Dopo che Trump ha appoggiato Haftar
Giravolta di Conte: “Non siamo né con Serraj né con Haftar”
Il premier italiano ha chiesto aiuto a Putin, principale alleato del generale di Bengasi

 
Sul piano militare lo scontro tra le formazioni che appoggiano il governo internazionalmente riconosciuto del premier Fayez Al Serraj, e l'Esercito Nazionale Libico del governo di Bengasi comandato dal generale Khalifa Haftar, iniziato con l'attacco lanciato da quest'ultimo il 4 aprile scorso, è in una fase di stallo con i difensori asserragliati nella capitale Tripoli che hanno bloccato l'offensiva. Forse la principale intenzione di Haftar, o la seconda se la vittoria non fosse stata immediatamente a portata di mano come è in questo momento, è quella di tenere sotto pressione il più debole rivale Serraj e le milizie armate e finanziate dal Qatar e dalla Fratellanza musulmana in attesa che crolli da solo una volta abbandonato dai suoi principali sponsor, l'imperialismo italiano con la delega di quello Usa. Una ipotesi che prende sempre più corpo dopo che il presidente americano Donald Trump ha reso noto l'appoggio al generale cirenaico e ha lasciato Conte col cerino in mano, costringendolo all'ennesima giravolta.
A dire il vero era già un dato evidente che il potente fronte pro Haftar, dal suo principale alleato Putin all'Egitto del generale Al Sisi, alla Francia di Macron, all'Arabia saudita e Emirati arabi, rimanesse compatto mentre Usa e Italia avessero dato segni di cedimento su Serraj, sorretto dall'Onu che nella guerra libica conta quanto il due di briscola, e tenuto aperti canali col fronte rivale. Se Haftar è in grado di garantire il controllo almeno di buona parte delle immense risorse energetiche della Libia, diventa automaticamente interlocutore di tutti i paesi imperialisti interessati a metterci sopra le mani e a scalzare le posizioni storiche dell'imperialismo italiano.
Fra il presidente Trump e il generale libico era corsa una telefonata lo scorso 15 aprile nella quale, rendeva noto la Casa Bianca, gli Usa avevano riconosciuto gli sforzi di Haftar “per combattere il terrorismo e mettere in sicurezza le risorse petrolifere del paese” e avevano “condiviso la visione per una transizione della Libia verso un sistema politico stabile e democratico”. Il colloquio era stato reso noto con quattro giorni di ritardo, il 19 aprile, in una versione incompleta; fonti diplomatiche americane passavano all’agenzia Bloomberg la velina per spiegare che Trumpo aveva assicurato il sostegno politico e militare all’offensiva di Haftar, confermando quanto già espresso nei colloqui diretti dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Nel gioco delle parti era il segretario di Stato americano Mike Pompeo a sostenere la contrarietà Usa all'offensiva militare di Haftar chiedendogli di fermare le operazioni ma la posizione valida era l'altra.
Alla soluzione politica, e non a quella militare, che “non può che passare da un cessate il fuoco immediato” restava ancorato il governo italiano con Conte che la definiva una “posizione lungimirante” e il 26 aprile da Pechino, dove era in visita per partecipare alla conferenza sulla Via della Seta, seguiva le orme di Trump e cercava di giustificare l'abbandono del governo Serraj che il governo dei ducetti Salvini e Di Maio aveva ricevuto in eredità da quello di Gentiloni e Minniti.
“Non sostengo un singolo attore dello scenario libico. Miriamo alla stabilizzazione del Paese, e l’opzione militare non è affidabile. L’Italia non è né a favore di Serraj né a favore di Haftar, ma a favore del popolo libico”, sosteneva Conte nel corso di una conferenza stampa a Pechino con la naturalezza che lo contraddistingue nel dire una cosa e subito dopo il suo esatto contrario. E ovviamente non batteva ciglio alla richiesta avanzata con un video riportato sul sito del Corriere della Sera dal generale Ahmed Mismari, portavoce di Haftar, che intimava all’Italia di ritirare il suo ospedale da Misurata e i 400 militari presenti.
Parlerò della Libia col presidente egiziano al Sisi e quello russo Vladimir Putin a margine del Forum di Pechino, assicurava Conte in cerca di un aiuto che gli è indispensabile per non uscire con le ossa rotte dalla crisi libica. Ma quello che portava a casa era la promessa che l'Egitto non interverrà militarmente in Libia, tanto le armi al Sisi le ha già date a Haftar che è aiutato dai mercenari russi e probabilmente francesi e americani mentre i droni per colpire le difese di Tripoli glieli prestano gli Emirati che li hanno comprati dagli Usa. Dai colloqui con Putin ricavava che con la Russia ci sono “preoccupazioni condivise” e Mosca è pronta a lavorare per arrivare a una de-escalation prima che la situazione peggiori. Se questo è tutto ciò che è uscito dal colloquio “fitto e intenso” col presidente russo, così lo ha definito, siamo alla solita aria fritta. E Serraj è sempre più tentennante sotto i colpi di Haftar.

30 aprile 2019