I governanti imperialisti che sostengono le due fazioni libiche in guerra trattano per una tregua

 
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 18 aprile in Senato per riferire sugli sviluppi della crisi libica dichiarava che “la tempistica degli scontri ci induce a pensare che stessimo procedendo nella direzione giusta e che si sia voluto deliberatamente far deragliare un processo politico concreto e ben avviato”. Non accusava direttamente la diretta concorrente imperialista Francia di aver appoggiato l'attacco militare del suo alleato libico, il generale Haftar, e di aver fatto saltare il percorso negoziale fra le parti sotto l'egida dell'Onu. Ad accusare Macron di sostenere il governo di Tobruk e il generale Haftar ci pensava il governo Serraj di Tripoli che la stessa sera del 18 aprile rompeva formalmente le relazioni relazioni diplomatiche con la Francia. Conte invitava tutte le parti in causa a trovare una intesa perché “una Libia instabile non conviene a nessuno” ma finora i governanti imperialisti che sostengono le due fazioni libiche in guerra non possono far altro che trattare per una tregua. Sul terreno le formazioni di Haftar hanno circondato Tripoli ma ancora non sono riuscite a sfondare le difese di Serraj.
Sulla Libia lo scontro imperialista tra Italia e Francia è solo uno dei tanti che si registrano. Tanto per ricordarne un altro, a livello di potenze imperialiste superiori, registriamo che sempre il 18 aprile la Russia ha bloccato per la seconda volta la risoluzione preparata dal Regno unito al Consiglio di sicurezza dell’Onu per chiedere l’immediato cessate il fuoco che atribuiva le responsabilità della guerra attorno a Tripoli al generale Haftar. Questo contributo politico e probabilmente l'aiuto militare dei gruppi di mercenari russi alle truppe di Tobruk rappresentano la partecipazione di Putin al conflitto libico. La posizione russa è stata appoggiata dai paesi africani e si potebbe dire non osteggiata dagli Usa che stanno dalla parte del governo di Serraj ma non hanno rotto i legami con Haftar; come dire che a Trump importa avere rapporti con chi controlla i pozzi di petrolio, anche se non è il suo preferito. In una nota diffusa il 19 aprile il Dipartimento di stato americano rendeva noto che riconosceva “il ruolo significativo di Haftar nel combattere il terrorismo e nel mettere al sicuro le risorse petrolifere”. Tutto sommato a Washington andrebbe bene anche Haftar se è in grado di prendere il controllo del petrolio del paese e garantire la sottomissione alla Nato, il consolidamento della presenza delle forze americane dell’Africom; basta e avanza per gli Usa nel quadro della contesa mondiale con la Cina. Intanto la Casa Bianca sta a guardare cosa combina il governo di Roma, il suo fiduciario nel Mediterraneo.
Come al primo livello delle potenze imperialiste, Usa e Russia, e al secondo livello, Italia e Francia, gli schieramenti restano sostanzialmenti gli stessi anche tra i paesi musulmani e le fazioni libiche che appoggiano e che si confrontano sul campo.
Il successo militare di Haftar è frutto sostanzialmente del consistente sostegno diretto da parte dell’Egitto del generale al Sisi che nel 2014 liquidò con un golpe il governo dei Fratelli Musulmani, lo stesso nemico di Haftar. E dell'Arabia saudita e degli Emirati arabi. La cordata araba sunnita che contende l'egemonia regionale alla cordata sunnita guidata da Qatar e Turchia che non a caso sono gli sponsor finanziari e militari di una serie di milizie della Tripolitania e del primo governo di Tripoli che ha dovuto lasciare il posto a quello internazionalmente riconosciuto di Serraj. Sono i due fronti che si stanno scontrando anche per pilotare una via di uscita della crisi in Sudan.
Haftar ha allargato il suo controllo alla regione meridionale del Fezzan e alla regione centrale grazie ai carri armati che gli hanno fornito e pagato Egitto e Francia ma anche grazie a alleanze con diverse tribù, compresa quella dei Warfalla, la più numerosa nel Paese.
Con Serraj sono rimaste diverse delle altre fazioni e tribù, una quarantina, che controllano pezzi di territorio della parte ovest. Le milizie che si spartiscono il terriorio sarebbero almeno 300. Le maggiori sono la milizia di Misurata protagonista nel 2016 della sconfitta del Califfato creato a Sirte, associato allo Stato islamico, e puntello del governo di Serraj dove è rappresentata dal vice Ahmed Maitig recentemente incontrato da Conte. L’Italia ha stretti rapporti con le milizie e la città di Misurata dove ha piazzato l'ospedale e il contingente militare. Altra formazione importante è al milizia di Zintan, quella che nel 2011 cacciò Gheddafi da Tripoli; fin da allora era foraggiata dalla Francia e resta collegata alla parte di Haftar anche se formalmente è fedele al governo di unità nazionale di Tripoli.

24 aprile 2019