Grave decisione dei sindacati confederali
Sospeso lo sciopero della scuola solo per una promessa di Conte
Salvini: "la revoca è un successo", proteste dei sindacati non confederali

Nella notte tra il 23 e 24 aprile è stata raggiunta l'intesa tra il governo e le organizzazioni sindacali della scuola di Cgil-Cisl-Uil e le sigle Snals e Gilda. La prima conseguenza è stata la disdetta dello sciopero già indetto per il 17 di maggio. Questa revoca però si basa sul nulla o quasi. Siamo infatti ben lontani da una trattativa che abbia raggiunto dei risultati concreti, piuttosto siamo in una situazione dove il governo ha fatto solo delle promesse, ma tanto è bastato ai confederali per bloccare la mobilitazione.
Nel documento sottoscritto dalle parti si possono leggere delle generiche affermazioni sul ruolo di docenti e personale ATA riconosciuto come "fondamentale e di prestigio sociale". Quando si parla di soldi però si rimane sul vago dichiarando che il governo s'impegna a "reperire risorse in occasione della legge di bilancio 2020 per avviare un percorso che permetta un graduale avvicinamento alla media salariale degli altri paesi europei". Con quali soldi non è dato a sapere.
Ma se negli ultimi anni i salari dei lavoratori della scuola hanno perso il 10% del loro potere d'acquisto come si può pensare che nei prossimi tre il nuovo contratto li possa avvicinare ai loro colleghi europei con un governo che dopo tante promesse elettorali sta chiudendo a doppia mandata ii cordoni della borsa?
Per il recupero salariale promesso servono stanziamenti certi, non chiacchiere. Secondo uno studio della Flc-Cgil occorrono almeno 4 miliardi per avvicinarsi ai 200 euro mensili andati perduti negli ultimi anni di blocco pressoché totale del contratto. Intanto il prossimo Documento di Economia e Finanza (DEF) prevede ulteriori tagli, non a caso per i presunti aumenti si parla di 2020, e nel frattempo un altro anno, il 2019, passa in cavalleria senza che i lavoratori ottengano nemmeno un euro.
Il presidente del Consiglio Conte, intervenuto personalmente per sbloccare lo stallo della trattativa, con un post su Facebook ribadisce che ci troviamo "in un quadro di finanza pubblica che ci pone dei vincoli". Ma allo stesso tempo promette "un congruo incremento degli stipendi". A sentire il ministro della scuola, il leghista Bussetti, saranno aumenti "a tre cifre", cioè sopra i 100 euro. Una sparata che non ha convinto nessuno tanto che sui social molti messaggi, con amara ironia, riportavano le tre cifre dell'ipotetico aumento precedute da uno zero virgola, cioè inferiore ad un euro.
Ma quello economico non è l'unico nodo irrisolto di questo accordo. L'altro tema principale, che si trovava in cima alle stesse rivendicazioni dello sciopero poi revocato, è quello della regionalizzazione. Nonostante già oggi vi sia una gestione a livello locale, i sindacati chiedevano che la scuola pubblica mantenga regole uniche in tutta Italia, compresi i diritti dei lavoratori.
Non bisogna dimenticare che si sta già procedendo verso la cosiddetta "secessione dei ricchi" che dà ampi poteri a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. C'è già un'intesa dettagliata in questo senso che prevede di estendere i poteri di queste regioni su assunzioni, retribuzioni, concorsi, rapporti di lavoro di tutto il personale, ruoli regionali in aggiunta a quelli statali, edilizia scolastica, diritto allo studio, programmi e persino finalità del sistema dell'istruzione, trasferimento del personale degli uffici periferici del Ministero dell'Istruzione. In sintesi si tratta dell'affossamento pressoché totale della potestà statale sull'istruzione sancita dalla Costituzione.
Su questo punto le rassicurazioni del governo sono molto deboli. Si afferma che sarà "salvaguardata l'unità e l'identità culturale del sistema nazionale di istruzione e ricerca", ma se non si dice chiaramente di escludere la scuola dalla regionalizzazione, sono parole che valgono poco o nulla. Non a caso il governo e la Lega in particolare continuano a spingere affinché Lombardia e Veneto si approprino dei finanziamenti statali all'istruzione per gestirli come vogliono, a partire dalla sovvenzione alle scuole private.
Nemmeno sui precari si ottiene qualcosa. Si sbandierano 27 mila docenti assunti a ruolo per le scuole d'infanzia e primarie e 48 mila per le secondarie ma con “quota 100” si apprestano ad andarne in pensione centomila. Coma fa il segretario della Cgil Landini a dichiarare. “è un primo risultato importante perché dimostra che l'unità dei sindacati e la capacità di mobilitazione hanno ancora la forza di produrre risultati”?.
Hanno ben ragione i sindacati "di base" che non hanno firmato l'accordo ad accusare i confederali di aver capitolato e revocato lo sciopero senza avere la benché minima contropartita. Per Bernocchi, portavoce dei Cobas, “che Conte abbia distribuito solo fuffa e non si sia preso alcun impegno serio risulta lampante”. Per D'Errico (Unicobas) “si sono venduti per promesse e per un piatto di lenticchie” mentre l'USB lo definisce “un accordo sul nulla”.
Questi sindacati hanno confermato lo sciopero, peccato che ancora una volta non siano riusciti a trovare una data comune. Cobas, Unicobas e Anief mantengono quella del 17 maggio mentre Usb sciopererà il 10 maggio. Possibile non trovare un giorno giusto per tutti? Evidentemente l'unione dei sindacati non confederali viene invocata da tutti ma poi nessuna sigla ha intenzione di metterla in atto anteponendo particolarismi e settarismi.
Tra i più soddisfati invece gli esponenti di governo. Avere disinnescato (almeno per le sigle maggiori) lo sciopero di un importante settore come quello della scuola, con i lavoratori nelle piazze a protestare una settimana prima delle elezioni europee e comunali è senz'altro un punto a favore del nero governo Lega-5 Stelle. Lo ha detto ha chiare lettere il fascista Salvini: per il ministro dell'Interno la revoca dello sciopero “è un successo di tutti”.
 

8 maggio 2019