Intollerabile la concessione di uno stand all'editore di CasaPound
È stato giusto boicottare il Salone del Libro di Torino
Vergognoso e stomachevole opportunismo di Norma Rangeri, direttrice del “Manifesto” trotzkista. A ruota “Il Fatto” di Travaglio. Stesso atteggiamento opportunista di Rizzo e di Mustillo, dell'Ufficio politico del sedicente PC
Indagato l'editore nero Francesco Polacchi per apologia di fascismo

Quella che si è svolta intorno al Salone del Libro di Torino, e che si è conclusa con l'estromissione della casa editrice neofascista Altaforte, è stata un'importante battaglia antifascista, che ha messo in evidenza il problema dell'avanzata dei gruppi neofascisti nella società e nella cultura italiana e dei loro stretti rapporti con il governo nero Salvini-Di Maio che li protegge e li incoraggia. Essa ha anche diviso in due il mondo degli scrittori e degli intellettuali democratici borghesi, costringendoli a schierarsi o con le ragioni dell'antifascismo o con quelle di un'astratta e liberale "difesa della libertà di espressione" estesa anche a chi porta avanti istanze fasciste, filonaziste, razziste e xenofobe, come appunto fa con le sue pubblicazioni la casa editrice vicina a CasaPound, che si presentava alla fiera del Lingotto con il libro-intervista fresco di stampa su Salvini.
Riassumiamo i fatti: è del Primo Maggio la notizia della pubblicazione del libro "Io sono Matteo Salvini", contenente una lunga intervista della giornalista Chiara Giannini al leader fascio-leghista da parte della casa editrice Altaforte, di proprietà dell'imprenditore e coordinatore di CasaPound per la Lombardia, Francesco Polacchi. Come ricorda il giornalista Paolo Berizzi, che vive sotto scorta per le minacce dei neofascisti, costui, che Salvini dice di non conoscere, è un noto esponente e picchiatore dei "fascisti del terzo millennio", con precedenti penali per aver accoltellato e ferito tre giovani sassaresi davanti a una discoteca a Porto Rotondo, e già leader del "blocco studentesco" che nel 2008 aggredì con inaudita violenza gli studenti del movimento studentesco in Piazza Navona e per questo arrestato e condannato ad un anno di reclusione. Tra le altre sue diverse prodezze c'è anche quella di aver guidato la squadraccia di CasaPound che nel giugno 2017 fece irruzione a Palazzo Marino a Milano, interrompendo e minacciando il Consiglio comunale e aggredendo a calci e pugni la delegazione di un comitato di inquilini, cosa per la quale è stato rinviato a giudizio ed ha avuto la prima udienza l'8 febbraio scorso.
Polacchi è anche il personaggio che compare a capotavola in una foto del 2015 di una cena in trattoria con Salvini e con i massimi caporioni di CasaPound, tra cui Gianluca Iannone e i fratelli Di Stefano. Egli è anche ideatore e proprietario del marchio di abbigliamento Pivert, che è il distintivo dei "fascisti del terzo millennio". "Incidentalmente" il 10 maggio 2018 Salvini si presentò allo stadio Olimpico di Roma con il giubbino della Pivert. Nonostante il ducetto fascio-leghista affermi, come del resto fa sempre in questi casi, di aver incontrato Polacchi solo una volta e di sfuggita, e di non aver scelto lui la casa editrice ma la giornalista che lo ha intervistato, i loro rapporti sono invece di lunga data, e a fare da tramite tra i due è stato Mario Borghezio, grande amico di Polacchi e degli ambienti neofascisti.

La scelta "legalitaria" dei responsabili del Salone
A pochi giorni dall'apertura (9 maggio) si diffonde la notizia che la casa editrice Altaforte sarà presente con un suo stand alla fiera di Torino per presentare il libro di Salvini, e che forse quest'ultimo farà addirittura un intervento, costringendo il direttore editoriale della mostra, Nicola Lagioia a precisare che nessun politico potrà partecipare per presentare suoi libri, ma solo come visitatore o in veste istituzionale. La notizia provoca un immediato contraccolpo negli ambienti intellettuali, e cominciano le prime prese di posizione.
Il consulente del Comitato editoriale della mostra, Christian Raimo, rassegna le dimissioni, "per non nuocere all'immagine del Salone", dopo essere stato costretto a cancellare un suo post su Facebook in cui, chiamando all'"antifascismo militante", denunciava la presenza dei neofascisti le cui idee "sono la base per l’ideologia della forza maggioritaria di governo". Faceva anche esplicito riferimento a Matteo Salvini, "dichiaratamente organico a quel mondo", così come lo sono alcuni giornalisti e intellettuali di destra come Alessandro Giuli, Francesco Borgonovo, Adriano Scianca, Pietrangelo Buttafuoco e l'editore Francesco Giubilei. Il direttore Lagioia cerca di barcamenarsi, affermando lo spirito antifascista della manifestazione, minimizzando l'importanza della presenza della Altaforte (che ha uno standi di "solo 10 metri quadri"), e rimettendo la palla al Comitato di indirizzo, a cui spetta decidere sui requisiti di ammissione. Il Comitato, formato da rappresentanti di editori, librai e dal Comune di Torino e dalla Regione Piemonte, emette un comunicato in cui, citando le leggi Scelba e Mancino che a suo dire assegnano alla magistratura il compito di decidere chi persegua finalità antidemocratiche, ne deduce che "è indiscutibile il diritto per chiunque non sia stato condannato per avere propagandato idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, di acquistare uno spazio al Salone e di esporvi i propri libri".

L'antifascismo torna ad essere la vera discriminante
Questa decisione suscita immediatamente lo sdegno e la decisione di lasciare per protesta il salone da parte di alcuni partecipanti, tra cui per primo il collettivo bolognese di scrittori Wu Ming, che in un comunicato accusa il comitato di nascondersi dietro "il legale" per "non assumersi una responsabilità politica e morale", sottolineando che con ciò "a Torino si è compiuto un passo ulteriore nell’accettazione delle nuove camicie nere sulla scena politico-culturale italiana", e di non avere intenzione "di condividere alcuno spazio o cornice coi fascisti. Mai accanto ai fascisti".
Di seguito decidono di revocare la partecipazione, e con analoghe anche se non così marcate posizioni, anche la presidente dell'Anpi Carla Nespolo (che doveva presentare un libro su Tina Anselmi partigiana), la Cgil torinese, lo storico Carlo Ginzburg, il disegnatore di graphic novel Zerocalcare, gli storici dell'arte Salvatore Settis e Tomaso Montanari, gli scrittori Francesca Mannocchi, Roberto Piumini e Giuseppe Genna. Dichiarano con una lettera di non voler "condividere lo spazio con chi mette in discussione i fatti storici che hanno portato all’Olocausto, con chi ripropone un’idea fascista della società" anche la sopravvissuta ai lager Halina Birenbaum e il direttore del museo di Auschwitz, Piotr Cywinski.
Decide invece di confermare la sua presenza la scrittrice Michela Murgia, sostenendo la tesi che "non bisogna lasciare il terreno ai fascisti" ed è meglio contestarli sul posto. Ne seguono l'esempio altri scrittori, tra cui anche Roberto Saviano, editori, intellettuali e giornalisti, come l'editorialista di "Repubblica" ed ex direttrice de "l'Unità" Concita De Gregorio. E lo fanno accampando alibi simili o altri variamente opportunistici, quali la "libertà di espressione" garantita dall'art. 21 della Costituzione, l'inesistenza del pericolo di un ritorno del fascismo, il "non ripetere l'esperienza fallimentare dell'Aventino", non offrire il pretesto a una casa editrice semisconosciuta di farsi una pubblicità insperata, e così via.

Chiamparino e Appendino costretti a scegliere
Intervengono anche la sindaca M5S Chiara Appendino, invitando a partecipare al Salone infiltrato perché "la cultura è l'unico argine possibile al fascismo", e il governatore PD Sergio Chiamparino, per il quale la presenza di Altaforte "non è gradita, ma non ci sono elementi per negare lo stand". A questo punto la partita sembra vinta per i fascisti di CasaPound, visto che tutto sommato chi li vuole fuori sembra ritrovarsi in minoranza, ma accadono due fatti che capovolgono la situazione. Polacchi canta vittoria troppo presto, e si lascia andare a dichiarazioni a Radio 24 che suscitano un'ondata di indignazione: "Sono fascista, lo dico senza problemi", dichiara al programma La Zanzara; anzi, aggiunge che "l'antifascismo è il vero male di questo Paese", e che "Mussolini è stato il più grande statista italiano".
Chiamparino e Appendino cercano allora di salvarsi la faccia passando la patata bollente alla magistratura, e inviano un esposto alla procura contro Polacchi, che viene indagato per apologia di fascismo. Ma ancora non si parla di una sua espulsione dal Salone, piuttosto si avanzano altre ipotesi, come quella di spostare il suo stand in una posizione più defilata. Appendino ci tiene anzi a dichiarare che "il nostro esposto non è stato fatto contro Salvini", e che il ministro "può commentare come vuole", invitandolo addirittura a "venire al Salone".
Quello che alla fine ha fatto decidere la sindaca e il governatore a espellere i fascisti è stata piuttosto la dichiarazione della Birenbaum, che ha messo i responsabili del Salone di fronte alla scelta "o noi o loro": "Se ospiteranno i neofascisti – ha detto la scrittrice in un’intervista – i vertici del Salone sono da considerare come complici", annunciando che in tal caso lei per protesta avrebbe tenuto il suo discorso fuori dai cancelli. Ciò, come si leggeva nell'imbarazzato comunicato con cui Chiamparino e Appendino annunciavano alla buon'ora la scelta di espellere lo stand fascista, avrebbe recato "un grave danno d'immagine" al Salone del libro. Ragion per cui, spiegavano ipocritamente i due, "tra le ragioni di una testimone attiva dell'Olocausto e quelle di Altaforte, facciamo prevalere le prime, ricordando che Torino è insignita della medaglia d'Oro al valor Militare per la Resistenza contro il nazifascismo".
"Quello del Salone è un atto di censura e tutte le forze politiche e i liberi pensatori dovrebbero stigmatizzarlo. La censura degli organizzatori colpisce Altaforte e anche il ministro Salvini perché è per il libro intervista che siamo stati esclusi", strillava Polacchi recitando la parte della vittima. Subito spalleggiato dal ducetto Salvini, che in un comizio a Pesaro rilanciava: "Siamo nel 2019 alla censura dei libri in base alle idee, al rogo dei libri che non ha mai portato fortuna in passato... alla faccia dei compagni e dei democratici, che decidono chi può andare al Salone del Libro e chi non ha diritto ad andarci". Polacchi annunciava di voler denunciare il Salone, e di concerto anche la Lega torinese arrivava a chiedere le dimissioni del direttore Lagioia.

Vergognosa copertura de "il manifesto" e "Il Fatto" ai fascisti e a Salvini
Alla fine dunque l'obiettivo di non darla vinta ai fascisti spalleggiati da Salvini è stato raggiunto, ma solo grazie alla minoranza di scrittori, intellettuali e giornalisti che hanno capito l'importanza di questa battaglia antifascista e si sono messi in gioco boicottando il Salone inquinato da CasaPound per richiamare l'attenzione degli antifascisti sul gravissimo tentativo di infiltrazione culturale. Non certo grazie alla maggioranza di intellettuali democratici borghesi appiattiti su un'opportunistica difesa della "libertà di espressione per tutti", e quindi anche per i fascisti. Se fosse dipeso da loro CasaPound avrebbe potuto restare tranquillamente al Lingotto per tutta la durata della manifestazione a spacciare la sua sporca propaganda fascista.
In ciò si è distinto fin dall'inizio per stomachevole opportunismo "il manifesto" trotzkista, con un fondo della direttrice Norma Rangeri, che ha fatto sue tutte le motivazioni possibili per giustificare la decisione del Salone di non espellere i fascisti e criticare chi aveva scelto il boicottaggio: dalla posizione di "non lasciare la fiera ai fascisti", all'"arma della censura che, lo abbiamo imparato, è sempre a doppio taglio"; dall'ammiccamento a chi da destra, come i vari Feltri, Belpietro, Mughini e Sansonetti, esprimevano solidarietà ai fascisti strillando di "roghi di libri" ("stiamo parlando di libri, di case editrici", rinfacciava infatti inorridita la Rangeri a chi chiedeva di espellere Altaforte), fino alla risibile argomentazione che il boicottaggio serviva solo a far conoscere a tutti una casa editrice altrimenti sconosciuta e a farle vendere molte più copie del libro su Salvini.
La seguiva a ruota "Il Fatto" di Travaglio - ormai sempre più disperatamente impegnato a dimostrare che questa maggioranza di governo non è fascista, che nemmeno Salvini lo è e chi lo afferma dice solo sciocchezze - dando quotidianamente voce a giornalisti e intellettuali sostenitori della "libertà di espressione per tutti" e quindi anche della permanenza di CasaPound al Salone: tra i quali Massimo Fini, lo scrittore Walter Siti e il sedicente "filosofo marxista" Diego Fusaro, in realtà ideologo della peggiore destra "sovranista" e "populista" alla Bannon. Il cui intervento era particolarmente feroce e velenoso, paragonando l'espulsione di Altaforte al "rogo dei libri", e accusando quanti lo avevano voluto di essere i "pedagoghi squadristi dell'antifascismo in assenza di fascismo": "Il fascismo sta tornando - strillava infatti indignato Fusaro - ma a parti inverse: l’antifascismo è oggi l’alibi per usare metodi fascisti. Censura, insulti, ostracizzazione, persecuzione".

Battute le tesi opportuniste dei liberali e dei falsi comunisti
Incredibilmente (ma forse non poi tanto), al coro trasversale dei fustigatori di chi chiedeva l'espulsione dei fascisti dal Lingotto, si univano anche Marco Rizzo e Alessandro Mustillo, dell'Ufficio politico del sedicente Partito Comunista. Mustillo lo ha fatto con una lunga dichiarazione per dimostrare che quello dei contestatori era "un gesto nobile ma assolutamente sbagliato", perché tanto "il fascismo è già stato sdoganato nella nostra società" e "ignorare la realtà non la cambierà automaticamente". Arrivando addirittura a sostenere che battaglie antifasciste come questa sono controproducenti perché associano l'antifascismo al PD, "e siccome il popolo odia il PD l’equazione di stare dalla parte di chi dal PD è odiato è un passo breve".
Quanto al leader trotzkista del sedicente PC, ha così liquidato la battaglia antifascista del Lingotto mentre era in pieno svolgimento: "Mi preoccupa che i fascisti si radichino nelle periferie, e tra i lavoratori molto di più che una casa editrice sia al Salone del Libro di Torino". Come se la battaglia antifascista nel campo culturale non possa andare di pari passo a quella per contrastare l'avanzata dei fascisti nelle periferie e tra i lavoratori. Anche per lui, anzi, l'antifascismo non farebbe altro che spingere il popolo "ad abbracciare chi dal PD è odiato", ossia Salvini, la Lega e gli stessi neofascisti.
Ora si tratta di condurre fino in fondo questa grande battaglia antifascista sottraendola a quanti si affannano per appiattirla nella sterile difesa della democrazia borghese e battendosi piuttosto nelle piazze e ovunque, come sta avvenendo in questi giorni nelle coraggiose contestazioni del ducetto Salvini, per liberare l'Italia dai fascisti del XXI secolo e per buttare giù il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio che ha dato loro campo libero in ogni settore.
 
 
 
 
 
 
 
 

15 maggio 2019