Venezuela
Fallito il secondo tentativo di colpo di stato di Guaidò, fantoccio dell'imperialismo americano
Usa e Russia si confrontano

 
Fallito il primo tentato golpe, avviato con l'autoproclamazione a presidente ad interim del 23 gennaio scorso, il fantoccio dell'imperialismo americano Juan Guaidò ci ha riprovato il 30 aprile ma ha fallito anche il secondo tentativo di colpo di stato.
In un video con accanto alcuni uomini in uniforme e al leader dell'opposizione Leopoldo López, appena liberato dagli arresti domiciliari e subito dopo rifugiatosi nella residenza dell'ambasciatore spagnolo a Caracas, Guaidó sosteneva che “l'esercito è con la gente, la fine dell'usurpazione è iniziata”, esortava i militari a ribellarsi e rovesciare il presidente Nicolás Maduro e a dare il via alla “fase finale dell’Operazione Libertà” con grandi manifestazioni di piazza.
Pur ampiamente gonfiate nei resoconti della stampa imperialista che faceva apertamente il tifo per i golpisti, vedi i vergognosi servizi della Rai, i militari non si muovevano contro il presidente legittimo, le manifestazioni non avevano il successo sperato, come pure quelle dei giorni successivi, non partiva nemmeno a inizio di maggio lo sciopero dei dipendenti statali annunciato da Guaidò che doveva dare il via a uno sciopero generale.
Nella serata del 30 aprile il presidente Maduro dichiarava alla tv di stato ufficialmente “fallito il golpe delle forze imperialiste”. “L’opposizione voleva provocare l’intervento yankee nel nostro paese ma li abbiamo respinti ancora una volta”, affermava e si felicitava con le “Forze armate per l'atteggiamento fermo, leale, valoroso e di enorme saggezza con cui avete condotto la soluzione e la sconfitta del piccolo gruppo che pretendeva di riempire il Paese di violenza con una scaramuccia golpista”. La partecipazione popolare alle manifestazioni ufficiali per celebrare il Primo Maggio e in suo sostegno e la foto che lo ritraeva alla testa di un corteo di alcune migliaia di soldati rendevano chiaro il significato delle sue parole e smascheravano le cronache a uso e consumo dei paesi imperialisti ancora impegnate a mostrare un paese sull'orlo della guerra civile. Anche questa volta il pur pericoloso tentativo imperialista è andato a vuoto e la resa dei conti tra Maduro e le opposizioni rimandata.
Era evidente la sintonia tra Guaidò e il suo padrino imperialista. All'appello golpista rispondeva a tambur battente Trump che con un comunicato della Casa Bianca invitava i militari a sostenere Guaidò, il presidente illegittimo, mentre con una faccia di bronzo senza pari denunciava l'intromissione “inaccettabile” di Cuba del presidente Miguel Díaz-Canel e della Russia di Putin a sostengo del legittimo presidente Maduro.
L'attacco a Cuba era già partito a metà aprile, in preparazione del golpe, e continuerà nei giorni successivi con la minaccia di ripristinare tutte le norme dell'illegale embargo all'isola, le poche finora non applicate o derogate nel tempo.
Trump diceva alla Russia di andarsene dal Paese e smettere di sostenere Maduro. Il segretario di Stato Mike Pompeo rincarava la dose e minacciava un intervento militare degli Usa “se sarà necessario”. Una minaccia ripetuta come un ritornello dal segretario alla Sicurezza nazionale John Bolton, dal fantoccio Guaidò e confermata nell'occasione dall’ammiraglio Craig Faller, capo del Comando Sud degli Usa, che fissava come data limite “la fine dell’anno” per un l'intervento militare necessario a “difendere la democrazia e i diritti umani in Venezuela”. Una minaccia che intanto funziona come ciambella di salvataggio per il fantoccio Guaidò che a rigor di logica dovrebbe finire in galera per il tentato golpe.
Al momento l'aggressione militare dell'imperialismo americano è stata stoppata dalla decisa reazione del concorrente imperialismo russo che a protezione dei suoi interessi in Venezuela ha minacciato ritorsioni. Il braccio di ferro non è avvenuto dietro le quinte ma nel confronto reso pubblico tra Pompeo e il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. “Le interferenze statunitensi nelle questioni interne venezuelane sono una palese violazione del diritto internazionale e ulteriori aggressivi passi creeranno una situazione gravida di pericolose conseguenze”, denunciava Lavrov. Come in Siria Putin non ha esitato a mettersi in mezzo e tenere botta al confronto diretto con gli Usa, incurante degli ammonimenti di Pompeo: “la Russia e Cuba stanno destabilizzando il Venezuela e il coinvolgimento russo nelle vicende del Paese latinoamericano rischia di destabilizzare anche le relazioni bilaterali tra Washington e Mosca”.
Maduro è certamente in difficoltà, nonostante il sostegno della Russia e della Cina di Xi, e con un consenso popolare che può ancora essere indebolito per gli effetti negativi sulle masse popolari della crisi economica e delle mancate riforme del suo governo, cui si sommano le conseguenze del feroce embargo decretato dagli Usa e dai loro alleati. L'imperialismo americano, fallito il tentativo di golpe che comunque ha rappresentato un test della tenuta dei vertici militari fedeli al legittimo governo, continua a tenere sulla testa del Venezuela la spada di Damocle dell'intervento militare e continua a portare avanti la politica di logoramento economico. Nella speranza che il governo Maduro crolli o si creino le condizioni per rovesciarlo con un golpe. Certo il tempo stringe, l'anno prossimo ci sono le elezioni presidenziali e tutto serve alla campagna di Trump per la sua riconferma, ma è ancora più urgente per l'imperialismo americano bloccare l'avanzata dei concorrenti Russia e Cina nel suo cortile di casa. L'ultimo segnale è venuto dalla recente adesione della Giamaica alla BRI, la nuova Via della Seta che non si è fermata all’Europa e ha già raggiunto l’America. Trump attacca Maduro e Miguel Díaz-Canel, i bersagli più facili, e tramite loro mette nel mirino Xi e Putin i due principali concorrenti imperialisti degli Usa nella contesa per il dominio del mondo.
 
 
 
 
 
 
 

8 maggio 2019