Relazione di Andrea Cammilli alla Riunione allargata della Commissione di massa del CC del PMLI
Bilancio critico e autocritico del lavoro svolto dai marxisti-leninisti al XVIII Congresso nazionale della CGIL

Saluto calorosamente tutte le compagne e i compagni che sono qui presenti, a partire da chi non gode di buona salute e chi è venuto da più lontano. Vi ringrazio anzitutto perché avete dovuto fare dei sacrifici per poter venire, considerando che ognuno di voi è impegnato politicamente su altri fronti, oltre a quello sindacale. Ringrazio la Commissione di organizzazione e i compagni fiorentini in generale che ci hanno permesso di svolgere al meglio questa riunione nei locali della Sede centrale del Partito.
Apriamo questa riunione salutando calorosamente tutti coloro che parteciperanno alle manifestazioni nazionali che si svolgeranno oggi a Prato e a Roma. La prima contro la marcia dei fascisti nella città toscana, la seconda per il clima e contro le grandi opere inutili.
Sono passati circa due anni e mezzo dalla precedente riunione della nostra commissione, era il settembre 2016. In questo lasso di tempo si sono succeduti una miriade di avvenimenti; tra i principali ne metterei in evidenza due. Il primo, anche in ordine cronologico, si tratta dell'avvicendamento alla guida del governo borghese, passata dalle mani del duce democristiano Renzi, rovinosamente caduto in disgrazia, a quelle dei due ducetti Salvini-Di Maio che hanno dato vita a un pericoloso governo nero Lega-5 Stelle, insediatosi dopo una lunga trattativa e che ha come presidente del consiglio il prestanome Giuseppe Conte.
Un governo che ha fatto subito scempio della Costituzione, forzando le regole e la prassi consolidata nella formazione dei nuovi esecutivi. Un governo con una maggioranza legata da un inedito “contratto”, guidato da un direttorio composto dai due vice-premier e il ministro dell'Economia Tria, con un Salvini che si muove come il vero presidente del Consiglio e che porta avanti una politica razzista e fascista così arrogante da far impallidire i passati governi guidati dal neoduce Berlusconi.
L'altro avvenimento di rilievo è stato lo svolgimento del 18° congresso nazionale della Cgil tenutosi a fine gennaio che ha visto, tra le altre cose, il cambio della guardia del segretario generale da Susanna Camusso a Maurizio Landini. Per i compiti di questa Commissione noi ci concentreremo più su questo tema, anche se non potremo ignorare quello che è successo dopo il voto delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 e il nuovo quadro politico che si è formato.
Già da queste prime considerazioni possiamo capire che i motivi per riunire la Commissione di massa non mancavano. È emersa quasi come una esigenza “naturale”, maturata attraverso gli stimoli che hanno pervaso tutto il Partito. Ci tengo a sottolineare che la Commissione ha ricevuto segnali in questo senso sia dall'alto che dalla base. Il Segretario generale compagno Giovanni Scuderi, con la lungimiranza che lo contraddistingue, ha sollecitato questa riunione già alcuni mesi fa, per fare il punto sul congresso Cgil e sulla nostra partecipazione.
Colgo l'occasione per ringraziarlo, per le sue sollecitazioni, le sue preziose indicazioni, per la sua concreta collaborazione alla riuscita di questa riunione e alla stesura stessa della relazione che leggerò. Altrettanto mi preme sottolineare che alcuni compagni molto attivi durante il percorso congressuale hanno espresso l'esigenza di ritrovarsi per fare un quadro generale della situazione e del nostro lavoro sindacale. Un buon segnale, che denota, almeno in taluni compagni, la voglia di fare e di scambiare le proprie esperienze.

Perché facciamo questa riunione?
Non importa tirare in ballo lunghi e complessi documenti del Partito. Basta restare a quel trafiletto che appare periodicamente sul Bolscevico, quelle “5 cose concrete per dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso”, poche righe ma che indicano chiaramente la strada che dobbiamo percorrere.
1) Facciamo un bilancio critico e autocritico sul lavoro svolto
2) Riflettiamo su ogni elemento della parola d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi” e su ciascuno di essi stabiliamo cosa dobbiamo fare negli ambienti e nei movimenti in cui operiamo
3) Sviluppiamo il lavoro di massa, specie sindacale, studentesco e femminile
4) Pratichiamo una larga politica di fronte unito ricercando alleanze in particolare con i partiti con la bandiera rossa e la falce e martello
5) Teniamo sotto tiro il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio.
Noi cercheremo esattamente di fare quello che ci ha indicato il Partito, cioè sederci intorno a un tavolo per mettere in pratica quelle indicazioni che servono a sviluppare e far crescere il PMLI. Possiamo farlo bene o male questo dipenderà da noi, nei limiti dell'attuale situazione oggettiva.
Non sarà sfuggito a nessuno di voi che quando si parla di sviluppare il lavoro di massa si indicano tre settori in particolare, e il primo è proprio quello sindacale, il nostro. Voglio altresì ricordare che nelle tesi dell'ultimo Congresso del Partito si legge: “Al primo posto del lavoro di massa del PMLI sta il lavoro tra la classe operaia e, quindi, il lavoro nel suo principale organismo di massa, il sindacato.”
Occorre capire bene fino in fondo queste parole. A volte si ha la sensazione che tra alcuni compagni, il fatto che la Cgil e i sindacati siano oramai delle strutture colluse con i governi e gli industriali e non difendano fino in fondo i lavoratori, giustifichi non solo il nostro giusto disprezzo verso i dirigenti sindacali, ma anche il nostro disinteresse a lavorare in tali organizzazioni, soprattutto nella CGIL e solo in casi particolari in un “sindacato di base”.
Questa non è una novità, nel passato vi sono stati compagni simpatizzanti che non volevano prendere la tessera della CGIL, un comportamento che il Partito giudica profondamente sbagliato. Il sindacato è una organizzazione di massa e la Cgil è la più antica e più grande in Italia e tra le maggiori in Europa. Ha più di 5 milioni di iscritti, è diffusa capillarmente su tutto il Paese, raggruppa al suo interno tanti lavoratori e pensionati.
Già questi dati ci devono far comprendere come sia importante lavorare politicamente al suo interno. Beninteso con la nostra linea, stando sempre bene attenti a non farci risucchiare dalle posizioni maggioritarie che si rifanno al riformismo, e sempre più al collaborazionismo e corporativismo. Credo però che non si possa accusare il PMLI di questo perché il nostro Partito è sempre stato molto critico verso la Cgil e da tempo ha dichiarato questa organizzazione irriformabile e ha proposto un nuovo tipo di sindacato.
Detto questo, dobbiamo però porci il problema di cosa fare oggi, nella situazione politico-sindacale che ci troviamo di fronte tutti i giorni. Oggi il tema non è scegliere in quale organizzazione sindacale militare finché non saranno mature le condizioni per realizzare dal basso il Grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati. Il Partito ribadisce che i marxisti-leninisti militanti e simpatizzanti del PMLI, a parte casi particolari, aderiscono alla Cgil. A questo proposito invitiamo tutte le compagne e compagni, lavoratori e pensionati, che ancora non l’hanno fatto, ad iscriversi alla CGIL.
Una scelta rafforzata dal naufragio dei cosiddetti “sindacati di base”, incapaci di trovare un minimo di unità e sempre più divisi e frammentati, che allo stesso modo dei confederali palesano mali quali la mancanza di democrazia, l'inamovibilità dei dirigenti, l'arrivismo e l'attaccamento alle poltrone, unite all'ingerenza dei vari partitini e organizzazioni trotzkiste.

La nostra partecipazione al percorso congressuale
Il motivo per cui siamo qui è fare il bilancio del nostro lavoro sindacale più recente. In particolare in riferimento al XVIII Congresso nazionale della CGIL. Con uno sguardo rivolto a quello che abbiamo fatto, nel bene e nel male, e al tempo stesso guardando al futuro, nel tentativo di progredire sul fronte sindacale e sul nostro rapporto con la classe operaia, che al momento attuale è molto indietro anche se le responsabilità non sono nostre.
Ognuno di noi ha fatto del proprio meglio, alcune volte abbiamo svolto un ottimo lavoro, altre volte meno. Dobbiamo quindi fare tutti una riflessione, armati della critica e dell'autocritica. Essendo a capo di questa Commissione intendo partire dalle mie responsabilità. Dobbiamo ammettere che non c'è stato quel coordinamento e direzione di chi si è trovato a svolgere il lavoro sindacale, e in particolar modo in riferimento alla partecipazione alle varie fasi congressuali. Queste considerazioni tengono in conto quanto era stato deciso nella precedente riunione della Commissione.
Dovevamo allestire una “cabina di regia” dove il responsabile avrebbe dovuto coordinare tutti i compagni impegnati nel congresso. Questa doveva avere dei compiti di direzione, ossia dare le indicazioni e aiutare nelle scelte. Parlo di indicazioni pratiche. Ad esempio di quale commissione congressuale è meglio far parte? Come votare sui documenti politici? È utile proporre degli emendamenti? Come rapportarci agli altri delegati de “il sindacato è un'altra cosa”? Su che cosa è bene concentrare i nostri interventi? E così via. Una cabina di regia che non aveva il compito di dettare ordini, ma che doveva aiutare i compagni a risolvere le problematiche del percorso congressuale.
Magari alcuni compagni non ne avevano e non ne hanno avuto bisogno, ma per altri invece questo poteva essere un buon aiuto e uno stimolo a fare meglio. Il Responsabile della Commissione doveva informarsi direttamente con i compagni interessati, cercarli uno a uno, direttamente e/o con l'aiuto del Centro del Partito quando non si conosceva bene la situazione di particolari compagni o Cellule, in modo da poter chiedere dei loro congressi, ascoltare i loro dubbi.
Questo non è stato fatto. Non è stato svolto il normale ruolo di direzione che si richiedeva al Responsabile della commissione. Anziché assumere un ruolo di avanguardia, propositivo, si è lasciato che i compagni si arrangiassero da soli, entrando in causa soltanto quando è stato sollecitato, ripetendo lo stesso atteggiamento, da noi profondamente e giustamente criticato, messo in campo dall'area de il Sindacato è un'altra cosa.
Quando la Commissione di massa è intervenuta, lo ha fatto solo sotto la sollecitazione del Centro. Non c'è niente di strano nel fatto che il Segretario generale “controlli” le varie istanze e Commissioni e gruppi di lavoro Centrali del Partito e le solleciti a dare il massimo, anche questo rientra nelle sue competenze in qualità di massimo dirigente. Non è però un buon segno che debba sempre sopperire alle mancanze di compagni che hanno un ruolo dirigente e che debbono essere pungolati in continuazione.
Evidentemente non c'è stata fino in fondo quell'assunzione di responsabilità, quella intraprendenza, quella centralizzazione, richieste ai dirigenti marxisti-leninisti. Un atteggiamento figlio della scarsa preparazione politica generale e della scarsa conoscenza del proprio settore in cui invece dovremmo essere degli esperti rossi. Solo chi ha una profonda dimestichezza con le tematiche che gli sono state affidate, unite ad un'ottima padronanza della linea del Partito, è in grado di essere propositivo e di svolgere efficacemente il ruolo dirigente. Altrimenti si è titubanti e si finisce inevitabilmente per essere al traino degli avvenimenti. E questo è quanto è successo.
Criticare e vedere i difetti e le mancanze altrui è più facile che vedere le proprie. Quindi se ci sono delle critiche da fare al Responsabile della Commissione queste sono benvenute e, se sono fondate, saranno accolte sicuramente, con lo scopo di farne tesoro. Il Responsabile però non può esimersi da portare anch'egli delle critiche, fatte in ogni caso nell'interesse del Partito, di questa Commissione e degli stessi compagni qui presenti, e anche di chi avrebbe dovuto esserci. Qualcuno, come il compagno Alberto, è giustificato.
Sul numero 25 del 5 luglio 2018 “Il Bolscevico” pubblicava le indicazioni della Commissione di massa relative al XVIII Congresso della Cgil dal titolo: Essere attivi, preparati, combattivi e propositivi, ai congressi di base della Cgil, fare fronte unito con il sindacato è un'altra cosa”. Vi si poteva leggere l'invito a partecipare ai congressi si base, cioè i congressi svolti nei luoghi di lavoro.
Un invito da non prendere sottogamba poiché la nostra attività sindacale deve partire anzitutto dal nostro luogo di lavoro. Vi erano spiegati anche altri motivi per cui era importante partecipare. Tra questi il fatto che a questo livello si ha il maggiore contatto con i lavoratori, mentre a mano a mano che saremmo andati avanti sarebbe aumentato il numero di funzionari, dirigenti e “addetti ai lavori”. Senza contare che se non vi si partecipava non avremmo potuto nemmeno accedere ai congressi successivi e conseguentemente essere esclusi dal dibattito.
Già in questa fase possiamo rilevare l'assenza di diversi lavoratori e pensionati del PMLI al Congresso della CGIL. Mi vengono in mente i casi di Firenze, Prato, Milano, tanto per citare alcune città. Perché questo è avvenuto? Possiamo tirare in ballo il Responsabile della Commissione per non aver stimolato ulteriormente i compagni, ma non è sufficiente. Per fare un parallelo, ad esempio in occasione dell'ultimo Congresso dell'Anpi (2016), in molte città i compagni vi parteciparono attivamente. Eppure non ci furono appelli o indicazioni particolari, bastarono le linee generali del Partito a lavorare nelle organizzazioni di massa affinché i compagni si attivassero.
Cosa che invece non sempre è avvenuta per il Congresso della Cgil, nonostante la Commissione di massa, pur con tutti i suoi limiti, delle indicazioni le avesse date, e documenti e interventi al riguardo fossero stati prodotti e apparsi sul nostro giornale. Evidentemente tra i compagni è ben presente la consapevolezza di dover far parte integrante delle organizzazioni di massa antifasciste, mentre lo è meno quella di lavorare attivamente nelle organizzazioni sindacali.
Questo atteggiamento deve cambiare. Lo ripetiamo per l'ennesima volta: il lavoro tra la classe operaia e tra i lavoratori sta in cima ai pensieri del nostro Partito, di conseguenza anche il lavoro dentro alla maggiore organizzazione di massa che li rappresenta, ossia il sindacato e la Cgil in particolare. Non è ammissibile che un compagno lavoratore tralasci questo tipo di attività, altrimenti ci rimangiamo tutta la linea del Partito che afferma: “Il lavoro sindacale sta al primo posto del lavoro di massa del PMLI”.
Consapevole di ciò, il Partito chiede a tutti i suoi membri e ai suoi simpatizzanti lavoratori, disoccupati e pensionati di impegnarsi in primo luogo nel lavoro sindacale e ai sindacalisti rossi marxisti-leninisti di impegnarsi a fondo in tale lavoro. Perché dovremmo partecipare alle manifestazioni più disparate, essere parte attiva nella lotta politica che si svolge nella nostra città, e poi evitare o mettere in secondo piano la lotta nella nostra fabbrica o ufficio, nel nostro ambiente e categoria di lavoro? Questa attività deve essere prioritaria, a meno che il Partito non ci abbia affidato degli incarichi particolari su altri fronti.
Questa mancata presa di coscienza dell'importanza del lavoro sindacale fa ancora più rabbia se andiamo a vedere chi poi invece si è impegnato nei congressi. Quando ci siamo mossi con la tempistica giusta e la dovuta preparazione abbiamo riscontrato che i nostri compagni hanno ottenuto degli importanti successi, anche quando affrontavano per la prima volta un congresso della Cgil.
A tal proposito vorrei sottolineare la nostra partecipazione ai vari congressi in Toscana e in particolare nell'area fiorentina. Nella categoria dei chimici, la Filctem, dopo essere stati eletti nei direttivi provinciali di Firenze e Pisa, abbiamo portato due nostri compagni al congresso regionale toscano di categoria dove di fatto i marxisti-leninisti hanno rappresentato il documento 2 de Il sindacato è un’altra cosa (SAC), oltre a portare in quella istanza la linea sindacale del PMLI.
Il compagno Andrea Bartoli delegato al Congresso nazionale di Napoli, ha partecipato alla massima assise della sua categoria, la Filctem. Il compagno è intervenuto sostenendo, tra le altre cose, la proposta dei marxisti-leninisti del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, per un grande sindacato fondato sulla democrazia sindacale dal basso sganciato dalle compatibilità capitalistiche. Il congresso nazionale Filctem ha approvato anche il suo odg che chiedeva la messa fuorilegge delle organizzazioni neofasciste. Un lavoro, un impegno e un coraggio che meritano gli elogi di tutto il Partito.
Da sottolineare il lavoro del compagno Enrico Chiavacci che è stato eletto nel direttivo provinciale di Firenze e regionale toscano della sua categoria, la Fisac, lavoratori del credito e delle assicurazioni, che ha dimostrato una grande conoscenza del proprio settore di lavoro. Anche se va detto che questo compagno non è riuscito a lanciare la proposta sindacale del PMLI. Inoltre c'è stato il contributo della storica compagna Patrizia Pierattini, sempre a Firenze, che ha portato nello SPI, il sindacato dei pensionati, una forte denuncia al governo Salvini-Di Maio. Apprezzabile il lavoro svolto da parte dai compagni Gabriele a Biella e dai simpatizzanti Alberto a Parma e Massimo a Firenze.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare è l'importanza della nostra partecipazione ai congressi di base come relatori della mozione due. Un compito che non tutti potevano svolgere perché richiedeva una certa agibilità, disponibilità ad avere permessi sindacali o piena gestione di quelli personali. Cosa che non è sempre possibile per chi lavora nelle piccole aziende. Come traspare anche dalle corrispondenze apparse su “Il Bolscevico” queste esperienze sono state importantissime.
Al di là del fatto che ci hanno procurato dei voti che ci hanno permesso di essere eletti ai congressi successivi (fatto non trascurabile) e dare un contributo maggiore alla sinistra sindacale di cui facciamo parte, l'aspetto principale è un altro. Questo ci ha dato maggiori possibilità di essere conosciuti da molte lavoratrici e lavoratori e di conoscere realtà lavorative diverse dalle nostre che sicuramente hanno contribuito a formare sindacalmente i nostri compagni e accrescere le loro capacità e la loro esperienza in campo sindacale, oltre a creare dei presupposti per allacciare nuovi contatti.
Un'esperienza che ha dimostrato come i nostri compagni che sostenevano la mozione due hanno ottenuti svariati consensi e in alcuni casi anche la maggioranza, nonostante dall'altra parte, per il documento della Camusso e di Landini, ci fossero quasi sempre dei navigati funzionari, dei volponi di vecchia data, che avevano dei contatti diretti con gli stessi lavoratori perché erano i loro referenti di zona oppure avevano seguito le loro vertenze, mentre noi, a parte il proprio luogo di lavoro, eravamo quasi sempre dei perfetti sconosciuti.
Una conferma della giustezza della nostra linea sindacale. Questa se viene applicata bene, tenendo ben fermi i suoi capisaldi e calandola nella realtà della propria categoria, tenendo presente il livello di coscienza di quello specifico posto di lavoro, usando bene la dialettica e con un linguaggio chiaro e semplice, può avere successo ed essere sostenuta anche in un momento in cui la coscienza di classe dei lavoratori è molto bassa.
Certo non mancano le note negative tra chi ha partecipato ai congressi. Mi sento di dire che alcuni interventi hanno tralasciato di evidenziare la nostra proposta del grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori. Questo è il nostro tratto distintivo, che ci differenzia dalla stessa area di SAC e che certi interventi dei nostri compagni hanno relegato in secondo piano o addirittura tralasciato quasi del tutto.
Questa nostra proposta dovrà nel futuro essere sostenuta con maggiore convinzione. Di fronte a un Landini che sta puntando molto sul sindacato unico con Cisl e Uil si apre un ulteriore spazio e aumentano le opportunità per esporre la nostra visione sindacale. Che non dovrà trasformarsi in un disco rotto e ripetitivo, ma andrà presentata ogni qual volta si parla di scelte strategiche per il sindacato. Una proposta che deve essere in contrapposizione rispetto a quella del sindacato unico istituzionale e corporativo indicata dalla segreteria e che Landini ha subito rilanciato dal palco del XVIII congresso della Cgil non appena è stato eletto.

I nostri rapporti con Il sindacato è un’altra cosa
Qui si tocca un argomento che ha in qualche modo influito sul nostro operato. La disorganizzazione del documento 2 non deve esser una nostra giustificazione, ma è indubbio che ciò abbia frenato il nostro lavoro nei congressi. Rispetto a quello precedente c'è stato un notevole passo indietro dal punto di vista organizzativo. Questo è dovuto anche al ridimensionamento numerico de il Sindacato è un'altra cosa.
Assieme al vecchio portavoce dell'area, Sergio Bellavita, se ne sono andati diversi delegati di grandi aziende, tra cui quelli di alcuni stabilimenti Fiat. Prima ancora se ne era andato Cremaschi, storico sindacalista rappresentante della sinistra Cgil (comunque un riformista). In alcune grandi fabbriche, cito ad esempio la Piaggio qui in Toscana, l'insediamento dell'USB, ha contribuito a ridurre i numeri de il Sindacato è un'altra cosa creando concorrenza nella stessa area sindacale di sinistra e riducendo la sua influenza in alcune aziende, specie metalmeccaniche.
Se nel congresso precedente ogni categoria, in molte zone d'Italia, aveva un rappresentante di questa area, stavolta neppure dove era più forte c'è stato un minimo di organizzazione. Chi voleva partecipare attivamente al congresso si è dovuto arrangiare per cercare un rappresentante o un coordinatore dell'area nella propria zona. Questo spesso esisteva solo sulla carta, anche perché una buona parte di questi elementi, non era interessato ad allargare i consensi al documento due ma solo a riconfermare il proprio ruolo dentro i direttivi di categoria o delle Camere del lavoro territoriali.
In alcune categorie, in alcune province, pensiamo ci siano stati persino accordi già definiti: al di là dei risultati reali dei congressi di base, di comune accordo si sono riproposte le stesse percentuali del congresso precedente. E questo lo possiamo confermare perché alcuni nostri compagni hanno avuto personalmente questa esperienza e, ad esempio in Toscana, questo “accordo” è stato al centro di polemiche anche all'interno dello stesso documento due.
Suona infatti strano che in alcune categorie, dove il documento due stavolta era quasi del tutto assente, si siano ottenuti gli stessi risultati di quattro anni prima. L'impressione è che rispetto al congresso precedente i due documenti non si sono dati “battaglia”, il confronto sia stato meno reale e che in alcune province d'Italia ci siano stati degli accordi preventivi. A livello nazionale invece la percentuale di SAC e scesa dal 2,9 al 2,1%.
La sinistra sindacale ufficiale organizzata negli anni si è molto ridotta, passando da un 20-25% al poco più del 2%, almeno quella che in Cgil fa opposizione. Altre aree come Lavoro e Società e Democrazia e Lavoro esistono ancora e si pensa che rappresentino una quota, almeno a livelli di dirigenti, vicino al 10% per ognuna. Ma al di là di critiche di circostanza, nella sostanza votano quasi sempre con la maggioranza e giudicano positiva e da riconfermare la linea tenuta dalla Cgil dall'ultimo congresso a oggi. È evidente che non può esserci in alcun modo una nostra adesione formale a queste aree.
Cosa che invece possiamo fare con SAC visto che sul piano delle rivendicazioni, e in parte su quello più politico, abbiamo molte convergenze. Ci sono invece forti divergenze sul modello organizzativo del sindacato e sul giudizio delle istituzioni europee e sulla possibilità di riformarle. La proposta è quindi quella di continuare la collaborazione con SAC e rinnovare la nostra adesione. Il nostro auspicio era quello di ritrovarsi davanti a una sinistra sindacale più ampia, ma la situazione oggettiva adesso è questa.
Il SAC oltretutto è molto frammentato e al suo interno vi sono ancora dei gruppi indecisi se stare dentro la CGIL o migrare nei “sindacati di base” seguendo l'esempio passato di altri delegati. Più che una corrente sindacale assomiglia a un contenitore dove gruppetti politici o di fabbrica stanno dentro ognuno seguendo i propri interessi e le loro strategie.
Noi auspichiamo una maggiore coesione ma l'attuale quadro è comprensibile se pensiamo ai tanti piccoli gruppi che ne costituiscono l'ossatura. Basti dire che nel direttivo nazionale vi sono 4 rappresentanti del SAC: la portavoce Eliana Como di Sinistra Anticapitalista, Luca Scacchi e Mario Iavazzi di “Sinistra, classe, rivoluzione” (ex Falce e Martello), e la nuova Aurora Bolla di Potere al Popolo. Formazioni dichiaratamente trotzkiste o calderoni riformisti-operaisti-trotzkisti come Potere al popolo.

L’elezione di Landini e la sua linea
Il SAC rappresenta una esigua minoranza, molto marginale all'interno della Cgil e non ha potuto fare granché al congresso nazionale di Bari dove è stato l'eletto a segretario di Maurizio Landini. Un'elezione che sembrava scontata e che poi ha visto il dualismo con Colla, uomo vicino al PD, fino all'ultimo giorno. Alla fine è stato eletto con quasi il 93% dei voti.
Il congresso si è svolto in un periodo particolarmente delicato per la Cgil e i sindacati in generale. Di fronte agli attacchi e alle pretese padronali la Cgil in questi anni ha mostrato palesemente la sua incapacità a rappresentare fino in fondo gli interessi concreti dei lavoratori e dei pensionati, tenendo un comportamento compiacente verso governi che hanno innalzato l'età pensionabile e azzerato i diritti dei lavoratori.
In particolare si è mostrata inadeguata di fronte al proliferare di nuove forme di sfruttamento capitalistico come il lavoro precario e la cosiddetta smart e gig economy, quell'economia dei lavoretti, degli algoritmi e del controllo digitale che hanno ricreato condizioni di lavoro da capitalismo ottocentesco, seppur con nuove forme tecnologiche. Il che ha provocato uno scollamento con la classe operaia e i lavoratori più giovani, che sempre più spesso vedono i sindacati come parte integrante della “casta”, parte integrante del sistema e collusi con l'élite politica ed economica che depreda la ricchezza nazionale prodotta dai lavoratori.
Un congresso caduto in un momento in cui la Cgil non ha più nemmeno dei riferimenti politici certi, da quando Renzi con il Jobs Act ha irrimediabilmente compromesso gli stretti rapporti tra PD e sindacato di Corso d'Italia. Riferimenti che la Cgil aveva ricercato e sperato di trovare in LeU ma che il fallimento della formazione guidata da Grasso ha fatto subito abortire.
Ma la Cgil come ha reagito? Con un intervento di facciata eleggendo Landini, poiché l'ex segretario della Fiom si è attestato da tempo sulla linea riformista, collaborazionista ed europeista della Camusso. Sono lontanissimi i tempi delle battaglie contro il modello Marchionne, contro il Testo Unico sulla Rappresentanza sindacale (TUR), degli accordi separati per non firmare le sottomissioni ai padroni di Cisl e Uil.
La parabola di Landini si è conclusa con la firma congiunta di Fiom-Fim-Uilm all'ultimo contratto dei metalmeccanici, il peggiore della storia della categoria e uno dei peggiori in assoluto dove viene bloccato il salario, ampliato a dismisura il welfare aziendale che va a sostituire qualsiasi aumento salariale, ridotto il diritto di sciopero con le “clausole di raffreddamento”. Un accordo che non a caso gli è valso l'entrata in segreteria e poi la “nomination” della Camusso per la sua successione.
In questo periodo particolarmente difficile per il sindacato, era necessario un cambiamento di linea politica e strategica nel tentativo di risalire la china, riconquistare autorevolezza, consensi e iscritti. Invece si è scelto di darsi una riverniciata per apparire più attraenti. Con Landini si è solo cambiato leader, scegliendone uno meno compromesso con il potere politico, che si porta dietro una certa fama, peraltro usurpata, di “sinistra” e di “estrazione operaia”. Un segretario avvezzo al mezzo televisivo e alle sparate ad effetto.
Come giudicare i primi atti che ha compiuto? La visita alla baraccopoli di San Ferdinando in Calabria dove vivono in condizioni disumane i migranti sfruttati nei lavori agricoli, la visita all'Anpi di Bari, la sua presenza al presidio dei driver di Amazon in sciopero contro i ritmi infernali imposti dalla multinazionale americana. Certamente non disdegniamo l'aver sottolineato l'importanza della lotta al razzismo, dell'antifascismo e la vicinanza espressa alle lotte contro le nuove forme di sfruttamento capitalistico. Atti simbolici che assumono importanza se derivano da una linea sindacale coerente, altrimenti sono solo fumo negli occhi.
Noi propendiamo per quest'ultima ipotesi. Gli obiettivi principali della Cgil uscita dal XVIII congresso sono ben altri. La sua linea è incardinata e diretta ad ottenere lo status di sindacato istituzionale che deve la propria esistenza al riconoscimento da parte delle imprese e dello Stato. E lo vuole ottenere stringendo un'alleanza organica con Cisl e Uil per avere un maggiore peso nei tavoli della contrattazione. La Cgil non rinnega ma rilancia la vecchia linea della concertazione, una linea che ha portato con sé la politica dei redditi con la compressione dei salari, dei sacrifici per i lavoratori, che in ultima analisi ha fatto accettare tutte le controriforme degli ultimi anni: da quelle previdenziali, con le “riforme” pensionistiche Dini, Amato e Fornero, a quelle del mercato del lavoro di Treu, Bersani e al Jobs Act di Renzi
Landini dice di voler rilanciare le Camere del Lavoro e il “sindacato di strada”, inteso come organizzazione che sta in mezzo ai lavoratori e agli sfruttati. Ma per fare questo dovrebbe rinnegare gli ultimi 40 anni di storia della Cgil, che ha preferito appiattirsi sulle compatibilità capitalistiche invece di fare gli interessi della propria base sociale e dimostratasi succube dei governi di “centrosinistra”. Una Cgil che ha dato sempre maggior importanza a organismi vincolati all’impresa come gli enti bilaterali – che gestiscono la formazione professionale o il welfare aziendale finanziati da quote di salario da cui ricadono diecimila incarichi retribuiti, appannaggio dei tre sindacati confederali – o ai patronati che ricevono un finanziamento statale di circa 400 milioni di euro l’anno.
La Cgil uscita dal XVIII congresso nazionale secondo noi punta soprattutto sul nuovo segretario e sulla “Carta dei diritti”. Abbiamo già detto cosa pensiamo di Landini. Noi dovremo far capire anche agli altri lavoratori che con lui alla guida la Cgil non cambierà ma proseguirà nel solco tracciato dalla Camusso. Lo dovremo fare in modo dialettico ma al tempo stesso fermo, perché non possiamo in alcun modo illuderli sul fatto che ci sarà un cambiamento verso sinistra, verso la mobilitazione e la lotta.
Sulla questione della “Carta dei diritti” dovremo sviluppare la nostra critica, non possiamo appoggiarci al SAC, che su questo tema ha mostrato solo delle perplessità e mosso delle critiche molto blande. Ha un nome molto pomposo: “Carta universale dei diritti del lavoro” ma non va oltre alla declamazione dei diritti senza alcuna possibilità di incidere. Anzitutto perché essa dovrebbe poggiare su un parlamento e delle forze politiche che la trasformassero in legge. Il parlamento nero di oggi non può in alcun modo sostenerla.
Questa Carta viene presentata come una specie di nuovo statuto dei lavoratori degli anni '70, eppure le due situazioni politiche che fanno da sfondo sono completamente differenti. Il governo di allora, a predominanza DC, fu costretto ad approvare quella legge perché sotto pressione e indotto dalle circostanze, ma fu anche un evidente tentativo di bloccare le rivendicazioni operaie accogliendone una parte con l'intenzione di placare i lavoratori che sempre più decisamente prendevano in considerazione la via rivoluzionaria. Oggi invece la Cgil, dopo aver subito, o in alcuni casi appoggiato, le peggiori controriforme che hanno stravolto il mercato del lavoro e la previdenza, con una legge, e non con la lotta, vorrebbe recuperare terreno.
Lo statuto inoltre poneva tutta una serie di divieti ai padroni mentre la carta elenca dei diritti che rimangono poco più che delle enunciazioni. Dichiarare che il lavoro deve essere “decente e dignitoso”, “a condizioni chiare e trasparenti”, “con un compenso equo e proporzionato”, “in condizioni ambientali e lavorative sicure”, “con libertà di espressione”, non significa nulla se poi si aggiunge, come scritto nella Carta:“in considerazione delle possibilità offerte dal mercato del lavoro”.
Quando si parla di limiti agli straordinari e della flessibilità vi sono delle misure addirittura superiori a quelle previste dalla stragrande maggioranza dei contratti di lavoro. Più che allargare i diritti è più corretto dire che la Carta estende a nuovi soggetti, lavoratori autonomi e in parte alle aziende sotto i 15 dipendenti, quel minimo di tutele residue rimaste dopo la deregolamentazione del lavoro, di fatto accettando tutte le controriforme degli ultimi 25 anni messe in campo dai vari governi guidati sia dalla destra che dalla “sinistra” borghese.
Lo stesso Jobs Act non viene rinnegato del tutto. Alla fine la Cgil non rigetta completamente neanche la manomissione dell'articolo 18, accontentandosi della revisione della nuova normativa, dimostrandosi intransigente solo sui licenziamenti collettivi. Non si specifica neppure la natura del “contratto a tutele crescenti”, per cui la Cgil la considera come assunzione a tempo indeterminato quando invece il Jobs Act permette che per 3 anni non valga l'articolo 18 ma solo un misero risarcimento in caso di licenziamento.
Ma le parti forse più gravide di conseguenze sono quelle che chiedono l'applicazione degli articoli 39 e 46 della costituzione. Articoli mai applicati perché rappresentano un freno allo sviluppo della lotta di classe, anche di quella condotta in ambito costituzionale. L'articolo 39 obbliga i sindacati a registrarsi e ad avere un determinato statuto per ottenere la personalità giuridica e il riconoscimento da parte dello Stato.
La Cgil prende la palla al balzo per invocare la completa attuazione dell'accordo sulla rappresentanza sindacale (TUR) che stabilisce le modalità con cui si entra nelle aziende e nelle RSU, tutto spostato a favore dei sindacati confederali, che esclude le organizzazioni che non accettano queste regole e che non dovessero firmare gli accordi, come la Fiom a Pomigliano o come fanno spesso i “sindacati di base”. L'intesa sulla rappresentanza firmata da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria sancisce la collaborazione tra sindacato e padronato e rappresenta un freno alla conflittualità sindacale, alle lotte dei lavoratori e al diritto di sciopero.
L'altro articolo, il 46, invece è quello sulla cosiddetta partecipazione dei lavoratori ai risultati dell'azienda. La Cgil punta a far collaborare i lavoratori allo sviluppo della produzione, ad accantonare gli interessi di classe dei lavoratori in favore di quelli dei capitalisti e del padronato, camuffati da inesistenti “interessi generali”.
Da questa nostra pur breve analisi, è facile comprendere come la Carta dei diritti rigetti l'idea di sindacato rivendicativo e conflittuale. Al suo posto è ben delineato un sindacato istituzionalizzato, riconosciuto come elemento essenziale di “stabilità” della società italiana, con una forte impronta cogestionaria e corporativa, che spinge i lavoratori a collaborare con il padronato nello sforzo comune di risollevare l'economia nazionale per farla competere con maggiore efficacia nello scenario capitalistico globalizzato.
La Cgil sembra aver già fatto propri gli inviti del destro Pietro Ichino, giuslavorista del PD, che ha scritto una lettera aperta al nuovo segretario Landini dove si legge: “Nel XXI secolo non ha senso parlare di unità sindacale se non sulla base della convinzione comune che lavoratori e imprenditori non sono forze per loro natura antagoniste: al contrario, non possono neppure esistere gli uni senza gli altri; e condividono l’interesse comune alla massima efficienza delle aziende, quindi anche a favorire i piani industriali più innovativi... oggi è interesse vitale dei lavoratori mettere il più possibile gli imprenditori indigeni in concorrenza nel mercato del lavoro con i migliori imprenditori provenienti dal restante 99 per cento del pianeta.”
Per chiudere il quadro sul congresso della Cgil possiamo aggiungere che a dispetto della narrazione che ne hanno fatto i mass-media, parlando di una svolta a sinistra con l'elezione di Landini, la Cgil si sposta ulteriormente a destra. Ne sono una dimostrazione anche l'unità d'intenti sempre più stretta con il padronato e la partecipazione stessa di una delegazione di Confindustria Emilia-Romagna alla manifestazione del 9 febbraio a Roma.
La stessa piattaforma che Cgil, insieme a Cisl e Uil stanno portando avanti nei confronti del Governo Lega-5 Stelle sembra molto influenzata dalla Confindustria. Sì alla Tav e alle grandi opere e sgravi alle aziende sono temi su cui c'è piena identità di vedute.

Come proseguire il nostro lavoro sindacale
Questo è il quadro che ci sta di fronte, da questo dobbiamo ripartire. Anzitutto riconfermiamo la nostra scelta di lavorare dentro la CGIL. Non escludiamo a priori il lavoro nei “sindacati di base” dove questi sono autorevoli e rappresentativi ma al momento essi non sembrano in grado di proporre una valida alternativa. Ne seguiamo comunque le vicende, come seguiamo quei tentativi dei cosiddetti “autoconvocati” che cercano di connettere gli operai più attivi che si trovano nei vari sindacati autonomi e nella CGIL, cercando di superare le divisioni tra le varie sigle. Ma al momento questi tentativi, come l'assemblea tenuta a Firenze a fine 2018, non sembrano produrre risultati.
Per quanto riguarda la nostra linea e la creazione, in prospettiva, di un grande sindacato dei lavoratori/trici e dei pensionati/e non dobbiamo far altro che riconfermarla. Anzi, la crisi che coinvolge tutti i sindacati e l'incapacità e la volontà di uscire dalle logiche collaborazioniste e corporative dei sindacati confederali e dal settarismo, frazionismo e in certi casi corporativismo di quelli di base, avvalla ancora una volta la giustezza della nostra posizione. Rimane comunque un obiettivo strategico che richiede tempi lunghi.
Più immediato è l'obiettivo della costruzione di una corrente sindacale dei marxisti-leninisti senza la quale è impensabile ampliare la nostra influenza tra i lavoratori. "Il nostro strumento sindacale organizzativo – recitano i documenti del Partito al riguardo - è la Corrente sindacale di classe (CSC) composta dai militanti e dai simpatizzanti del Partito attraverso la quale dobbiamo tentare di riunire tutta la sinistra sindacale esistente dentro e fuori la CGIL che continua ad essere il nostro principale sindacato di riferimento, su una piattaforma comune e condivisa e di far maturare le condizioni per la creazione del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori.”
La costruzione della CSC è un obiettivo su cui il PMLI è impegnato da lungo tempo. Essa non è legata alla strategia sindacale contingente o a scenari futuri, ma deve essere in ogni situazione lo strumento organizzativo che unisce chiunque si ritrovi nella nostra proposta sindacale. Le condizioni necessarie alla sua costituzione però non sono cambiate, numericamente i nostri compagni direttamente impegnati nel sindacato sono talmente pochi da impedirci la sua realizzazione.
Tuttavia dobbiamo iniziare a comportarci come una corrente sindacale vera e propria. Per fare questo dovremo trovare il modo per tenere in contatto tra di loro i sindacalisti rossi del PMLI. Un contatto che dovrà andare al di là della riunione della Commissione di massa che, nella migliore delle ipotesi, si riunisce una volta ogni due anni. Un contatto che per forza di cose, non potrà che essere a distanza, attraverso internet e le altre tecnologie.
Propongo l'idea di far circolare tra gli interessati una raccolta degli articoli sindacali di maggiore rilevanza pubblicati sul “Bolscevico”, assieme a quelli più interessanti apparsi sulla stampa o su internet, da veicolare tramite posta elettronica, con cadenza bi o trimestrale. Una documento leggero, che si possa fare con facilità ma che serva a dare un quadro d'insieme ai compagni. Iniziativa utile che possa sopperire anche alle nostre lacune sul bellissimo sito del Partito che quindi è nostro compito aggiornare nelle varie sezioni, che ci riguardano direttamente.
La nostra Commissione, a partire dal Responsabile, dovrà lavorare con più impegno per dare con maggiore frequenza le indicazioni alle compagne e ai compagni impegnati nel lavoro sindacale, in particolare con l'invio di circolari ad hoc sulle varie tematiche e stimolando l'attenzione sulle varie iniziative e sulle manifestazioni di stampo sindacale che riteniamo essere di particolare importanza.
Come affermato nel 5° Congresso nazionale del PMLI, dall'esterno “il Partito può fare molto per orientare correttamente la lotta sindacale, ma un ruolo veramente influente e incisivo lo possono svolgere solo i lavoratori, i disoccupati, i pensionati marxisti-leninisti all'interno delle fabbriche, in ogni luogo di lavoro, della Cgil, del movimento sindacale e dei movimenti per il lavoro". Quindi rimane da migliorare il ruolo dirigente della Commissione di massa ma allo stesso tempo ogni compagno impegnato nel lavoro sindacale deve portare avanti la nostra linea sindacale, e lo deve fare non solo a parole, ma concretamente.
Dopo aver fatto tutte le nostre considerazioni e riflessioni riconfermiamo la nostra adesione al SAC. Pensiamo che i benefici che ne derivino siano maggiori degli svantaggi, anzitutto quello di avere dei contatti sindacali ed essere meno isolati. Dobbiamo però starci dentro lealmente ma in piena autonomia (come del resto fanno le altre correnti), portando avanti la nostra linea sindacale e senza farsi trascinare in eventuali beghe che coinvolgono i vari gruppetti trotzkisti.
Oltre a portare avanti la nostra proposta del grande sindacato di tutti/e i lavoratori e pensionati che ci contraddistingue, la nostra linea sindacale ha come asse la centralità della classe operaia; il rifiuto per principio della concertazione, della cogestione, del "patto sociale", del neocorporativismo, delle compatibilità economiche capitalistiche, il rifiuto della subordinazione dei salari ai profitti e degli interessi generali delle masse lavoratrici alle esigenze dello Stato borghese.
Combatte inoltre le liberalizzazioni e le privatizzazioni, la deregolamentazione del lavoro e la precarizzazione. Si batte per un forte aumento delle retribuzioni e delle pensioni medie-basse, lotta per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, per la difesa del contratto nazionale e provvedimenti efficaci per la sicurezza sul lavoro. Siamo contro il welfare aziendale e il salario minimo legale.
Dobbiamo portare all'attenzione del sindacato anche i temi legati alle discriminazioni che subiscono le donne del popolo. I discriminatori trattamenti salariali e pensionistici per le lavoratrici e le pensionate, le violenze che sono costrette a subire sui luoghi di lavoro. Dobbiamo fare pressione e spingere gli organismi sindacali in cui siamo presenti affinché il prossimo anno aderiscano allo sciopero globale dell'8 Marzo. Sciopero che Landini e la Cgil nazionale, (ma con l'eccezione di alcuni territori) hanno boicottato.
Allo stesso modo dobbiamo pretendere che la Cgil dispieghi tutta la sua forza per combattere il razzismo e il fascismo dilaganti e contro il compiacente governo nero dei ducetti Salvini e Di Maio. Rispedire al mittente le provocazioni di chi vorrebbe scatenare una guerra tra poveri, tra proletari italiani e migranti e rivendicare per tutti gli stessi diritti: lavoro, casa, sanità, istruzione.
Farsi carico della sensibilizzazione delle tematiche ambientali, su cui si sta sviluppando un forte movimento di lotta, portandole tra i lavoratori e caratterizzandole in senso anticapitalista. Al riguardo vorrei ringraziare il compagno Enrico Chiavacci che su questo tema ha dato dei grandi contributi al Partito. Un intenso e proficuo lavoro che ha arricchito e sviluppato la linea del PMLI sull'ambiente. Queste nostre politiche rivendicative e finalità strategiche le dovremo portare dentro ai direttivi sindacali a tutti i livelli in cui siamo presenti.
Ma ancora più importante è che i nostri sindacalisti diventino dei punti di riferimento anzitutto nel proprio posto di lavoro e per quei delegati e lavoratori più avanzati che incontreremo in tutte le occasioni dell'attività sindacale. I nostri compagni dovranno dimostrare di essere degli intransigenti e disinteressati difensori dei loro interessi, preparati e profondi conoscitori del settore che si rappresenta. È su questo terreno che si conquista maggiormente la fiducia e il riconoscimento dei lavoratori.
Concludendo possiamo dire che ci aspetta un duro e faticoso lavoro, da svolgere in una situazione che vede la nostra gloriosa classe operaia frammentata, in mano ai riformisti, lontana dagli ideali del socialismo, con una coscienza di classe poco sviluppata, che solo i marxisti-leninisti possono sviluppare affinché la classe operaia acquisti la coscienza di essere una classe per sé che ha il compito di abbattere il capitalismo e conquistare il potere politico.
Dobbiamo in ogni caso guardare al futuro con ottimismo, fiduciosi nel risveglio dei lavoratori e delle masse popolari, che presto si renderanno conto della natura antioperaia, oltreché razzista e fascista, di questo governo e che già adesso lanciano segnali di disponibilità alla lotta. Come dimostrano le migliaia di persone scese in piazza contro la manovra del governo Salvini-Di Maio, le donne che hanno scioperato e manifestato l'8 Marzo, i lavoratori della logistica contro le condizioni lavorative disumane, la battaglie delle masse e dei movimenti contro il razzismo, il fascismo, e le “grandi opere” come la TAV, per l’ambiente e il clima.
Viva i sindacalisti rossi marxisti-leninisti!
Miglioriamo e sviluppiamo il lavoro sindacale marxista-leninista!
Continuiamo a proporre il sindacato unico dei lavoratori e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e il potere sindacale e contrattuale alle assemblee generali!
Viva la classe operaia!
Lottiamo per buttar giù il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio!
Viva il PMLI!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
 

27 marzo 2019