Grave violazione della democrazia spagnola
L'indipendentismo catalano sotto processo
Alla sbarra dodici tra ex ministri catalani, politici e leader sociali

 
Il 12 febbraio è iniziato a Madrid il processo a 12 politici catalani accusati di avere organizzato nell’autunno del 2017 le manifestazioni e le inziative indipendentiste che culminarono col referendum sull’indipendenza catalana dell'1 ottobre e la dichiarazione unilaterale di indipendenza proclamata dall’allora presidente catalano Carles Puigdemont, con l’approvazione del Parlamento locale, considerata illegale e repressa a suon di manganellate dell'esercito dal governo centrale guidato dal democristiano Mariano Rajoy.
Al giudizio della massima istanza giuridica spagnola, il Tribunale supremo, sono finiti dodici fra ex ministri, politici e leader sociali, nove dei quali sono in carcere da quasi un anno e mezzo perché a loro è stato contestato il reato di ribellione. Fra di essi non c'é l'ex presidente Puigdemont, riparato in Belgio e dopo una serie di sentenze giudiziarie contro la sua estradizione in Spagna libero di muoversi nei paesi Ue.
Le accuse ai 12 imputati riguardano in particolare l'organizzazione delle proteste del 20 settembre 2017 a Barcellona, davanti il ministero dell’Economia catalano, e il successivo referendum dell’1 ottobre.
Il governo indipendentista di Carles Puigdemont aveva fatto approvare al Parlamento catalano una serie di leggi che preparavano l'organizzazione di un referendum sull’indipendenza della Catalogna. Le leggi vennero sospese dal Tribunale costituzionale spagnolo che dichiarò illegale il referendum e inviò esercito e polizia a bloccarne i preparativi.
Il 20 settembre almeno 40 mila dimostranti parteciparono alla protesta davanti al ministero dell’Economia catalano a Barcellona dove era in corso una operazione della polizia per arrestare diversi funzionari che stavano preparando il referendum. La manifestazione indetta dai leader delle due principali organizzazioni indipendentiste catalane, Jordi Sànchez dell’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) e Jordi Cuixart di Òmnium bloccò l'intervento della polizia e tenne assediati per diverse ore gli agenti nella sede ministeriale; negli scontri furono distrutte due auto della polizia. Per i due leader indipendentisti è scattata l'accusa di ribellione, la più grave che prevede fino a 30 anni di carcere.
Il governo Rajoy, con l'appoggio dell'opposizione socialista, fece scattare l'intervento repressivo della polizia anche contro i seggi, in particolare quelli allestiti a Barcellona, per il referendum dell'1 ottobre. In quelle condizioni la partecipazione al voto fu di poco superiore al 40%, con un successo netto a favore dell'indipendenza. Alla proclamazione unilaterale dell'indipendenza del governo di Barcellona, quello di Madrid rispose con l'incriminazione dei leader indipendentisti catalani per non avere rispettato le sentenze dei tribunali centrali sul referendum, per avere tentato di alterare il sistema costituzionale spagnolo puntando alla secessione e con l'accusa ridicola di malversazione per aver adoperato i fondi pubblici per finanziare il referendum. Completava l'offensiva poliziesca e giuridica del governo centrale di Madrid l'azzeramento delle cariche istituzionali catalane e la convocazione di nuove elezioni.
Il governo di destra di Rajoy aveva avviato il percorso giudiziario, quello socialista guidato da Pedro Sánchez che lo ha sostituito non lo ha bloccato, confermando che anche per una parte della “sinistra” borghese spagnola la questione dell'indipendenza della Catalogna è una questione di ordine pubblico e non politica. Alla faccia della democrazia spagnola che viene spudoratamente violata.

3 aprile 2019