Indetto da Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil
Ventimila edili a Roma per lo sciopero generale
Arrivati da tutte le regioni d'Italia per chiedere lavoro, diritti e sblocco delle risorse

Sono arrivati con treni speciali, traghetti, aerei e 200 pullman da tutte le regioni d'Italia, 20 mila lavoratori dell'edilizia, cemento, lapidei, legno, arredo e laterizi in Piazza del Popolo il 15 marzo a Roma, per la manifestazione indetta dai Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, in occasione dello sciopero nazionale unitario dell’edilizia di 8 ore a conclusione di una mobilitazione che va avanti da oltre un mese con centinaia di assemblee, presidi e proteste nei territori.
Adombrati sui media dal contemporaneo sciopero sul clima, i combattivi lavoratori edili hanno animato il corteo colorato con bandiere, palloncini, striscioni e caschetti gialli, con tanti slogan che campeggiavano sugli striscioni, a cominciare da quello che apriva la manifestazione “Rilanciare il settore per rilanciare il Paese”, “Lavoro, investimenti, ripresa”, “Ricostruiamo l'Italia, mettiamo in sicurezza il Paese”.
I lavoratori edili chiedono al governo lo sblocco delle risorse per far ripartire i cantieri, la risoluzione dei ritardi burocratici e le garanzie per i diritti dei lavoratori, per l'occupazione e gli investimenti per superare quella che i sindacati definiscono “la più grave crisi dal dopoguerra a oggi” e che, da dieci anni a questa parte, ha colpito tutta la filiera delle costruzioni e ha provocato la perdita di 800 mila posti di lavoro e la chiusura di 120.000 imprese.
La lunga mobilitazione del settore e lo sciopero generale hanno costretto il governo a convocare i sindacati a Palazzo Chigi proprio il 15, dove al premier Giuseppe Conte, a Di Maio e al ministro delle Infrastrutture Toninelli, le organizzazioni sindacali hanno chiesto l'apertura di un tavolo con l'obiettivo di mettere in atto un nuovo piano di investimenti, completare le opere incompiute e riaprire i cantieri, la messa in sicurezza di territori, strade, ponti ed edifici pubblici. E, inoltre, incentivi per le imprese. “Abbiamo detto a Conte – hanno riferito i tre sindacalisti – che per noi è fondamentale che eventuali correzioni al codice degli appalti non devono minimamente allargare il subappalto e diminuire la sicurezza: sicurezza e legalità vanno insieme”.
Ma il nero governo Salvini-Di Maio fa il pesce in barile: nella manovra finanziaria approvata, sono già stati tagliati drasticamente o rinviati ai prossimi anni (come nel caso dell'Anas e delle Fs) gli investimenti pubblici, per destinarli ai più demagogici, in senso elettoralistico, reddito di cittadinanza e pensioni quota 100. Infatti, dal primo incontro escono vaghe promesse e solo una conferma, se pur blanda: il governo ha accolto la richiesta del blocco della norma del codice degli appalti, che prevede che le aziende municipalizzate possano esternalizzare l’80% dei servizi: invece di entrare in vigore dal primo aprile verrà bloccata e rinviata a fine anno.
Dal palco di piazza del Popolo sono intervenuti i segretari generali di Fillea, Filca e Feneal (Alessandro Genovesi, Franco Turri e Vito Panzarella); erano presenti anche i leader delle tre confederazioni Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Tutti hanno ribadito la necessità di investire le risorse che già ci sono per riaprire i cantieri senza togliere diritti e posti di lavoro, “avviare un Piano straordinario per la lotta al dissesto idrogeologico, potenziando le stazioni appaltanti regionali, e sostenere i piani per l’edilizia scolastica di quegli enti locali”. Tutte priorità che il governo dovrebbe avviare con precedenza assoluta.
C'erano anche i lavoratori dei cantieri delle grandi opere, che giustamente difendevano il posto di lavoro come i minatori del Terzo Valico “Noi costruiamo, non distruggiamo” e i lavoratori dell'E45, “Un pezzo della crisi in Italia” che chiedevano lo sblocco più che delle risorse delle decisioni politiche del governo per farli ripartire. Ma la richiesta dei vertici sindacali non fa alcuna differenza fra i vari progetti da sbloccare, anzi: tra le dichiarazioni rilasciate da Landini, Furlan, Barbagallo, intanto non emerge la volontà di lanciare una battaglia sindacale contro il governo appropriata alla posta in gioco e, in maniera truffaldina, per bocca di Genovesi che afferma: “Chiederemo di non fermare le opere già in corso, grandi come il Tav o la 106 e piccole come la manutenzione delle strade provinciali, ma anche di investire maggiori risorse su rigenerazione, risparmio energetico, riqualificazione del costruito”, turlupinando così i lavoratori sulla contrapposizione tra difesa del territorio e difesa dei posti di lavoro. A riprova di ciò Landini, rispondendo alle domande dei giornalisti sul Tav ammette: "È il governo che deve decidere cosa vuole fare: non è un problema della trattativa di oggi. Il problema è che sono bloccati tutti gli altri cantieri quindi, lo sblocca cantieri deve andare nella direzione di far ripartire i lavori messi in campo". Invece delle inutili e dannose grandi opere c'è tanto da investire nel recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e privato.
Per sbloccare i 600 cantieri fermi, che secondo una stima della Filca, se ripartissero l’impatto sull’occupazione sarebbe di circa 350mila posti, occorre sì aprire “un conflitto senza precedenti, a partire proprio dal sindacato delle costruzioni che vuole lavorare sì, ma guardando al futuro, alla qualità, alla sicurezza”, come dice Genovesi ma, tenendo ferma l'opposizione alle grandi opere speculative come il Tav, occorre allargarlo a tutte le lavoratrici e lavoratori, a cominciare dalla manifestazione nazionale contro le grandi opere del 23 marzo, fino ad un grande sciopero generale nazionale per buttar giù questo nero governo.

3 aprile 2019