I governi Renzi, Gentiloni e Conte sono complici
Fallito Mercatone uno: 1860 lavoratori sul lastrico
A rischio anche i 10 mila dipendenti delle 500 imprese fornitrici

Sabato 25 maggio i 1.860 lavoratori della Mercatone Uno sono stati licenziati in tronco in seguito alla decisione del Tribunale di Milano che ha dichiarato fallito lo storico marchio nato a Imola a cavallo negli anni Settanta con 55 punti vendita in tutta Italia.
I lavoratori del tutto ignari di quanto si stava consumando alle loro spalle e sulla loro pelle, hanno appreso la notizia dalla pagina Facebook della società dove è stata pubblicata la sentenza fallimentare senza dare alcun preavviso o spiegazione sulla scandalosa gestione che ha caratterizzato l'azienda nel corso degli ultimi sette anni.
Contratti di solidarietà, cassa integrazione, amministrazione straordinaria e un primo fallimento nel 2014, dal quale, a distanza di 5 anni, i lavoratori aspettano ancora gli arretrati, non sono serviti a evitare la crisi di Mercatone Uno materializzatesi nell’aprile 2015, in pieno governo Renzi e con Federica Guidi al vertice del Mise.
L'istruttoria di vendita venne siglata da Gentiloni e Calenda a inizio 2018 a favore della Shernon Holding, proprietà della Star Alliance Limited con sede a Malta, che acquisì tutti i 55 punti vendita con l’obbligo di assumere oltre duemila lavoratori.
Addirittura, appena sei mesi fa, nel novembre 2018, Valdero Rigoni, amministratore delegato di Shernon Holding, aveva annunciato investimenti per 25 milioni di euro e un piano di rilancio industriale che avrebbe dovuto raddoppiare il fatturato entro il 2022 fino a raggiungere mezzo miliardo di euro.
Ma già alla fine dell’anno la merce nei magazzini, e di conseguenza nei negozi, cominciava a scarseggiare per la mancanza di finanziamenti e di liquidità. Il gruppo perdeva più di 5 milioni al mese, accumulando 90 milioni di debiti in 9 mesi. Tant'è che nei primi mesi del 2019 buona parte dei soci che avevano costituito la società per l’acquisizione sono usciti dall’assetto proprietario.
Un forte campanello d'allarme che stranamente non ha destato la preoccupazione dei commissari incaricati di seguire il passaggio e, nonostante la crescente preoccupazione dei lavoratori, tanto meno l'intervento del governo e dei ducetti Di Maio e Salvini che di fatto hanno abbandonato i lavoratori al loro tragico destino.
La mazzata definitiva è arrivata il 23 maggio con la serrata improvvisa che ha letteralmente gettato sul lastrico non solo i 1.860 lavoratori del Mercatone Uno ma anche gli oltre 10 mila dipendenti delle 500 imprese fornitrici che vantano crediti non riscossi per 400 milioni di euro.
Per il tribunale di Milano la Shernon Holding, soprannominata l’“Ikea italiana dei mobili” ha un indebitamento complessivo di 90 milioni maturato in nove mesi con perdite gestionali fisse di cinque-sei milioni al mese. A questo si è aggiunta “la totale assenza di credito bancario e di fiducia da parte dei fornitori”. Per l’avvocato Marco Angelo Russo, curatore del fallimento, sarebbe questo il motivo della cessazione dell’attività.
Il curatore fallimentare nominato dal Tribunale di Milano, Marco Angelo Russo, ha spiegato che la decisione di dichiarare il fallimento è stata presa perché la società “non ha presentato al tribunale un piano industriale di fattibilità, ma solo una bozza di schema di ristrutturazione in cui la perdita mensile di 5,5-6 milioni di euro si sarebbe ridotta a circa 1,6 milioni al mese solo grazie alla rinuncia a molti punti vendita e al taglio dei dipendenti dagli attuali 1.800 a 874”, nonostante ci fosse l’obbligo di mantenere i livelli occupazionali per due anni. Il tutto con uno sbilancio patrimoniale di 31,7 milioni, destinato ad aggravarsi.
A metà aprile l’azienda ha presentato istanza di concordato preventivo presso il Tribunale di Milano. Ma Conte, Salvini e soprattutto Di Maio, in qualità di ministro dello sviluppo economico, non hanno alzato un dito per salvare i lavoratori e ora addirittura fanno finta di non essere stati informati di quanto stava succedendo al Mercatone Uno.
“È inaccettabile che gli organi di vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), che appena la scorsa estate avevano permesso l’acquisto non abbiano verificato la sostenibilità degli acquirenti” ha denunciato giustamente Barbara Neglia (Filcams Cgil Puglia).
Un invito a nozze per il ducetto Salvini, ormai autoproclamatosi capo del governo, il quale, a poche ore dall'apertura dei seggi elettorali ha colto la palla al balzo e scavalcando Conte e Di Maio ha promesso: “Mi impegnerò personalmente incontrando sindacati, lavoratori, fornitori e proprietà, non si possono lasciare dipendenti a casa senza rispettare gli impegni presi”.
Rassicurazioni che come al solito si sono rivelate aria fritta non appena si sono chiuse le urne. Infatti presso il Mise si sono già svolti tre tavoli tecnici, presidiati dai lavoratori in lotta, conclusi tutti con un nulla di fatto. Al momento non è possibile attuare nemmeno la cassa integrazione straordinaria per i lavoratori se prima il tribunale di Bologna non darà l’autorizzazione per la proroga della procedura di amministrazione straordinaria. E prima ancora va depositata presso il Tribunale di Bologna l’istanza di retrocessione (va riaperta ex novo la procedura perché quella vecchia è scaduta) da parte dei tre commissari straordinari Stefano Coen, Ermanno Sgaravato e Vincenzo Tassinari, che l’hanno già gestita dal 2015 al 2017.
Una vicenda che il segretario della Cgil, Maurizio Landini, vede come “uno schiaffo anche al governo e al Mise che per due mesi si sono presi impegni a presentare piani industriali che non hanno mai presentato”.

5 giugno 2019