Assurdità revisionista: “Siamo discendenti dei carnefici”, cioè del fascismo
“Il manifesto” trotzkista si domanda se il fascismo può tornare, mentre i fascisti del XXI secolo sono al governo
I falsi comunisti imprigionano l'antifascismo nei confini costituzionali

Alla vigilia del 25 Aprile, dopo le dichiarazioni di Salvini sul "derby tra fascisti e comunisti", e mentre saliva l'allarme per il crescendo di azioni dei gruppi neofascisti e neonazisti, "il manifesto" si chiedeva "se il fascismo può tornare". La domanda costituiva infatti la premessa di un inserto di quattro pagine dell'edizione del 23 aprile, dal titolo "Fascismo passato prossimo", ed era così articolata: "Sospinte dal vento dell'intolleranza, a più di settant'anni dalla Liberazione sembrano tornare d'attualità meccanismi e retoriche che evocano i fantasmi della nostra storia. Ma davvero ci attende qualcosa che assomiglia a ciò che abbiamo già vissuto"?
Ebbene, tutto il contenuto dell'inserto, da una lunga intervista allo scrittore Antonio Scurati, autore di un recente romanzo su Mussolini e la sua ascesa al potere ("M. Il figlio del secolo"), agli interventi degli storici Davide Conti e Claudio Vercelli, fino alle recensioni di alcuni recenti libri di storici del fascismo, tra cui Emilio Gentile, sembra convergere verso un'unica stessa risposta: no, il fascismo non può tornare, che le somiglianze della situazione attuale con il fascismo sono solo superficiali e fuorvianti, e che oggi, in sostanza, la risposta all'autoritarismo dei movimenti populisti e sovranisti non può essere l'antifascismo bensì la difesa della democrazia liberale e costituzionale.
Prendiamo per esempio l'intervista a Scurati, che apre l'inserto col titolo "Dare voce a Mussolini serve per liberarci di lui". Per spiegare di aver voluto col suo libro - che peraltro descrive efficacemente il contesto storico, politico, sociale e culturale in cui nacque e si sviluppò il movimento fascista e l'efferatezza dei suoi metodi per conquistare il potere - raccontare Mussolini e il fascismo "dal di dentro", l'autore sostiene la tesi che "negli ultimi settant'anni fascismo e nazismo sono stati raccontati prevalentemente a partire dal punto di vista delle loro vittime e da angolature marginali. E' stato giusto e sacrosanto. Ma ora dobbiamo completare il quadro facendo i conti fino in fondo con la nostra discendenza dai carnefici e con la loro centralità per la nostra storia. Prima era impossibile perché l'antifascismo del lungo dopoguerra fondato sulla pregiudiziale antifascista, proibiva implicitamente che si potesse narrare il fascismo attraverso i fascisti, che si potesse fare di Mussolini il protagonista di un romanzo adottando la prospettiva centrale. Oggi, purtroppo, caduta quella pregiudiziale, ciò diventa possibile, dunque necessario come parte di uno sforzo costante di rinnovamento della narrazione civile e democratica".

Il rischio di un'ambigua operazione revisionistica
Che cosa si vuol affermare con questa tesi? Che fino a che l'antifascismo è stato un sentimento forte e diffuso a livello di massa come nel dopoguerra non è stato possibile approfondire e analizzare a fondo le cause e le modalità della nascita e affermazione del fascismo in Italia, quasi che gli antifascisti avessero imposto una sorta di veto allo studio di un intero periodo della storia d'Italia? Sembrerebbe così, dal momento che anche in altra parte dell'intervista Scurati sostiene che ad impedire una corretta analisi del fenomeno fascismo siano state "prima l'autonarrazione propagandistica degli stessi fascisti e poi la narrazione antifascista del dopoguerra fondata sul mito resistenziale", e che adesso "è il tempo di un racconto che si sottragga ad entrambe le mitologie". Ma questa è una tesi che non sta in piedi, solo che si pensi alle analisi politiche della III Internazionale sul fascismo già durante la sua comparsa e affermazione, o anche solo alla descrizione che della sua violenta e sanguinaria ascesa fu fatta dall'azionista Emilio Lussu nel suo libro "Marcia su Roma e dintorni" del 1931, a cui peraltro il romanzo di Scurati appare in alcune parti ispirarsi.
Se poi con questa tesi si vuol arrivare a sostenere che siamo tutti "discendenti dai carnefici", in un senso che si presta ad un'ambigua operazione revisionista alla Renzo De Felice, secondo cui il consenso di massa che il fascismo riuscì a procurarsi e mantenere così a lungo gli vale una riabilitazione e un posto di diritto nella storia patria con pari dignità alla Resistenza e all'antifascismo, allora è un altro paio di maniche, e qui c'è da chiedersi dove voglia andare a parare l'autore di "M". Forse che tutto il popolo italiano fu vittima ma anche complice e corresponsabile del fascismo, come oggi lo sarebbe del "populismo", leggi neofascismo, nazionalismo, razzismo e xenofobia, incarnati da Salvini e dal governo Lega-M5S? In ogni caso egli compie una grave sottovalutazione della loro pericolosità, quando afferma che "a sinistra si commette spesso l'errore di paragonare i leader dei movimenti populisti odierni a Mussolini. Ma questo è un paragone improprio, storicamente infondato, fuorviante e consolatorio e controproducente".
E perché mai? Perché, spiega Scurati, "il partito fascista faceva sistematico uso della violenza paramilitare come strumento micidiale di lotta politica quotidiana. Basterebbe questo a rimarcare l'estraneità delle forme politiche del fascismo rispetto a quelle odierne. Il punto di contatto è nel substrato. Nel sentimento malinconico, regressivo, vittimistico-aggressivo del proprio posto nella storia e nella società del piccolo borghese imbestialito (avrebbe detto Trotzki) che oggi si rivolge a leader populisti e a mezzi di lotta politica per un verso profondamente estranei al fascismo e, per un altro verso, suoi eredi".

I vecchi e i nuovi fascisti del XXI secolo
Ci risiamo con la solita solfa dei liberali, per i quali non si può parlare di fascismo se non ci sono le camicie nere, i manganelli, l'olio di ricino, ecc., cioè se mancano i tratti esteriori e conclamati tipici del fascismo storico. La stessa visione miope della realtà che accomuna Scurati a Claudio Vercelli, secondo il quale oggi "non ritorna nessun fascismo: semmai ci si rifugia in un passato mitico, fatto di illusorie armonie, in cui la memoria del fascismo storico viene recuperata, come se di esso fosse stato, in qualche modo, il generoso garante". E che accomuna questi due allo storico Emilio Gentile, che è stato allievo di De Felice, e che secondo la recensione che "il manifesto" trotzkista fa del suo libro "Chi è fascista", analizza "il presunto 'ritorno' del fascismo" rispondendo che "non ha alcun senso anche solo immaginare una tale eventualità, anche se in forme nuove".
Quello che costoro non vedono, o si rifiutano di vedere, è che non solo c'è ancora il vecchio fascismo che rivive nello squadrismo di CasaPound, Forza Nuova e gli altri gruppi neofascisti e neonazisti, e che siede anche in parlamento con Fratelli d'Italia, ma che c'è anche un nuovo fascismo, che non veste in camicia nera eppure già da molti anni, da Craxi, a Berlusconi e a Renzi, pezzo per pezzo ha già cambiato di fatto la Costituzione e la democrazia borghese e instaurato la seconda repubblica neofascista, piduista, presidenzialista, razzista, federalista e interventista. Un nuovo fascismo del XXI secolo che oggi è già al governo: il governo nero di stampo trumpiano Lega-M5S, che con la sua politica razzista e xenofoba sui migranti e la sicurezza e la sua politica estera interventista nel Sud del Mediterraneo, si riallaccia direttamente alle leggi razziali e alla politica colonialista e imperialista di Mussolini.
E' vero che oggi non assistiamo a violenze squadristiche paragonabili a quelle della fase di ascesa del fascismo, ma solo perché i fascisti del XXI secolo non ne hanno bisogno, essendo già al governo e potendo contare sulle forze repressive dello Stato in caso di necessità. Sotto questo aspetto il paragone andrebbe fatto semmai con la fase in cui il fascismo era già andato al potere e non aveva più bisogno di scatenare tutta la violenza delle camicie nere per mantenerlo, pur continuando a tenerle in piedi per intimidire e stroncare qualsiasi velleità di opposizione al regime. In fondo non è anche quello che fa il ducetto Salvini lisciando il pelo ai gruppi neofascisti, che oggi lo vedono come il loro vero capo politico, e lasciando loro il lavoro sporco di attuare nella pratica i suoi slogan fascisti e razzisti con le loro provocazioni violente contro migranti, Rom e antifascisti?

L'antifascismo rivive una nuova stagione
Alla fin fine l'operazione che fanno i trotzkisti de "il manifesto", servendosi delle tesi riduttive dei suddetti intellettuali liberali, è quella di disarmare l'antifascismo, proprio nel momento in cui ce n'è bisogno più che mai per sbarrare il passo al vecchio e al nuovo fascismo. Lo stesso atteggiamento, almeno a livello culturale, dei vecchi liberali e socialisti riformisti che sottovalutarono gravemente la pericolosità di Mussolini e del fascismo riconoscendola solo quando ormai era troppo tardi. Prova ne sia che oggi come allora l'atteggiamento che hanno nei confronti del governo fascista e razzista Salvini-Di Maio non è quella di chiamare tutti gli antifascisti ad unirsi per combatterlo e buttarlo giù con la lotta, cosa doverosa e urgente prima che finisca per ingannare gli italiani come riuscì a Mussolini, ma si limitano a indicare nella "difesa della democrazia" liberale borghese la sola risposta auspicabile e praticabile per chi si vuole opporre alla deriva di destra nel Paese.
Questo è infatti il senso delle conclusioni di Scurati, quando dice che "a cento anni dalla fondazione del fascismo, l'antifascismo non può e non deve inalberare bandiere di partito o vessilli fintamente rivoluzionari", e che "essere antifascisti oggi significa ritrovare, rinnovare e custodire le ragioni della democrazia". Le stesse conclusioni dello storico Davide Conti, per il quale l'antifascismo oggi "sta nel trasformare con caratteri sociali la nostra democrazia in crisi, l'unico anticorpo materiale contro paure inesistenti e pericoli reali"; e anche dello storico Gentile, secondo cui l'immaginare il ritorno del fascismo rischia solo di distogliere l'attenzione "da altre minacce, queste veramente reali, che incombono sulla democrazia".
Per questi intellettuali liberali e per i falsi comunisti de "il manifesto", cioè, l'antifascismo dovrebbe restare imprigionato dentro la gabbia del liberalismo borghese e di una Costituzione ormai ridotta a brandelli - basti pensare al secessionismo leghista che sta per essere realizzato da questo governo, per non parlare delle leggi omofobe, antifemminili e oscurantiste in gestazione - mentre la divisione tra antifascisti e fascisti sta tornando invece fortemente alla ribalta e la battaglia antifascista sta montando nelle piazze, legandosi sempre più strettamente alla lotta contro il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio. Come hanno dimostrato la storica mobilitazione antifascista del 23 marzo a Prato contro Forza Nuova, le partecipate e combattive manifestazioni del 25 Aprile e le sempre più dure contestazioni in piazza del ducetto Salvini smanioso di entrare in Palazzo Chigi.

22 maggio 2019