Elezioni regionali in Sardegna del 24 febbraio 2019
Battuta d'arresto dell'astensionismo per le 24 liste. Ma quasi metà dell'elettorato si astiene
La destra batte la "sinistra" borghese. Disfatta del M5S. Il PD ai minimi storici. La Lega non sfonda. "Il manifesto" trotzkista semina illusioni elettorali e governative
Continuiamo a sostenere l'astensionismo e a dargli un carattere anticapitalista, antistituzionale e per il socialismo

In Sardegna alle elezioni regionali del 24 febbraio l'astensionismo registra una battuta d'arresto, con un arretramento dell'1,8% rispetto alle precedenti consultazioni del 16 febbraio 2014, ma l'astensionismo resta comunque altissimo, al 47,7%, con quasi 700 mila elettori, quasi la metà dell'intero corpo elettorale, che hanno disertato le urne o hanno annullato la scheda o votato scheda bianca. Se il confronto si fa con le elezioni del 4 marzo 2018, dove essendo la partecipazione al voto alle politiche abitualmente più alta, l'astensione è stata del 36,5%, c'è stata una diminuzione di 11,2 punti dei voti validi.
Ma sulla frenata dell'astensionismo alle regionali c'è anche da dire che il grande spostamento verso l'astensionismo il popolo sardo lo aveva già compiuto cinque anni fa, quando la diserzione dalle urne aveva registrato un balzo del 15,3% rispetto alle regionali del 2009. E questo, unitamente alla grande proliferazione delle liste, ben 24 di cui molte di carattere locale e autonomista, e alle aspettative della sfida tra il "centro-destra" trainato da Salvini e il "centro-sinistra" guidato dal sindaco di Cagliari Zedda, che si avvalevano rispettivamente di 11 e 8 liste collegate, spiega il perché del pur modesto aumento dei voti validi (circa 20 mila su poco meno di un milione e mezzo di elettori), in gran parte dovuto all'aumento dei votanti (+1,4%) rispetto alla diminuzione delle schede bianche e nulle.

Un quadro più articolato di quel che è stato detto
Tuttavia i risultati disaggregati per le 8 circoscrizioni elettorali in cui è divisa la Sardegna mostrano che la battuta d'arresto dell'astensionismo è tutt'altro che uniforme in tutta l'isola, ma piuttosto è il risultato finale di un quadro più articolato che meriterebbe di essere analizzato a fondo a livello locale. Confrontando i dati dei votanti e degli astenuti (diserzione dalle urne, nulle e bianche) tra il 2019 e il 2014 e per le diverse circoscrizioni, si può vedere infatti che in alcune di esse, come a Cagliari e nel Medio Campidano, e in minor misura a Carbonia-Iglesias e Oristano, c'è un aumento dei votanti e un corrispondente arretramento dell'astensionismo (la diversa misura indica il diverso peso delle schede bianche e nulle rispetto al non voto); mentre in altre, come nelle circoscrizioni Olbia-Tempio e Sassari, si ha un risultato praticamente invariato, e nelle circoscrizioni di Nuoro, Sassari e dell'Ogliastra c'è addirittura un aumento dell'astensionismo: più consistente a Nuoro (+3,8% astenuti e -3,6% di votanti) e meno a Sassari (-0,7% di votanti e +0,5% di astenuti) e nell'Ogliastra, dove comunque c'è un calo dell'1,4% dei votanti, annullato però da una diminuzione delle bianche e nulle.
Da notare che la circoscrizione di Nuoro, cuore storico della Sardegna, comprende molti comuni a spiccata economia pastorizia o legata ad essa, come Orgosolo, Orune, Macomer, Mamoiada ecc., ma anche il petrolchimico di Ottana, e sarebbe interessante analizzare i dati locali per vedere se c'è un rapporto tra l'aumento dell'astensionismo in questa provincia e la lotta dei pastori sardi e la deindustrializzazione che affligge da anni l'Isola. L'aumento del 4,1% dei votanti registrato a Cagliari appare verosimilmente trainato dalla candidatura di Zedda, e va anche aggiunto che proprio Cagliari e Medio Campidano, che hanno avuto l'affluenza più alta di votanti, sono anche le circoscrizioni in cui la diserzione dalle urne aveva già toccato le punte più alte nel 2014, rispettivamente col +16% e +18%.
In ogni caso questa variabilità della partecipazione al voto nell'isola conferma ancora una volta che l'astensionismo non è un fenomeno legato all'invecchiamento della popolazione, al crescente disinteresse per la politica o ad altri fattori "fisiologici" e occasionali, come si vorrebbe far credere per considerarlo trascurabile e ininfluente sulla situazione politica, ma è uno strumento che l'elettore usa o non usa, consapevolmente e a seconda dei casi specifici, per mandare un preciso segnale politico. È invece un fattore decisivo che quando assume dimensioni massicce è in grado di sconvolgere l'esito elettorale: come si è visto ad esempio, prima in Abruzzo e ora ancor più in Sardegna, soprattutto nel caso del M5S.

Il "centro-destra" batte di gran lunga il "centro-sinistra"
Per quanto riguarda i 7 candidati presidente e le relative 24 liste di sostegno, il "centro-destra" batte di gran lunga il "centro-sinistra", con oltre 150 mila voti di differenza, strappandogli la guida della Regione conquistata cinque anni fa con il renziano Franceco Pigliaru. Vince la corsa per la presidenza l'ex democristiano di origine cossighiana, e oggi leader del Partito sardo d'azione strettamente alleato con la Lega di Salvini, Christian Solinas, con quasi 384 mila voti pari al 47,8% dei voti validi, mentre il suo diretto concorrente, l'ex Sel Massimo Zedda, si ferma a 250 mila voti e al 32,9%, dopo che i primi exit-poll avevano alimentato l'illusione di un testa a testa col suo rivale.
Tuttavia Solinas, detto anche "l'uomo ombra", per essere stato completamente oscurato dalla straripante onnipresenza di Salvini durante la campagna elettorale, e che in testa al suo programma ha "una legge urbanistica che superi il Piano paesaggistico regionale" per restituire impulso all'edilizia in barba ai vincoli ambientali, ha ottenuto meno dei voti della chilometrica coalizione di partiti di "centro-destra" che lo sosteneva, a cominciare da Lega, FI, FdI e dal suo. Al contrario del sindaco di Cagliari, che invece ha ottenuto più voti della coalizione di "centro-sinistra" formata da PD, LeU, Campo progressista di Pisapia, Sardegna in comune di Pizzarotti, Cristiano popolari socialisti, falsi comunisti e dalla sua lista personale, fermatasi al 30,1% dei voti validi e che ha perso oltre 76 mila voti rispetto a cinque anni fa.

La Lega vince ma non sfonda
Comunque, per quanto definita "schiacciante", la vittoria di Solinas e della destra borghese si ridimensiona alquanto se vista in rapporto al totale degli elettori anziché dei voti validi, perché in tal caso si può vedere che il nuovo governatore della Sardegna e il vincente "centro-destra" sono stati votati da appena un elettore su quattro. E anche se Salvini canta vittoria, perché mentre nel 2014 la Lega non si era nemmeno presentata e oggi entra nel Consiglio regionale con l'11,4% dei voti validi, risucchiati sia a FI che al M5S, in realtà non c'è stato l'atteso sfondamento come in Abruzzo, nonostante che Salvini si fosse trasferito in permanenza sull'isola per batterla palmo a palmo con la sua asfissiante propaganda demagogica e razzista, intestandosi pure abusivamente la lotta dei pastori sardi con false promesse di un rapido quanto illusorio soddisfacimento delle loro richieste. La verità è che in termini di voti reali la Lega in Sardegna, pur se riempita, come è emerso dai giornali, di massoni, riciclati e impresentabili, vale ancora appena il 5,5% dell'elettorato.
Se Salvini non ha motivo di ridere troppo, Berlusconi ne ha invece per piangere molto, visto che il suo partito dimezza i consensi scendendo al 9,9% e perdendo quasi 70 mila voti rispetto a cinque anni fa, verosimilmente andati in gran parte ad ingrassare il leader fascio-leghista, confermando anche nei numeri il crollo già subito alle scorse politiche. Da notare che con Solinas sono stati eletti anche un candidato della sua lista e due di FI con condanne pendenti di 1° grado, che per la legge Severino dovrebbero dimettersi dal Consiglio regionale. Non sappiamo invece se siano stati eletti altri cinque candidati censurati dall'Antimafia perché rinviati a giudizio, di cui due della coalizione di Zedda e tre di quella di Solinas.

Il PD sempre in caduta libera
Il fatto che il "centro-sinistra" di Zedda abbia segnato una relativa inversione di tendenza rispetto a quello di marca renziana delle scorse politiche, che era crollato al 20,8%, e abbia recuperato circa 32 mila voti pari ad un 9,3%, unitamente alla disfatta del M5S che ha fatto diventare il PD secondo partito nella Regione, ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla "sinistra" borghese, immaginando già future rivincite. Ma la realtà è che il recupero del "centro-sinistra" è dovuto solo all'effimera accozzaglia di liste messe insieme da Zedda, perché il PD non soltanto perde qualcosa come 55 mila voti rispetto alle precedenti regionali, ma ne perde oltre 33 mila anche rispetto alle politiche di appena un anno fa, scendendo al 13,5% dei voti validi, pari al 6,5% degli elettori. Semina dunque nuove illusioni elettorali "il manifesto" trotzkista, quando con l'editoriale di Norma Rangeri, rallegrandosi per "l'aumento dell'affluenza che supera il 50%" e la "dignitosa sconfitta del centrosinistra con il 33%", si affretta a leggere nel voto sardo l'indicazione alla "sinistra" borghese ad "unire le forze nel faticoso e difficile percorso di risalita", forse già immaginando la successiva vittoria di Zingaretti alle primarie del PD.

La disfatta del M5S
Chi invece in Sardegna ci ha lasciato letteralmente le penne è il M5S, che appena un anno fa aveva fatto il pieno di voti conquistando il 42,5% dei voti validi, e adesso si ritrova in mano appena il 9,7% (il 4,7% degli elettori!), mentre il suo candidato, Francesco Desogus, con l'11,2% non entra nemmeno in Consiglio comunale. Non è servito ad evitare il disastro nemmeno lo specchietto per le allodole del reddito di cittadinanza, come ha ammesso candidamente Desogus, lagnandosi per i mancati 126 mila voti, che sarebbero "bastati per vincere", di elettori sardi e relativi familiari che hanno fatto domanda per ottenerlo.
Ha un bel consolarsi il ducetto Di Maio dichiarando che a livello nazionale ciò "non cambia niente", che confrontare regionali e politiche è "come confrontare le mele con le pere", e che comunque il M5S entra per la prima volta nel Consiglio regionale della Sardegna. La verità è che la sua è una clamorosa disfatta, che lascia sul campo oltre 300 mila voti, pari a ben il 22% dell'elettorato che gli ha voltato le spalle. E comunque, anche se alle regionali del 2014 non si era presentato (ma solo perchè Grillo non aveva concesso l'uso del simbolo a causa delle liti intestine), alle europee di quello stesso anno il M5S aveva ottenuto il 30,5%, quindi la disfatta vale anche per allora.
Tant'è vero che dopo quest'altra devastante mazzata, dopo quella dell'Abruzzo, l'opposizione interna ha rialzato la testa, cominciando a mettere in dubbio la stessa leadership di Di Maio. Mentre quest'ultimo, che si è inchiavardato alla poltrona per i prossimi quattro anni, è pur dovuto correre ai ripari mettendo all'ordine del giorno per la prima volta il superamento dei due mandati e le alleanze con altre liste per le elezioni (per ora) locali, e la creazione di una vera e propria segreteria di fedelissimi per strutturare il movimento come un partito verticistico a tutti gli effetti.

Battuta d'arresto ma non inversione di tendenza
L'astensionismo ha giocato il ruolo preponderante in questa disfatta, come ha confermato anche l'Istituto Cattaneo analizzando i flussi elettorali sul voto per i governatori nei comuni di Cagliari e Sassari: i delusi del M5S passati all'astensione sarebbero infatti la maggioranza, con rispettivamente il 33% e il 27%. In misura minore sarebbero gli ex elettori del M5S passati al "centro-destra" (il 18% a Cagliari e il 33% a Sassari) e quelli "ritornati" al "centro-sinistra" (26% a Cagliari, città di Zedda, e il 15% a Sassari). Ora il M5S è ancora più succube del vincente Salvini, il quale già ne sta approfittando per aumentare il pressing sui temi che gli interessano, in particolare sulla Tav, sulla legittima difesa e sull'autonomia.
Per tutto quanto detto, pur registrando l'oggettiva battuta d'arresto in senso generale dell'astensionismo in Sardegna, noi non la consideriamo affatto un'inversione di tendenza, viste le varie e anche notevoli conseguenze che ha provocato sul quadro politico regionale e anche nazionale. Continuiamo quindi a sostenere e propagandare l'astensionismo, affinché assesti colpi sempre più devastanti ai partiti del regime neofascista, e con l'obiettivo di dargli un carattere anticapitalista e antistituzionale di sinistra, affinché il proletariato e le masse popolari si liberino delle illusioni elettorali, parlamentari e riformiste e si convincano della necessità della lotta per conquistare il potere politico e il socialismo.
 
 
 
 
 

6 marzo 2019