Vertice a Soci tra Putin e Pompeo
Usa e Russia si confrontano ma non trovano accordi

 
Un sintentico resoconto dell'agenzia governativa russa Sputnik dell'incontro a Soci tra il presidente russo Vladimir Putin e il segretario di stato americano Mike Pompeo dello scorso 14 maggio riportava la soddisfazione dell'inviato di Trump sul successo dei colloqui che avevano riguardato questioni di carattere internazionale, tra cui il conflitto in Siria, il problema dell’Iran e del Venezuela, e la possibilità di un bilaterale tra i due presidenti in occasione del summit G20 di fine giugno in Giappone. In altre parole il segretario di stato Pompeo si limitava a dare lustro all'incontro a prescindere dai risultati, sia del suo breve colloquio con Putin che del più sostanzioso incontro col ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.
Dal canto suo Putin, che nei tre giorni della sua presenza a Soci metteva in fila gli incontri col ministro degli esteri cinese Wang Yi, con Pompeo e col presidente federale austriaco Alexander Van der Bellen sulle relazioni interrotte tra Mosca e Vienna (prima ancora dell'affare che ha portato alle dimissioni del vice cancelliere Strache), nella conferenza stampa del 15 maggio affermava che “la Russia non è un pompiere, non possiamo andare in giro per il mondo a spegnere i focolai di crisi”, a partire da quello della crisi iraniana “scatenata dal ritiro degli Stati Uniti” dall'accordo sul nucleare. L'affermazione di Putin può essere letta come una richiesta di maggior attivismo dei paesi europei che nella questione iraniana non hanno seguito la politica di Trump del ritiro dagli accordi, delle sanzioni a Teheran e della minaccia di intervento militare ma anche una ammissione dell'impossibilità dell'imperialismo russo di seguire e contrastare efficacemente tutte le mosse scatenate da Washington per far tornare l'imperialismo americano leader indiscusso del mondo.
In ogni caso Usa e Russia devono aggiustare il livello dei loro rapporti sia perché si trovano schierate su fronti opposti in crisi come quella dell'Ucraina, dell'Iran e del Venezuela o come alleati/concorrenti in Siria e Libia, sia perché Trump ha buttato all'aria vecchie seppur inefficaci intese come quelle sul controllo degli armamenti nucleari e riaperto il capitolo del riarmo nucleare e convenzionale.
Pompeo doveva arrivare in Russia il 13 maggio ma aveva dovuto fermarsi a Bruxelles perché l'imperialismo americano aveva la necessità di sistemare alcune questioni coi partner europei, non allineati sulla guerra all'Iran. Mentre Pompeo volava verso la Russia infatti si erano mosse anche portaerei, missili e cacciabombardieri strategici Usa verso il Golfo Persico. Dove con una strana tempistica si erano appena verificati atti di sabotaggio contro mezzi degli Emirati e dell'Arabia saudita che il consigliere per la sicureza nazionale americano John Bolton aveva annunciato alcuni giorni prima dichiarando quali colpevoli le milizie al servizio di Teheran. Il governo di Teheran denunciava gli attacchi e smentiva qualsiasi coinvolgimento ma Trump rincarava la dose e paventava anche l'invio 120mila marines nell'area del Golfo Persico per minacciare l’Iran.
Prima di mettere piede sull'aereo che lo portava in Europa, Pompeo aveva dichiarato che gli Stati Uniti “vorrebbero risolvere diplomaticamente e pacificamente” i conflitti in cui sarebbe coinvolto l'Iran ma che il presidente Trump “voleva assicurarsi che, in caso accadesse qualcosa, gli Stati Uniti sarebbero stati pronti a dare una risposta adeguata”. Come nel caso della crisi accesa in Venezuela l'imperialismo americano si presenta come il paladino dei popoli oppressi dai loro governi e Pompeo dichiarava che “il nostro obiettivo non è la guerra, ma un cambio di comportamento della leadership iraniana. Speriamo che il popolo iraniano possa finalmente ottenere quello che vuole e che pienamente merita”. La verità era spiegata dal comando centrale dell'aviazione militare statunitense che il 9 maggio aveva annunciato l'arrivo di un bombardiere strategico B-52 nella base aerea americana di Udeid in Qatar “per difendere le forze e gli interessi americani nella regione”, mentre la portaerei Abraham Lincoln attraversava il Canale di Suez in Egitto per dirigersi nel Golfo Persico.
Dopo aver movimentato armi e minacciato interventi a destra e a manca, Pompeo incontrava Lavrov. Discussioni a tutto campo, intese men che zero. Sul Venezuela ad esempio il ministro delgi Esteri russo in conferenza stampa dichiarava che la Russia è favorevole al dialogo inter-venezuelano tra “tutte le forze politiche patriottiche responsabili di questo paese”, assicurando che “il governo di Nicolas Maduro è pronto per un tale dialogo”. “Gli Usa e altri paesi ritengono che sia arrivato il tempo che Maduro se ne vada”, e che la Russia smetta di appoggiarlo era la posizione ribadita da Pompeo. Putin e Trump si rivedranno al G20 di Osaka.

22 maggio 2019