Il piano golpista di Gelli condiviso da Berlusconi, Renzi e Martina
PM: Sulla separazione delle carriere dei magistrati “come la P2”
Il rischio è di sottomettere i pm al governo
Come rispondendo a un riflesso condizionato, l'incarcerazione del condannato in via definitiva per corruzione Roberto Formigoni e gli arresti domiciliari comminati ai genitori di Renzi, hanno fatto correre ai ripari i politicanti del regime neofascista rispolverando il vecchio piano piduista della separazione delle carriere dei magistrati e il loro assoggettamento al potere politico. Il 23 febbraio il deputato e avvocato di Berlusconi, Francesco Paolo Sisto, è corso a depositare e illustrare in commissione Affari costituzionali della Camera una legge di iniziativa popolare proposta dall'Unione camere penali (organo degli avvocati) che istituisce la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, attualmente unificate come prescrive la Costituzione, la cui discussione è già stata messa all'ordine del giorno dei lavori della Commissione.
L'iniziativa non è passata inosservata agli occhi dì molti magistrati, che l'hanno giustamente inquadrata nel clima di delegittimazione che contro di loro si va sempre più fomentando nel Paese da parte dei leader politici più in vista, come Salvini con i suoi attacchi alla magistratura per il caso Diciotti e per spianare la strada alla sua legge sulla legittima difesa a prescindere, e come Renzi con le sue sparate sulla "giustizia a orologeria" a proposito dell'arresto dei suoi genitori.
Lo hanno denunciato ad esempio i magistrati della corrente democratica borghese progressista Area, sottolineando che "ancora una volta, a fronte di iniziative e provvedimenti giudiziari assunti nell'ambito di inchieste che attengono a esponenti politici e i loro congiunti, si invoca la separazione delle carriere. Ciò che si vuol riformare non è il processo penale ma i magistrati, rei di adempiere al proprio dovere dando attuazione al principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge".
Anche l'Associazione nazionale magistrati (Anm) si è espressa nettamente contro la separazione delle carriere, per bocca del suo presidente Francesco Minisci che ha sottolineato il rischio di una sudditanza del pm all'esecutivo, con la conseguenza che "la tutela dei diritti e la difesa delle garanzie sarebbero incerte e legate alle stagioni".

Come prevedeva la P2 di Gelli
Ma ci sono anche molti magistrati che hanno evocato senza mezzi termini il Piano di rinascita democratica di Gelli, che tra i suoi punti prevedeva esplicitamente anche la separazione delle carriere tra pm e giudici e altri punti miranti al completo assoggettamento del potere giudiziario al potere esecutivo. Tra i provvedimenti più urgenti il piano della P2, redatto presumibilmente tra il 1975 e il 1976, riguardo all'ordinamento giudiziario prevedeva infatti: "la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati; il divieto di nomina sulla stampa dei magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari; la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali preliminari); la modifica delle norme in tema di facoltà libertà provvisoria in presenza dei reati di eversione – anche tentata – nei confronti dello Stato e della Costituzione, nonchè di violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, di sequestro di persona e di violenza in generale".
E tra le modifiche istituzionali da adottare per l'ordinamento Giudiziario, il piano di Gelli indicava testualmente:
"I – unità del Pubblico Ministero (a norma della Costituzione – articoli 107 e 112
ove il P.M. è distinto dai giudici);
II – responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del P.M.
(modifica costituzionale);
III – istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni segreto istruttorio con i relativi e
connessi pericoli ed eliminando le attuali due fasi di istruzione;
IV – riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che deve essere
responsabile verso il Parlamento (modifica costituzionale);
V – riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione
per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le
funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a
giudicante la funzione pretorile;
VI – esperimento di elezione di magistrati (Costit. art. 106) fra avvocati con 25
anni di funzioni in possesso di particolari requisiti morali".
Gli articoli 107 e 112 della Costituzione sono quelli che sanciscono rispettivamente la distinguibilità dei magistrati solo per diversità di funzioni e l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale per il pubblico ministero: è evidente che se crollassero questi due capisaldi, come preconizzato da Gelli e rivendicato dai politicanti del regime neofascista, si aprirebbe la strada alla sottomissione del potere giudiziario a quello politico, perché sarebbe quest'ultimo a controllare direttamente i pm e a scegliere quali inchieste permettere e quali invece vietare. Anche perché potrebbe avvalersi di altre facoltà, come gli esami "psicoattitudinali" e meritocratici per selezionare i magistrati più compiacenti con l'esecutivo, la loro diretta dipendenza dal ministro della Giustizia (che infatti ne sarebbe "responsabile verso il parlamento"), la separazione delle carriere requirente e giudicante, la fine dell'autonomia del Csm e la sua completa subordinazione al parlamento.

Chi vuole la separazione delle carriere
Non a caso la separazione delle carriere dei magistrati è sempre stato un cavallo di battaglia degli aspiranti nuovi Mussolini che dalla metà degli anni '70 si sono succeduti al governo; a cominciare da Craxi, che l'aveva incorporata nel suo tentativo di "Grande riforma" presidenzialista, proseguendo con il rinnegato D'Alema che la prevedeva nella controriforma istituzionale elaborata dalla sua Bicamerale golpista abortita, fino a Berlusconi, per il quale l'assoggettamento della magistratura al governo è sempre stata una vera ossessione.
Oggi torna prepotentemente alla ribalta in parlamento con il consenso di due ex neoduce come Belusconi e Renzi, ai quali si unirà più che volentieri l'aspirante neoduce Salvini, visto che quella legge di iniziativa popolare la firmò pubblicamente un anno fa a Lucca. Basti pensare a questo proposito alla famosa cena romana a tema sulla "riforma della giustizia" organizzata dalla giornalista de "Il Foglio" Annalisa Chirico, che tra gli ospiti di punta vedeva proprio Salvini e i renziani Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi. Inoltre la separazione delle carriere dei magistrati piace anche a Martina, uno dei principali boss del PD, che l'aveva inserita tra i punti della sua mozione congressuale. Per non parlare dei renzianissimi Giachetti e Orfini, che ultimamente si erano distinti per l'attacco ai giudici sul caso dei genitori di Renzi e che siedono entrambi nella commissione Affari costituzionali accanto al berlusconiano Sisto.
Del resto il PD è storicamente incline alla tentazione di normalizzare i magistrati, visto che è stato proprio il governo Renzi nel 2015 a completare la legge sulla responsabilità civile dei giudici già introdotta nel 1988, come auspicava Gelli e aveva tentato di fare senza riuscirci anche Berlusconi. Ed era stato il governo di "centro-sinistra" Prodi nel 2007, con la legge Mastella di "riforma dell'ordinamento giudiziario", a separare di fatto le carriere dei magistrati perché, come ha denunciato a "Il Fatto Quotidiano" il membro del Csm Sebastiano Ardita, "se vuoi passare da pm a giudice devi cambiare regione e, se vuoi tornare pm, puoi dimenticarti di fare carriera, perché perdi anni di specificità e dunque tritoli. Ormai, togliendo quelli di prima nomina o inviati nelle sedi disagiate, cambia funzioni meno di un magistrato su dieci".
Il fine ultimo di questa proposta "è quello di far cadere un limite costituzionale all'esercizio del potere pubblico, ponendo forme di controllo sul pm", ha spiegato Ardita, sottolineando che in passato questa forma di controllo fu non solo un caposaldo del Piano di rinascita democratica della P2, ma prima ancora del fascismo, quando i pm erano funzionari sottoposti al Guardasigilli.

13 marzo 2019