismo.
Nell'“Appello del Comitato esecutivo per il fronte unico del proletariato” (5 marzo 1933), lo stesso giorno dell’ascesa al potere di Hitler in Germania, si leggeva: “L’offensiva del capitale va assumendo forme più acute, la borghesia lancia una campagna contro tutte le conquiste politiche ed economiche realizzate dalla classe operaia, la reazione fascista si impadronisce di un paese dopo l’altro. L’instaurazione in Germania di una aperta dittatura fascista mette milioni di lavoratori di tutti i paesi di fronte al bisogno urgente di organizzare il fronte unico di lotta contro l’offensiva fascista della borghesia”. A quest’Appello la II Internazionale rispose proibendo a tutte le sezioni accordi di fronte unico con i comunisti a livello nazionale. Tuttavia la campagna per il fronte unico dette i suoi risultati in connessione con il processo di Lipsia e con la liberazione di Dimitrov, le grandi manifestazioni unitarie per la liberazione di Thalmann e di tutti gli altri antifascisti incarcerati. Il VII Congresso lancia il fronte popolare.
La linea dei fronti popolari trovò subito attuazione anche in Cina alla fine del 1935 contro l’aggressione dell’imperialismo giapponese, il PCC si pronunciò per “il più ampio fronte unico nazionale” e Mao criticò aspramente “il settarismo ristretto” a cui indulgevano ancora alcuni settori del partito. L’applicazione della corretta linea di fronte unito nei fronti popolari nella seconda guerra mondiale farà emergere i partiti comunisti nella lotta antifascista.
Strategia e tattica nei paesi capitalisti e nei paesi coloniali e semicoloniali. Imperialismo
L’analisi dell’imperialismo data da Lenin, quale fase suprema del capitalismo, la sua epoca, le sue forze e quelle della rivoluzione, l’imperialismo quale capitalismo in putrefazione e morente, avevano accompagnato la discussione fino alla nascita dell’Internazionale comunista. Questo tema fece la sua comparsa in maniera organica al II Congresso con la discussione sulle 21 condizioni di Lenin, tra cui quello delle alleanze del proletariato nella lotta contro l’imperialismo. Lenin dimostrò come l’acquisizione degli strati più poveri delle campagne alla causa della rivoluzione proletaria fosse non solo possibile per un’obiettiva coincidenza dei rispettivi interessi di classe, ma indispensabile per la vittoria della rivoluzione stessa.
Anche la questione coloniale assunse un carattere più marcato grazie alla partecipazione di numerosi delegati dei partiti comunisti di India, Persia, Turchia, Corea, Cina. Approvando con qualche aggiustamento tattico il progetto di Tesi presentato da Lenin, venendo incontro alle annotazioni dell’indiano Roy, l’IC riconosceva l’utilità della collaborazione dei comunisti con le forze nazionaliste democratico-borghesi.
Nel primo abbozzo di tesi per il II Congresso dell’IC Lenin aveva già chiarito la questione: “La pietra angolare di tutta la politica dell’Internazionale comunista nelle questioni nazionale e coloniale deve essere l’avvicinamento dei proletari e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni e di tutti i paesi ai fini della lotta rivoluzionaria comune per rovesciare i grandi proprietari terrieri e la borghesia. Solo questo avvicinamento potrà infatti garantire la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l’oppressione e la disuguaglianza nazionale ”.
L’attività dell’IC non lesinerà energie: dall’“Appello del Comitato esecutivo per la liberazione delle colonie francesi del Nordafrica” (20 maggio 1922), alla “Lettera aperta del IV Congresso ai comunisti e al popolo lavoratore della Turchia” (20 novembre 1922), passando dalla “Risoluzione del IV Congresso sulla questione dei negri” (30 novembre 1922), “Appello del Comitato esecutivo agli operai e ai contadini dell’America Latina” (gennaio 1923), “Appello degli Esecutivi dell’IC e dell’ISR contro le sentenze di morte pronunciate in India (marzo 1923), alle “Istruzioni del Comitato esecutivo al III Congresso del Partito comunista cinese” (maggio 1923).
Nella prima metà del 1923 il gruppo dirigente dell’IC evidenziò l’importanza capitale che il movimento di liberazione dei popoli orientali veniva assumendo nel processo di sviluppo della rivoluzione mondiale. Un orientamento espresso da Stalin nel XII Congresso del PCR(b) nell’aprile 1923: “Una delle due: o noi mettiamo in movimento le retrovie profonde dell’imperialismo, i paesi coloniali e semicoloniali dell’Oriente, infondiamo loro lo spirito rivoluzionario e acceleriamo così la caduta dell’imperialismo, oppure non ci riusciamo, e allora rafforziamo l’imperialismo e indeboliamo la forza del nostro movimento. La questione si pone in questi due termini ”. Su queste basi si inquadrarono l'“Appello del Comitato esecutivo agli operai e ai contadini giapponesi” (6 maggio 1924), quello contro l’imperialismo francese in Siria (11 maggio 1924). l’Appello del V Congresso ai popoli dell’Oriente, l’Appello del Comitato esecutivo al Comitato centrale del PC egiziano (novembre 1924), l’Appello dell’Ufficio orientale dell’IC contro l’imperialismo e il sionismo in Palestina (febbraio 1925) e quello contro la guerra imperialista in Marocco (8 giugno 1925), l’Appello dell’IC, dell’Internazionale rossa dei sindacati e di quella giovanile contro le atrocità dell’imperialismo in Cina.
La rivoluzione in Cina sarà seguita ed esaminata molto attentamente dall’IC. Nel 1926 ben due saranno le Risoluzioni del VI e VII Plenum sulla questione cinese. Fra il VI e il VII Congresso essa continuò ad occupare un posto centrale nella prospettiva strategica dell’IC riguardo al mondo coloniale e semicoloniale.
Stalin, il 1° agosto 1927, in risposta a chi da destra e da “sinistra” attaccava nel partito russo e nell’IC questa giusta linea leninista, sottolineò: “Lenin comprendeva la differenza fra la rivoluzione in un paese oppresso e la rivoluzione in un paese oppressore. Lenin capiva che, in una determinata fase del suo sviluppo, la borghesia nazionale nei paesi coloniali e dipendenti può appoggiare il movimento rivoluzionario del proprio paese contro il giogo dell’imperialismo. Questo l’opposizione non lo può comprendere, e non lo vuol comprendere perché ha rotto con la tattica rivoluzionaria di Lenin, ha rotto con la tattica rivoluzionaria del leninismo ”. Mentre in un discorso tenuto il 18 maggio 1925 all’Università comunista dei lavoratori dell’Oriente, il grande Maestro del proletariato internazionale aveva distinto “almeno tre categorie di paesi coloniali e dipendenti” . La prima, come esempio della quale veniva citato il Marocco, era caratterizzata dall’assenza di qualsiasi sviluppo industriale e quindi di proletariato indigeno: qui la borghesia nazionale non aveva ancora motivo “di scindersi in partito rivoluzionario e partito conciliatore”, e il compito dei comunisti era di “prendere tutte le misure per creare un fronte unico nazionale contro l’imperialismo”. La seconda categoria di paesi (quali l’Egitto e la Cina), caratterizzata da un limitato sviluppo industriale e dalla presenza di un proletariato relativamente poco numeroso, vedeva la borghesia nazionale già scissa in “rivoluzionari e conciliatori”, anche se questi ultimi non potevano ancora “fondersi con l’imperialismo”: qui i comunisti non potevano più “prefiggersi lo scopo di creare un fronte unico nazionale contro l’imperialismo” ma dovevano passare “alla politica del blocco rivoluzionario degli operai e della piccola borghesia”, blocco che avrebbe potuto anche assumere la forma di un unico partito purché ciò non ostacolasse la libertà di agitazione e di propaganda dei comunisti. La terza categoria comprendeva i paesi che avevano già raggiunto un certo grado di sviluppo industriale e quindi si distinguevano per la presenza di “un proletariato nazionale più o meno numeroso”. Stalin citava come esempio l’India. In questi paesi “l’elemento nuovo e principale” consisteva nel fatto che la “parte conciliatrice” della borghesia nazionale “era già riuscita nelle questioni essenziali, a mettersi d’accordo con l’imperialismo”: era necessario perciò “creare un blocco rivoluzionario antimperialista e assicurare che in questo blocco il proletariato avesse l’egemonia” del movimento di liberazione; non necessariamente il blocco doveva assumere la forma di un partito unico operaio e contadino, e in ogni caso essenziale era l’“indipendenza” del partito comunista. In sostanza, da questa tripartizione di Stalin, scaturiva la piena legittimazione teorica delle direttive impartite dal V Plenum ai comunisti, indiani, indonesiani e egiziani e la conferma della validità della politica già applicata dai comunisti cinesi. Le “Tesi sul movimento rivoluzionario nelle colonie e semicolonie” (VI Congresso, 1 settembre 1928) riprenderanno e rilanceranno questa analisi.
Socialdemocrazia
Già smascherata da Lenin e dai bolscevichi russi prima della fondazione dell’IC e sconfitta ideologicamente e politicamente ai primi quattro Congressi, la socialdemocrazia resterà al centro delle attenzioni dell’IC fino al suo scioglimento. Nella Risoluzione del IX Plenum del 15 febbraio 1928 sull’opposizione trotzkista si leggeva che “La socialdemocrazia internazionale sostiene totalmente la politica imperialistica della borghesia e la razionalizzazione capitalistica. Intensifica le persecuzioni contro i militanti comunisti e riversa un fiume di calunnie sull’URSS… Un ruolo farisaico particolarmente bugiardo in questa battaglia lo sostengono i capi della cosiddetta ala ‘sinistra’ del socialriformismo, gli Adler, i Bauer, i Levi, i Longuet, i Lansbury e i Maxton” etichettati come “ i nemici più pericolosi del comunismo, dell’Internazionale comunista, dell’Unione Sovietica”.
Al VI Congresso nel dibattito sulla situazione internazionale e i compiti dell’IC, dirigenti di primo piano come Thalmann, Lenski e Dimitrov parlarono esplicitamente di “evoluzione del riformismo in socialfascismo” mentre solo Togliatti volle mettere in guardia l’assise “dalle generalizzazioni eccessive”. Fu il Programma dell’IC a collocarla nella storia: “La socialdemocrazia, mentre serve gli interessi della borghesia in seno alla classe operaia e si pone senza riserve sul terreno della collaborazione di classe e della coalizione con la borghesia, è costretta in determinati momenti a presentarsi come partito di opposizione e persino a simulare una difesa degli interessi di classe del proletariato nella sua lotta economica, allo scopo di conquistare in questo modo la fiducia di parti della classe operaia per poter tradire più vergognosamente gli interessi permanenti del proletariato nei combattimenti di classe decisivi”. Ed ancora: “La funzione essenziale della socialdemocrazia consiste oggi nel distruggere la necessaria unità combattiva del proletariato nella sua lotta contro l’imperialismo. Spezzando e disgregando il fronte unico della lotta proletaria contro il capitale, la socialdemocrazia è il principale sostegno dell’imperialismo in seno alla classe operaia. La socialdemocrazia internazionale di tutte le sfumature, la Seconda Internazionale e la sua succursale sindacale, la Federazione sindacale di Amsterdam sono quindi diventate una riserva della società borghese, il sostegno più sicuro di essa”.
Socialismo in URSS
L’esperienza dell’edificazione del socialismo nell’Unione Sovietica ha sempre accompagnato e illuminato l’intera esperienza dell’IC. Le vittorie e le battute di arresto, le contraddizioni di linea sulla costruzione del socialismo, hanno trovato sempre spazio nelle discussioni nell’IC. A partire dalle “Tesi sulla tattica del Partito comunista di Russia” al III Congresso in cui Lenin illustrò la NEP, approvata a larga maggioranza dall’IC nonostante le aspre critiche degli estremisti tedeschi del KPD e dell’“Opposizione operaia” di Alessandra Kollontaj. Alla Risoluzione del IV Congresso sulla rivoluzione russa (dicembre 1922) a quella sulla situazione nell’Unione Sovietica e nel VKP(b) del VI Congresso (1° settembre 1928), in cui si constatava “che i successi della edificazione socialista nell’Unione Sovietica rafforzano la posizione rivoluzionaria della classe operaia internazionale con la sua avanguardia proletaria, i partiti comunisti, alla testa nella lotta contro il capitale internazionale, affrettano la formazione della coscienza rivoluzionaria di grandi masse di lavoratori nei paesi capitalistici e nelle colonie e fanno più che mai dell’URSS un vivaio della rivoluzione mondiale e del VKP(b) quell’avanguardia del leninismo la cui straordinaria esperienza è alla base della formazione ideologica di tutte le sezioni dell’Internazionale comunista”. Se il VI Congresso confermò le decisioni del XV Congresso del partito russo e del IX Plenum dell’IC sull’espulsione di Trotzki, Zinoviev e Kamenev, bollando l’attività controrivoluzionaria e menscevica degli oppositori dopo la loro espulsione, al VII Congresso nella “Risoluzione sulla vittoria del socialismo nell’URSS e la sua portata storica mondiale” (20 agosto 1935), si constatava “con profonda soddisfazione che, sotto la direzione del VKP(b), la ricostruzione socialista dell’economia nazionale, la collettivizzazione agricola, l’eliminazione degli elementi capitalisti e la liquidazione dei kulaki come classe hanno avuto come risultato la vittoria definitiva e irrevocabile del socialismo nell’URSS e il consolidamento, sotto tutti i rapporti, dello Stato della dittatura del proletariato… La vittoria del socialismo nell’URSS è una vittoria di importanza mondiale. Riportata con l’appoggio del proletariato internazionale dagli operai e dai colcosiani dell’URSS, sotto la direzione del miglior compagno del grande Lenin, del capo sagace dei lavoratori del mondo intero, del compagno Stalin, la vittoria del socialismo nell’URSS determina una svolta profonda nella coscienza dei lavoratori di tutti i paesi… Essa distrugge le idee e i concetti, radicati da secoli, sull’eternità e l’immutabilità dell’ordine capitalistico, svela il fallimento delle teorie e dei progetti borghesi di ‘rinnovamento’ della società capitalistica, rivoluzionarizza le masse lavoratrici, ispira loro fiducia nelle loro proprie forze, le convince della necessità e della possibilità di abbattere il capitalismo e di costruire il socialismo. Davanti agli occhi di milioni di lavoratori dei paesi capitalisti e coloniali, davanti agli occhi di tutti gli sfruttati e gli oppressi, una luce vivissima illumina la via della liberazione, la via del socialismo, aperta dall’esempio vivente dell’URSS”.
Pericolo di una nuova guerra mondiale
Già il I Plenum, il 4 marzo 1922, emanò una Risoluzione sulla questione della lotta contro il pericolo di guerra e la guerra. Un tema che sarà all’ordine del giorno all’VIII Plenum dell’Esecutivo riunitosi a Mosca fra il 18 e il 30 maggio 1927 con specifiche Tesi. Nel corso della discussione Togliatti con l’appoggio di Bucharin propose l’adozione come parola d’ordine centrale quella della “lotta per la pace” che fu respinta. Furono smascherati i preparativi di guerra di Stati Uniti e Gran Bretagna contro l’URSS e la Cina, mentre una risoluzione condannò gli interventi di Trotzki e Vujovic di attacco e discredito dell’IC e della sua politica contro la guerra. Il tema fu per la prima volta all’ordine del giorno di un Congresso dell’IC, il VI. Nel dibattito che si svolse in sessione plenaria Dimitrov osservò che “in ragione dell’inevitabilità della guerra imperialista e della guerra antisovietica, a costituire il punto centrale della discussione devono essere i compiti della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, in una guerra di classe, per la difesa della patria del proletariato internazionale e per l’instaurazione della dittatura del proletariato”.
Nelle “Tesi sull’Internazionale Comunista e la guerra” (29 agosto 1928) veniva spiegato ampiamente come “La guerra è inseparabile dal capitalismo”, a cui seguirono la Risoluzione del X Plenum sulla giornata di lotta contro la guerra imperialista (luglio 1929), quella dell’XI Plenum sull’aggravamento del pericolo di un intervento armato contro l’URSS e i compiti dei comunisti (aprile 1931) e quella sui compiti dell’IC di fronte alla preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli imperialisti (20 agosto 1935). Una lunga e articolata “Risoluzione del Presidium sul pericolo di guerra” (1 aprile 1936) contro “il fascismo tedesco, il principale promotore di guerre di tutto il continente europeo” servirà a spiegare dettagliatamente necessità e validità della creazione del fronte unito della pace a livello nazionale e internazionale.
Parlamentarismo
Sulla partecipazione dei partiti comunisti all’elezione delle assemblee legislative borghesi e all’attività parlamentare nelle sue varie forme, dissensi profondi si erano manifestati sin dall’inizio fra le componenti costitutive dei nascenti partiti comunisti in Germania, Inghilterra, Francia, Italia e Olanda. Seppur per i bolscevichi russi le istituzioni parlamentari dovevano essere utilizzate dal partito del proletariato per estendere la propria influenza fra le masse e per smascherare i partiti borghesi attraverso un’opera di agitazione e di propaganda comunista, Lenin, in una lettera alla militante rivoluzionaria inglese Sylvia Pankhurst, del 28 agosto 1919, dichiarava esplicitamente di non ritenere la divergenza sul problema del parlamentarismo essenziale, purché le forze comuniste fossero d’accordo sul vero punto discriminante: la lotta per il potere sovietico come forma storica del passaggio dal capitalismo al socialismo, e aggiungeva: “È meglio essere con gli operai rivoluzionari quando essi sbagliano su una questione particolare e secondaria, che con i socialisti e i socialdemocratici ufficiali se essi non sono rivoluzionari sinceri e fermi, se essi non vogliono e non sanno svolgere il lavoro rivoluzionario fra le masse operaie, ma condividono una tattica giusta su questo punto particolare. E la questione del parlamentarismo è oggi una questione particolare, secondaria ”. Gli stessi concetti saranno ribaditi nella circolare, “Il parlamentarismo e la lotta dei soviet”, del 1° settembre 1919 del Comitato esecutivo dell’IC: “La forma della dittatura proletaria – vi si leggeva – è quella dei soviet, ma non possiamo rinunciare per principio a servirci del parlamentarismo borghese”.
Il dissidio tra gli uffici che l’IC aveva creato nello stesso anno in Europa, tra quello di Amsterdam egemonizzato dagli olandesi Pannekoek e Garter e da Bordiga e quello di Berlino sotto l’influenza della direzione spartachista del KPD, spinsero Lenin a intervenire nel 1920 con la sua celebre opera “L’estremismo malattia infantile del comunismo”, che, assumendo il valore di un documento programmatico, influenzò e orientò la discussione al II Congresso sulle “Tesi sui partiti comunisti e il parlamentarismo”, tra la corretta linea leninista e gli strali “ultrasinistri” ma imbelli dell’anarco-sindacalista tedesco Souchy, l’inglese Gallacher e il dottrinaro e settario Bordiga, il cui astensionismo di principio era assolutamente insostenibile e deleterio.
Sindacato
Le correnti comuniste che si rifiutavano di militare nelle organizzazioni sindacali dirette dai riformisti, come l’Internazionale di Amsterdam, anche quando queste raccoglievano la quasi totalità delle masse operaie, si orientavano verso la costituzione di organismi di base “puri”, composti cioè soltanto di operai di profonda fede rivoluzionaria. La circolare del 1° settembre 1919 del Comitato esecutivo dell’IC condannava questo atteggiamento, indicando fra i compiti fondamentali dei partiti dell’IC quello di formare gruppi comunisti all’interno dei sindacati e di operare per la conquista di questi. Al II Congresso le “Tesi sul movimento sindacale, i consigli di fabbrica e la Terza Internazionale”, che si basavano su questi principi furono approvate con 64 voti favorevoli e 13 astensioni, mettendo in rilievo il persistere di divergenze teoriche e tattiche profonde.
Al I Plenum del 1922 una risoluzione approvata ribadiva con particolare vigore il dovere dei comunisti di non abbandonare i sindacati riformisti e con le direttive del IV Congresso per l’azione comunista nei sindacati (dicembre 1922) continuava la tattica del fronte unito con i sindacati riformisti e socialdemocratici. Sulla questione sindacale citiamo le “Tesi del V Congresso sulla tattica del movimento sindacale” (8 luglio 1924), le risoluzioni del III Plenum (23 giugno 1923) e del IX Plenum (25 febbraio 1928), le “Tesi del VI Plenum sui prossimi compiti dei comunisti nel movimento sindacale” (marzo 1926).
 

Il PCD’I e l’Internazionale
 
Per i suoi ruolo, dimensione e importanza, il Partito comunista italiano è sempre stato oggetto di particolari attenzioni da parte dell’IC, in Europa secondo solo a quello tedesco. Nel 1921 in Italia i rivoluzionari si separarono dai riformisti seguendo il grande insegnamento di Lenin e dell’IC, che quando la classe dirigente di un partito operaio viene meno alla propria funzione e tradisce, tocca alla classe operaia costruire il proprio partito capace di guidarla in modo rivoluzionario, nella lotta contro il proprio nemico di classe, per il socialismo.
Grandi sono stati gli sforzi fatti dalla massima assise del comunismo mondiale per farlo nascere con la scissione di Livorno del 1921, orientarlo e guidarlo sulla retta via marxista-leninista. Un compito inizialmente complesso, in quanto l’opposizione più intransigente all’IC veniva proprio dal PCd’I. Le Tesi sulla tattica redatte da Bordiga e Terracini per il II Congresso del Partito (Roma, 20 marzo 1922) costituivano infatti una negazione senza mezzi termini della politica di fronte unico, tanto che il Presidium dell’IC sentì il bisogno di sottoporle a una critica severa e dettagliatissima.
In realtà, oltre che sulla tattica il PCd’I divergeva a livello ideologico e politico con l’IC. Già Gramsci, che insieme a Togliatti e al gruppo torinese dell’“Ordine Nuovo” costituivano il centro del partito in contrapposizione alla direzione di ‘sinistra’ di Bordiga dalla quale si erano staccati e della destra di Tasca, nella lettera a Togliatti e a Terracini del 9 febbraio 1924, adombrava una tattica e una strategia diverse rispetto a quelle della Rivoluzione d’Ottobre per la conquista del potere politico e del socialismo. Egli sosteneva che “la determinazione, che in Russia era diretta e lanciava le masse nelle strade all’assalto rivoluzionario, nell’Europa centrale ed occidentale si complicava per tutte queste superstrutture politiche, create dal più grande sviluppo del capitalismo, rende più lenta e più prudente l’attività delle masse e domanda quindi al partito rivoluzionario una strategia e una tattica ben più complesse e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo e il novembre 1917”. Tanto che non a caso il 12 luglio1924, su suggerimento del V Congresso del Comintern, l’Esecutivo allargato approvò uno specifico “Programma d’azione per il Partito comunista d’Italia”.
Nel 1925, nonostante la lotta che il gruppo gramsciano conduceva contro Bordiga, quando il leader della ‘sinistra’ oltre a esprimere la sua solidarietà a Trotzki messo all’indice dal partito bolscevico di Stalin, si rese partecipe di una vera e propria attività frazionistica, l’IC fu costretta ad intervenire con la “Risoluzione del V Plenum sulla questione italiana”: “Come la scuola olandese e il sindacalismo italiano – vi si leggeva – anche l’ideologia di Bordiga è un sottoprodotto della Seconda Internazionale: rappresenta l’opposizione rigida e settaria contro l’opportunismo e la degenerazione parlamentaristica di essa. In modo particolare devono essere messi in rilievo tre punti nei quali il leninismo e la politica di Bordiga sono in contrasto tra loro: 1) astensionismo; 2) ruolo del partito; 3) tattica”, e la “Lettera del Comitato esecutivo al Partito comunista d’Italia” del 4 settembre 1925, in cui venivano sistematicamente ripresi ed elencati e sottoposti a critica serrata tutti i principali errori di Bordiga.
Tuttavia nello scontro ideologico e politico in corso nel Partito comunista russo anche Gramsci si schiera con la banda Trotzki-Zinoviev-Kamenev, usando le seguenti parole nella lettera dell’ottobre 1926, inviata, per incarico avuto dall’Ufficio politico del PCd’I, al Comitato centrale del Partito bolscevico: “I compagni Zinoviev, Trotzki, Kamenev hanno contribuito potentemente a educarci per la rivoluzione, ci hanno qualche volta corretto molto energicamente e severamente, sono stati i nostri maestri. A loro specialmente ci rivolgiamo come i maggiori responsabili della attuale situazione, parimenti vogliamo essere sicuri che la maggioranza del CC dell’URSS non intenda stravincere nella lotta e sia disposta a evitare le misure eccessive. L’unità del nostro partito fratello di Russia è necessaria per lo sviluppo e il trionfo delle forze rivoluzionarie mondiali; a questa necessità ogni comunista e internazionalista deve essere disposto a fare i maggiori sacrifici. I danni di un errore compiuto dal partito unito sono facilmente superabili; i danni di una scissione o di una prolungata condizione di scissione latente possono essere irreparabili e mortali”.
Il 28 gennaio 1927 fu la volta della “Risoluzione del Presidium sulla situazione economica e politica dell’Italia e sui compiti del PCd’I”. Nelle Tesi sulla situazione internazionale e sui compiti dell’Internazionale comunista, approvate dal VI Congresso dell’IC il 29 agosto 1928, ancora una volta era espressa la giusta tattica del Comintern verso i comunisti italiani: “Il Partito comunista italiano malgrado il terrore eccezionale di cui è l’oggetto, ha saputo conservare la sua organizzazione illegale e continuare la sua propaganda e la sua agitazione, nella sua vitalità di unico partito che lotta effettivamente per il rovesciamento del fascismo e del regime capitalistico. Esso ha saputo guadagnare una influenza decisiva fra gli elementi più attivi della classe operaia, grazie ai quali la Confederazione generale del lavoro ha potuto sussistere malgrado il tradimento dei capi riformisti. Però, il partito ha commesso l’errore di non aver modificato a tempo i metodi del suo lavoro di organizzazione, in modo da conservare la sua intiera combattività rivoluzionaria nella nuova situazione, nelle condizioni della reazione e delle leggi eccezionali fasciste. Il Congresso incarica i compagni italiani di utilizzare più di prima le possibilità di lavoro in seno alle organizzazioni fasciste di massa e creare delle organizzazioni di massa indipendenti allo scopo di estendere l’influenza del partito”. Concetti ribaditi nella seguente “Risoluzione del Segretariato politico sulla politica del Partito comunista d’Italia” (7 ottobre 1928).
Nonostante gli sforzi dell’IC il PCd’I non riuscirà mai a rivoluzionarizzarsi e a rompere col richiamo della democrazia borghese occidentale. Lo stesso Gramsci, dal carcere, nei Quaderni 1930-1931 esponeva la sua teoria antesignana della futura “via italiana al socialismo”: “In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente, tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale… Mi pare che Ilic aveva compreso che occorreva un mutamento della guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente nel ‘17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente”.
Gramsci, con le sue teorie liberal-riformiste che sostituivano la costruzione dei consigli a quella del partito, il concetto di “blocco storico” a quello di lotta di classe, il concetto di “egemonia” a quello della dittatura del proletariato, e il concetto di “guerra di posizione” a quello di insurrezione rivoluzionaria per il socialismo, pose per primo le fondamenta revisioniste del PCI. Togliatti riprese, sviluppò e applicò quelle teorie con la “via italiana al socialismo”, fondate sul rinnegamento della dittatura del proletariato e della rivoluzione socialista, l’accettazione della democrazia parlamentare borghese, l’accettazione piena della Costituzione borghese come confine all’azione del partito del proletariato, che sta a sua volta all’origine dell’ulteriore passaggio revisionista del partito. In definitiva il revisionismo di destra di Gramsci fu capito e isolato di fatto dalla direzione dell’IC, quello di Togliatti rimase sopito, nascosto dal suo opportunismo.
Dopo lo scioglimento dell’IC prima e del Cominform dopo, Togliatti potè uscire finalmente allo scoperto tanto che nella significativa “Relazione al Comitato centrale del PCI sui lavori del XX Congresso del PCUS”, tenuta il 13 marzo 1956 dichiarò: “La ricerca di una via nostra, italiana, di sviluppo verso il socialismo è stata nostra costante preoccupazione. Credo di poter affermare che essa fu già preoccupazione costante di Antonio Gramsci il quale, in tutta la sua visione politica e particolarmente nell’ultimo periodo della propria vita, fu interessato a dare una traduzione o, per meglio dire, conversione in italiano degli insegnamenti della rivoluzione russa. Di qui la sua analisi della struttura della nostra società; di qui il modo come egli pose il problema dell’alleanza fra operai e contadini in Italia e tutte le altre conseguenze che voi conoscete. Secondo questa linea abbiamo cercato di muoverci e dobbiamo andare avanti”. Tutto chiaro. Sarà anche l’allora segretario generale Enrico Berlinguer nel suo discorso dal titolo “L’importanza di Togliatti nella vita del PCI” del 26 marzo 1973, a ribadire come “Togliatti ha continuato e sviluppato l’indirizzo nuovo impresso da Gramsci alla strategia del movimento operaio italiano”.
 

La futura Internazionale marxista-leninista
 
Dopo la vittoriosa conclusione della seconda guerra mondiale, con la liberazione dei popoli di tutto il mondo dall’oppressione nazifascista, l’esigenza di riunire i partiti comunisti tornò all’ordine del giorno. Fu l’avvio della cosiddetta “guerra fredda” da parte dell’imperialismo occidentale, guidato dagli USA e dalla Gran Bretagna contro l’Unione Sovietica di Stalin e il campo socialista e il consolidarsi del loro dominio e influenza sugli Stati europei, a favorire la nascita dell’Ufficio d’informazione dei partiti comunisti e operai (Cominform, nella sigla russa) alla conferenza tenutasi a Szklarska Poreba, in Polonia, dal 22 al 27 settembre 1947, a cui presero parte i delegati di 9 partiti comunisti: sovietico, jugoslavo, bulgaro, rumeno, ungherese, polacco, cecoslovacco, francese e italiano.
Il rapporto di Zdanov tracciò la linea politica del Cominform, di resistenza alla famigerata “dottrina Truman” dell’imperialismo all’esterno e per combattere il revisionismo di destra all’interno del movimento comunista internazionale che tendeva ad applicare da destra la politica del Fronte popolare. Tant’è che alla prima riunione il PCI fu duramente criticato per opportunismo, legalitarismo e parlamentarismo. Zdanov, riferendosi a esso e al PC francese, disse che “non si trattava di un piccolo cambiamento; ma di cambiare radicalmente la linea politica”.
La successiva assemblea plenaria che si tenne nel giugno 1948 a Bucarest sancì l’espulsione dal Cominform del PC jugoslavo diretto da Tito per le sue posizioni revisioniste contrarie al marxismo-leninismo e per l’atteggiamento ostile verso l’Unione Sovietica e il campo socialista.
La nascita del Cominform fu salutata da Mao con queste parole: “I Partiti comunisti e operai di nove paesi europei hanno costituito un ufficio d’informazioni e lanciato un appello ai popoli del mondo perché si levino contro il piano di asservimento dell’imperialismo. Questo appello alla lotta ha incoraggiato i popoli oppressi del mondo, indicando loro la via della lotta e rafforzandone la fiducia nella vittoria. Questo appello ha gettato la reazione mondiale nel panico e nella confusione”. Di diverso avviso fu Togliatti, che all’epoca sosteneva la nuova organizzazione comunista internazionale finché fu in vita, per poi attaccarla codardamente e da traditore qual era dopo la morte di Stalin e il XX Congresso del PCUS del 1956 che segnarono la fine dell’esperienza del Cominform, il cui scioglimento formale si ebbe il 17 aprile 1956: “Quando si formò l’Ufficio di informazione, - dirà il 24 giugno del 1956 nel Rapporto al CC del PCI – non nego che ci fosse qualche dubbio tra di noi, per avere avvertito che quell’atto, in sostanza, fosse contrario alla linea di sviluppo del movimento comunista che era stata presa quando venne sciolta l’Internazionale comunista”. Rincarando la dose il 21 aprile 1964 nel Rapporto al CC e alla Commissione centrale di Controllo del PCI aggiunse: “Il grande slancio innovatore dato al movimento operaio e comunista dal VII Congresso dell’Internazionale comunista, che si tradusse in quei grandi avvenimenti che furono il fronte popolare in Francia, la difesa della Repubblica spagnola, l’unità nella lotta per abbattere il fascismo, non fu portato avanti, dopo la guerra, come avrebbe dovuto e potuto. Fu sbagliato il tentativo di far rivivere, in forme mascherate, quell’organizzazione internazionale centralizzata che era stata sciolta per affermare la necessità dello sviluppo autonomo di ogni partito nella lotta per la democrazia e il socialismo. Molte possibilità di avanzata non poterono essere utilizzate. Ci staccammo dagli sviluppi del pensiero e della cultura. Vi fu una stagnazione, insomma, che avrebbe potuto diventare anchilosi, se il XX Congresso dell’Unione Sovietica non avesse dato allo schematismo e al dogmatismo colpi decisivi, se a quel congresso non fossero stati affrontati e posti finalmente in modo nuovo e giusto problemi che non potevano più essere rinviati o taciuti”.
Gli ultimi tentativi per salvare e rilanciare il movimento comunista internazionale furono le due conferenze dei Partiti comunisti di tutto il mondo che si tennero a Mosca nel 1957 e nel 1960. Mao alla prima conferenza pronunciò importanti discorsi sull’unità dei Partiti comunisti e all’interno dei Partiti comunisti. Grande fu l’opera senza riserve del PCC diretto da Mao per dare al movimento comunista internazionale una linea generale corretta, che si completerà con la risposta del CC del PCC alla denigratoria, offensiva e antimarxista-leninista lettera del 30 marzo 1963 del CC del PCUS pubblicata dal Ren Min Ribao a Pechino il 17 giugno 1963. In essa vi si leggeva che “Difendere fermamente i principi rivoluzionari delle dichiarazioni del 1957 e del 1960 è compito urgente del momento attuale… Si tratta in definitiva di sapere se si ammette o no la verità universale del marxismo-leninismo, il valore universale della Rivoluzione d’Ottobre, se si ammette o no la necessità per i popoli che vivono ancora sotto il regime imperialista e capitalista, e che comprendono i due terzi della popolazione del mondo, di fare la rivoluzione, e la necessità per i popoli che si sono già avviati lungo la strada del socialismo, e che rappresentano un terzo della popolazione mondiale, di condurre la rivoluzione fino alla fine… Ridurre la linea generale del movimento comunista internazionale alla ‘coesistenza pacifica’, alla ‘competizione pacifica’ o al ‘passaggio pacifico’, significa rinunciare alla missione storica della rivoluzione mondiale proletaria e tradire la dottrina rivoluzionaria del marxismo-leninismo… Secondo i marxisti-leninisti, non esiste Stato senza carattere di classe, né Stato al di sopra delle classi. Se c’è Stato deve avere invariabilmente carattere di classe: fino a quando esisterà lo Stato, questo Stato non potrà mai essere di ‘tutto il popolo’… Le due dichiarazioni hanno indicato che il revisionismo, o, in altre parole, l’opportunismo di destra, costituisce il principale pericolo per il movimento comunista internazionale. Il revisionismo jugoslavo rappresenta il revisionismo moderno”.
Ad essa si oppose fermamente ancora una volta il CC del PCI diretto da Togliatti: “La gravità delle posizioni assunte negli ultimi anni dal Partito comunista cinese – si leggeva nella risoluzione del 21 ottobre 1963 - consiste prima di tutto nel fatto che esse attaccano e cercano di colpire questa svolta iniziatasi col XX Congresso [del PCUS]. Questo attacco dei compagni cinesi alla linea del XX Congresso e al gruppo dirigente sovietico [Krusciov], che ha il merito di aver compiuto quella svolta, deve essere respinto e battuto. Non si va indietro rispetto alla linea del XX Congresso, si può e si deve andare avanti. Lì c’è un’autocritica che il movimento comunista internazionale deve farsi, non è quella di aver approvato la linea del XX, ma è quella di non aver ancora tratto tutte le conseguenze necessarie – nell’azione e nello sviluppo della dottrina – dagli orientamenti nuovi che al XX Congresso furono affermati”.
In questa fase nasce in pratica il nuovo movimento comunista internazionale. Come era avvenuto ai tempi dell’IC anche questa volta i comunisti si separano dai revisionisti e danno vita a nuovi Partiti marxisti-leninisti. Comincia una nuova epica lotta contro il revisionismo e l’imperialismo nella quale emerge Mao con tutta la potenza del suo pensiero e della sua azione rivoluzionaria che incoraggia il proletariato dei paesi capitalisti a intraprendere lotte rivoluzionarie per la conquista del potere politico e sollecita i popoli e le nazioni oppresse a gettarsi coraggiosamente nelle fiamme della guerra popolare per la liberazione nazionale. Mao ha svolto un ruolo fondamentale nella lotta dei popoli contro l’imperialismo sia sul piano ideologico che su quello politico. Egli ha difeso e sviluppato la teoria di Lenin sull’imperialismo e la linea antimperialista e internazionalista proletaria di Lenin e del suo successore Stalin. Senza la sua opera il revisionismo moderno e l’imperialismo avrebbero imbalsamato il mondo.
Quando nel 1989 “crollò” il muro di Berlino, gli imperialisti, i borghesi e i fascisti gridarono ai quattro venti che era “caduto il comunismo”. In realtà ciò segnava la fine dei regimi revisionisti. Il proletariato internazionale, riguardo alla costruzione del socialismo, ha così fatto una nuova esperienza, anche se amara e pagata con tanto sangue, sacrifici e umiliazioni. La parte più cosciente di esso ha capito che nel socialismo la rivoluzione va portata fino in fondo non scostandosi nemmeno di un millimetro dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao e non concedendo niente alla borghesia e al revisionismo, sia nella politica nazionale che internazionale.
Incancellabile è stata l’opera rivoluzionaria e marxista-leninista di Mao per orientare correttamente e tenere uniti i vari partiti marxisti-leninisti, anche se alla fine è stata vanificata perché essi, nella stragrande maggioranza, erano in mano a opportunisti e agenti dei revisionisti e a causa del frazionismo, del settarismo e del dogmatismo dell’imbroglione Enver Hoxha.
Il nostro Partito – affermava il compagno Giovanni Scuderi nel discorso alla sesta Sessione plenaria del 5° Comitato centrale tenutosi a Firenze il 14 gennaio 2018 - è uno dei pochi partiti autenticamente marxisti-leninisti esistenti nel mondo. Ciò ci rende responsabili anche nei confronti dei partiti di altri paesi che ci guardano con attenzione e simpatia e prendono coraggio ed esempio da noi.
Attualmente nel mondo – continuava Scuderi – esistono almeno trecento partiti che si definiscono comunisti. Centotre di essi di 77 paesi, tra cui i partiti cinese, coreano del Nord, vietnamita e cubano e i partiti italiani PRC, PCI e PC, fanno parte degli incontri internazionali dei partiti comunisti e operai fondati nel 1998 su iniziativa del partito comunista greco (KKE) presente nei parlamenti greco e dell’Unione europea… Ventotto partiti di 25 paesi, in stragrande maggioranza partecipanti ai suddetti incontri internazionali fanno parte di “Iniziativa dei partiti comunisti e operai d’Europa” inclusi la Russia e la Turchia, fondata nell’ottobre 2013 su impulso del KKE. Il PC è nella segreteria. Cinquanta partiti di 42 paesi, tra cui il Partito comunista (marxista-leninista) di Panama e un tempo anche i CARC, fanno parte del Coordinamento internazionale dei partiti e organizzazioni rivoluzionari (ICOR) fondato nell’ottobre 2010 egemonizzato dal Partito marxista-leninista di Germania… Ventiquattro partiti di 24 paesi, tra cui un gruppo italiano, fanno parte della Conferenza internazionale dei partiti e delle organizzazioni marxisti-leninisti (CIPOML) fondata il 1° agosto 1994… Esiste anche un Comitato di coordinamento dei partiti e di movimenti maoisti dell’Asia meridionale fondato nel 2001 da undici partiti del Bangladesh, Bhutan, India, Nepal, Sri Lanka…
Come abbiamo visto, il mondo è popolato di tanti partiti che si pregiano del titolo di comunista. Ma quanti lo meritano veramente? Secondo noi – proseguiva Scuderi – non lo meritano affatto i partiti che sono al potere nei paesi sedicenti socialisti. E gli altri? Un grosso punto interrogativo, che non riguarda certo il PC(ML) di Panama con il quale abbiamo affinità ideologica e politica, un rapporto fraterno e una piena cooperazione di classe, rivoluzionaria, marxista-leninista e internazionalista proletaria. Siamo comunque aperti e disponibili verso qualsiasi partito straniero che voglia confrontarsi col PMLI. Con quelli italiani con la bandiera rossa e la falce e martello, salvo eccezioni, siamo pronti all’unità di azione per le questioni di comune interesse. In ogni caso niente e nessuno potrà distoglierci dalla lotta contro il capitalismo e per il socialismo, che consideriamo il contributo più grande che noi possiamo dare ai veri partiti comunisti del mondo che portano avanti la nostra stessa lotta”.
Se i partiti dei vari paesi che si richiamano al marxismo-leninismo-pensiero di Mao operano effettivamente sulla base di questa grande e invincibile teoria e si liberano da ogni influenza del revisionismo di destra e di “sinistra”, in futuro potrebbe essere costituita l’Internazionale marxista-leninista.
Per noi sono sempre valide e attuali le nostre idee e proposte espresse dal compagno Scuderi nel già citato discorso al II Congresso nazionale del PMLI del 1982: “ Primo . Consolidare e sviluppare il proprio Partito attraverso una lotta risoluta contro il revisionismo e le tendenze liquidazioniste esistenti al suo interno, e attraverso un profondo radicamento nella realtà sociale e politica del rispettivo paese.
Secondo . Applicare risolutamente la via dell’Ottobre alle condizioni specifiche del proprio paese. Questo significa per prima cosa rifare un bagno salutare nel marxismo, rimettere in auge, e considerare come ancora valide e attuali, la concezione leninista del Partito, la dittatura del proletariato, l’egemonia del proletariato e del suo Partito, la rivoluzione socialista e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.
Terzo . Suscitare a livello internazionale un grande movimento di sostegno e aiuto reciproco tra tutti gli autentici Partiti marxisti-leninisti.
Guardando in prospettiva, da questo lavoro di ripulitura, riorganizzazione e rilancio del movimento comunista internazionale, dovrebbe scaturire, secondo noi, una nuova Organizzazione proletaria e rivoluzionaria, l’Internazionale marxista-leninista. Non si tratterebbe, s’intende, di far rivivere esperienze ormai passate e irripetibili, ma di un’Organizzazione completamente nuova che, sulla base di un bilancio sistematico dell’esperienza della III Internazionale e delle successive esperienze organizzative, getti le fondamenta, e ne stabilisca la linea, della nuova unione dei Partiti autenticamente marxisti-leninisti… Vivere ed operare in ambienti diversi, avere esperienze e storie diverse e programmi particolari diversi non dovrebbe significare che i tratti fondamentali ideologici, politici, programmatici e organizzativi dei vari Partiti marxisti-leninisti siano diversi tra di loro. Le diversità hanno un senso solo se non entrano in antagonismo con la radice comune marxista-leninista e con i compiti internazionalistici che si pongono a tutti i Partiti marxisti-leninisti. Questi non hanno bisogno né di un partito padre né di un partito guida, ma non possono fare a meno di avere dei punti di riferimento comuni, un’Organizzazione internazionale che li metta in condizione di poter scambiare regolarmente e liberamente le rispettive esperienze e informazioni, di poter concordare una linea d’azione comune a livello internazionale, di poter promuovere e coordinare il reciproco aiuto e la solidarietà di tutti verso ciascun Partito… Ci rendiamo conto che l’Internazionale marxista-leninista non può essere creata in un giorno e senza un’adeguata discussione e preparazione collettiva di tutti i Partiti autenticamente marxisti-leninisti. Ancora devono maturare le coscienze, le condizioni e i tempi, ma è divenuta un’impellente esigenza, un compito storico di tutti i marxisti-leninisti del mondo che non può essere eluso.
Forse passeranno degli anni prima che quest’idea si affermi e che ci siano le condizioni per realizzarla nella pratica, ma il tempo e i fatti lavorano per essa. L’Internazionale sarà la futura umanità”.
Viva la Terza Internazionale!
Gloria eterna ai suoi artefici, Lenin e Stalin!
Abbasso i traditori del marxismo-leninismo-pensiero di Mao!
Viva l’unità militante dei partiti, delle organizzazioni e dei gruppi autenticamente marxisti-leninisti dei vari Paesi!
Viva l’internazionalismo proletario!
Per l’Internazionale marxista-leninista!
Lottiamo contro il capitalismo, l’imperialismo, il colonialismo, il fascismo e il razzismo!
Buttiamo giù il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
 
Il Comitato centrale del PMLI
 
Firenze, 3 febbraio 2019

27 febbraio 2019