“Onestà, onestà” è solo un vuoto slogan del M5S
Arrestato per corruzione Marcello De Vito (M5S), presidente del Consiglio comunale di Roma
Indagato anche Frongia, uomo ombra della sindaca
La giunta Raggi deve dimettersi

Dopo il capo del personale Raffaele Marra (arrestato il 2 dicembre 2016 e condannato il 13 dicembre a 3 anni e 6 mesi) per gli affari sporchi intrattenuti con l’immobiliarista Sergio Scarpellini e attualmente ancora sotto processo per abuso d'ufficio in relazione alla nomina del fratello Renato, nominato a capo del Dipartimento Turismo del Campidoglio; dopo l'arresto nel giugno scorso dell’avvocato genovese Luca Lanzalone, il “Mr. Wolf” di Virginia Raggi e capo di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione: il 20 marzo è finito in galera anche Marcello De Vito, presidente M5S dell’Assemblea capitolina, “padre fondatore” e boss dei Cinquestelle a Roma, già candidato a sindaco alle precedenti elezioni comunali del 2012 e dunque primo vero politico pentastellato a finire in manette con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta sul giro di tangenti e favori al palazzinaro romano Luca Parnasi inerenti la mega speculazione edilizia per la costruzione del nuovo stadio dell'As Roma e diversi altri appalti.
Secondo i Pubblici ministeri (Pm) romani Paolo Ielo, Barbara Zuin e Luigia Spinelli, De Vito era “l’interlocutore privilegiato di numerosi imprenditori” ed è accusato di aver messo la propria funzione pubblica “al servizio del privato al fine di realizzare il proprio arricchimento personale”.
In manette è finito anche il suo socio di malaffare: l'avvocato Camillo Mezzacapo, il quale circa un anno fa ha incontrato la sindaca Virginia Raggi nell’ambito di una selezione per i futuri membri del cda della società unipersonale della Città Metropolitana di Roma Capitale, Capitale Lavoro Spa.
Indagato anche Frongia
Nella stessa inchiesta è coinvolto anche il boss politico dei Cinquestelle Daniele Frongia, assessore allo Sport del Comune di Roma, fedelissimo e mente politica della sindaca Virginia Raggi, che è indagato per corruzione.
L’iscrizione di Frongia nel registro degli indagati è scattata al termine di uno dei tanti interrogatori in cui Parnasi ha raccontato ai giudici che, poco prima di essere arrestato, aveva chiesto all’assessore Frongia il nome di una persona da inserire come responsabile delle relazioni istituzionali in una delle sua società, la Ampersand. Il pentastellato avrebbe proposto l’assunzione di una donna di circa 30 anni, una collaboratrice del Campidoglio.
In una intercettazione agli atti dell'inchiesta, l'11 marzo 2018, il palazzinaro parla proprio di quella società e dice che: “con Ampersand ha strizzato l'occhio ai Cinquestelle, facendo progetti”.
La “congiunzione astrale”
Secondo il Giudice per le indagini preliminari (Gip) Maria Paola Tomaselli il sodalizio fra De Vito e Mezzacapo era un “vero e proprio format replicabile in un numero indeterminato di casi” che funzionava anche grazie a una “congiunzione astrale”, per dirla con le parole di Mezzacapo, che vede i 5 Stelle sia al governo che al Campidoglio.
“È tipo l’allineamento con la cometa di Halley. – dice Mezzacapo a De Vito il 4 febbraio scorso – (...) È difficile (...) che si riverifichi così. E allora noi Marcè dobbiamo sfruttarla sta cosa (…) Ci rimangono due anni”.
È un’intercettazione che per il Gip rappresenta il “manifesto programmatico della loro collaudata collaborazione” a delinquere.
Il “format” tangentizio messo in campo da De Vito e Mezzacapo non si è fermato neanche dopo l’arresto a giugno scorso del palazzinaro romano Luca Parnasi, accusato di essere “a capo di una associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione”. Secondo le accuse, Parnasi foraggiava di tangenti i 5 Stelle, prima tramite Luca Lanzalone, ritenuto il referente in Campidoglio per gli affari dello stadio, e successivamente tramite De Vito.
Un flusso continuo di tangenti che non si interrompe nemmeno quando l’imprenditore viene arrestato; semplicemente, sottolinea il Gip nell'ordinanza, gli arrestati alzano la vigilanza e: “adottano ulteriori accorgimenti al fine di neutralizzare possibili attività investigative indirizzate verso di loro”.
Il “format” tangentizio dei 5 Stelle
Non solo. Dagli atti dell'inchiesta emerge che De Vito ha intrattenuto rapporti illeciti anche con altri gruppi imprenditoriali fra cui quello di Claudio e Pierluigi Toti, e quello di Giuseppe Statuto, tutti indagati per traffico di influenze.
Nel filone investigativo su Parnasi al centro della vicenda c’è l’iter amministrativo del nuovo stadio della Roma e “l’approvazione di una delibera in consiglio comunale per la realizzazione nella zona della ex Fiera di Roma di un campo di basket e di un polo per la musica superando le limitazioni poste dalla delibera dell’ex assessore Paolo Berdini che aveva limitato la realizzazione delle cubature in quella zona a 44 mila metri cubi”.
Ed è lo stesso Parnasi che accusa De Vito e ammette davanti ai Pm di aver dato incarichi legali per oltre 95 mila euro allo studio di Mezzacapo tramite un’altra avvocatessa. Una tangente mascherata “per non scontentare De Vito” e tutto il Movimento in quanto “lo studio Mezzacapo era qualificato e vicino al M5S”.
Nel caso di Toti invece, Mazzacapo e De Vito, sono invischiati nella torbida vicenda inerente l’iter amministrativo relativo al progetto di riqualificazione degli ex mercati generali. Secondo le accuse i due si facevano “indebitamente promettere e quindi dare (...) 110 mila euro” sotto forma di incarico professionale allo studio legale Mezzacapo.
Mentre per l’imprenditore Statuto e l’iter per il rilascio del permesso di costruire un edificio nell’area dell’ex stazione di Trastevere si parla di un incarico di poco più di 24 mila euro.
Le tangenti accumulate sotto forma di consulenze affidate agli amici per prestazioni inesistenti allo studio legale venivano via via trasferite alla Mdl srl, “società di fatto riconducibile a Mezzacapo e De Vito... in attesa della loro distribuzione rinviata alla scadenza del mandato” di De Vito.
A confermarlo è lo stesso De Vito che in una intercettazione propone a Mezzacapo: “Ma distribuiamoceli questi”. Ma l'avvocato non è d'accordo e lo invita alla calma: “Ma adesso non mi far toccare niente, lasciali lì... (...) quando tu finisci il mandato...”.
Però qualche acconto De Vito lo riceve perché nelle mani degli inquirenti ci sono le prove di un trasferimento di denaro dai conti di Mezzacapo per De Vito attraverso due bonifici: uno di 8.550 euro a settembre del 2017 e un altro di 4.275 euro a marzo 2018.
Appalti e tangenti a tutto campo
Ma non è tutto. Perché nelle 260 pagine dell’ordinanza di arresto il Gip cita tutta una serie di speculazioni immobiliari da far invidia perfino ai vecchi palazzinari romani dei decenni scorsi.
Si va dai terreni della ex Fiera di Roma dove Luca Parnasi vorrebbe un nuovo stadio di basket e un polo musicale fino allo stadio della Roma. C’è la ex stazione di Trastevere che l’immobiliarista Giuseppe Statuto vuol far diventare un hotel fino agli ex uffici dell’Alitalia alla Muratella che i fratelli Toti vorrebbero trasformare in alloggi, uffici e negozi per una superficie coperta di complessivi 112.170 metri quadri.
Ma il boccone più appetitoso riguarda gli ex Mercati Generali all’Ostiense. Nel 2001 Walter Veltroni lancia “il sogno” della Covent Garden romana. Nel 2005 il Comune fa una gara e stipula una convenzione con il vincitore: il gruppo Toti ottiene una concessione per 60 anni per valorizzare quei palazzi pubblici. Poi c’è la crisi. I costruttori chiedono al sindaco Alemanno e al sindaco Marino di ridurre il verde e ampliare le cubature per rendere più redditizio il progetto che viene approvato dalla giunta di destra nel 2009 e rimodulato nel 2015 da quella di “sinistra”. Nasce la giunta Raggi ma Paolo Berdini, allora assessore all’urbanistica, blocca tutto. Il progetto è approvato quando arriva Luca Montuori contro il quale Berdini scrive un pezzo di fuoco riportato nell’ordinanza di arresto: “Non c’è un metro quadrato di verde e scompaiono molti parcheggi delle aree limitrofe. Il progetto – scriveva Berdini – mi venne sottoposto quando ero assessore all’urbanistica e chiesi formalmente agli uffici che avevano espresso parere positivo di spiegare perché (…) mi risposero che il ‘ il verde pubblico era stato compensato a Volusia’ (...) un luogo lontano più di venti chilometri dall’Ostiense (...) insieme alla vicenda dello stadio della Roma, l’affare Ostiense mostra dunque il vero volto dell’urbanistica romana a cinque stelle”.
Il vorticoso giro delle mazzette
Ora si è scoperto che lo sblocco dell'appalto è avvenuto il 24 ottobre del 2017 quando sul conto corrente di Mezzacapo, e quindi di De Vito, arriva la prima tanche di tangenti di 110 mila euro dalla Silvano Toti Holding Spa per la consulenza sulla “riqualificazione in concessione dei mercati generali”. Lo stesso giorno 48 mila e 800 euro vengono girati da Mezzacapo alla MDL srl, che per i Pm fa capo anche a De Vito, ed è “la cassaforte nella quale i due allocano il provento delle loro attività delittuose”. Il contratto firmato da Pierluigi Toti e Mezzacapo prevede il pagamento di 180 mila euro. I 110 mila erano solo la prima tranche. Pierluigi Toti aveva inserito nel contratto una clausola risolutiva se le autorità non avessero approvato la variante che interessava al gruppo.
Il 15 settembre 2017 la Giunta approva e 9 giorni dopo, scrivono i Pm, l’avvocato Mezzacapo emette il preavviso di fattura per 110 mila.
Non a caso il giudice Maria Paola Tomaselli parla di un “desolante” in cui “l’attività pubblica è soltanto 'il campo di gioco' calpestato da entrambe le parti con assoluta indifferenza e noncuranza. Sia la parte pubblica che la parte privata, solo formalmente distinte, presentano, invero, una straordinaria coincidenza di obiettivi ed interessi per la realizzazione dei quali esse piegano la funzione pubblica”.
Il diktat del ducetto Di Maio
Di fronte a tutto ciò fa veramente ridere il ducetto Di Maio quando afferma che non ci sono analogie tra l'arresto del precedente presidente del Consiglio comunale di Roma, il dem Mirko Coratti, coinvolto in Mafia capitale, e quello di Marcello De Vito perché “Noi le mele marce le cacciamo subito... Noi non abbiamo esitato un minuto a cacciare Marcello De Vito. È una questione di opportunità politica, poi ciascuno è responsabile delle proprie scelte”.
Ma può bastare la cacciata di De Vito per salvare la giunta Raggi di fatto già dimissionata dalla stessa base dei Cinquestelle?
Insieme alle mancate dimissioni della Raggi va inoltre denunciato il metodo ducesco con cui Di Maio ha scaricato De Vito: un vero e proprio processo sommario celebrato in diretta Tv in nome dell'ormai presunta, morta e sepolta “onestà” e “superiorità morale” dei 5 stelle; in aperta violazione di tutte le regole statutarie e senza nemmeno interpellare i probiviri.
Una mossa opportunista a poche settimane dalle elezioni europee per blindare la sindaca Raggi facendo finta di ignorare che ormai in Campidoglio la corruzione e il malaffare la fanno da padrone come ai tempi di “Mafia capitale” se non peggio.

3 aprile 2019