Per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione
Montante condannato a 14 anni di carcere
Ex presidente di Confindustria ed ex paladino dell'antimafia siciliane
“Ora si indaghi sui servizi”

Diceva di essere il paladino dell’antimafia, l’uomo del rinnovamento di Confindustria in Sicilia, ma era solo il regista di un criminale “patto di scambio” tra imprenditori, politici, rappresentanti delle istituzioni, affaristi e esponenti delle “forze dell'ordine” e dei servizi segreti. Una centrale di spionaggio clandestina e un ufficio informazioni riservato per ricattare i nemici e suggellare inconfessabili patti politico-mafiosi.
Per questo motivo il 10 maggio Antonello Calogero Montante, ex presidente della Confindustria siciliana, con delega alle Legalità, sostenuto da ministri dell’Interno come la Cancellieri e Angelino Alfano, legatissimo alla presidente dell’Eni Emma Marcegaglia, protetto dai vertici degli industriali come Squinzi e Boccia, è stato condannato con rito abbreviato, al netto dello sconto di un terzo della pena complessiva, a 14 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e per rivelazione di notizie riservate.
La Giudice per l'udienza preliminare (Gup) di Caltanissetta Graziella Luparello è andata oltre le richieste del procuratore Amedeo Bertone, dell’aggiunto Gabriele Paci, dei sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, che avevano sollecitato 10 anni e mezzo.
Condanne pesanti anche i suoi fedelissimi, gli uomini del cosiddetto “cerchio magico”, a cominciare da Diego Di Simone (sei anni e 4 mesi) l’ex ispettore della Mobile di Palermo diventato il capo della security parallela di Confindustria, fedelissimo di Montante, lo spione che si occupava degli affari sporchi del presidente, accedeva abusivamente nella banca dati delle forze dell’ordine (per costruire dossier) e teneva i contatti con i massimi vertici dei servizi segreti per spiare i magistrati e la dirigente della squadra mobile nissena, Marzia Giustolisi.
4 anni di carcere se li è beccati anche Marco De Angelis, funzionario della questura di Palermo, che insieme a Di Simone ha avuto un ruolo determinante nell’attività di spionaggio.
Condanna a 1 anno e 4 mesi anche per Andrea Grassi, ex funzionario del Servizio centrale operativo della polizia, oggi questore di Vibo Valentia: ritenuto responsabile di una fuga di notizie.
Tre anni per Gianfranco Ardizzone, l’ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Caltanissetta.
Ma l'inchiesta non è chiusa. Montante resta comunque indagato in un altro filone d’indagine, per concorso esterno in associazione mafiosa, originata dalle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che hanno raccontato delle “amicizie” in Cosa nostra dell’ex paladino dell’antimafia. Tra queste ci sono i rapporti con Paolino Arnone e il figlio Vincenzo, imprenditori di Serradifalco del settore dei trasporti e testimoni di nozze di Montante. Arnone padre morì nel novembre del 1992, gettandosi dalla finestra dell’infermeria del carcere di Malaspina di Caltanissetta, dopo essere stato arresto a seguito dell’operazione “Leopardo”. Era accusato di mafia dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Leonardo Messina. Il figlio Vincenzo era stato ritratto insieme a Montante nel giorno della sua elezione come presidente dei giovani industriali di Caltanissetta.
Mentre nel processo in corso di svolgimento con “ rito ordinario” sono imputati tutti gli altri “uomini del presidente” a cominciare da Renato Schifani, ex presidente berlusconiano del Senato; Arturo Esposito, ex capo dell’Aisi; Giuseppe D’Agata, l’ex capo centro della Dia di Palermo passato ai Sevizi e il boss della grande distribuzione al Sud, Massimo Romano.
“Tutti bussavano alla porta di Montante”, hanno detto i Pm nella requisitoria. Lo cercavano ministri, prefetti, capi dei servizi segreti. E lui continuava ad annunciare svolte antimafia: “Chi non denuncia il pizzo, verrà espulso da Confindustria”. Ma denunce ne sono arrivate poche, e nessuno è stato cacciato.
La verità secondo i PM è che Montante non ha mai interrotto le sue frequentazioni con ambienti di mafia. Rapporti che risalgono agli anni Ottanta, quando suoi testimoni di nozze furono il capomafia del suo paese e il figlio, poi condannato pure lui, don Paolino e Vincenzo Arnone. Proprio per quelle frequentazioni era nata l’inchiesta, nel giugno 2014, per l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa (ancora oggi in piedi).
Ora la procura si appresta a chiudere la seconda tranche dell’inchiesta, che vede indagato anche l’ex governatore Rosario Crocetta (PD) accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al finanziamento illecito.
Montante si vantava: “A Crocetta, non gli abbiamo mai fatto sbagliare una mossa” in riferimento alla nomina di due ex assessori regionali alle Attività produttive: Linda Vancheri e Mariella Lo Bello (vicine all'ex presidente degli industriali siciliani) con lo scopo di assicurare appalti alle imprese degli amici degli amici a cominciare da Carmelo Turco, Rosario Amarù e Totò Navarra (tutti indagati per associazione a delinquere, corruzione, abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti) che a loro volta ricambiavano il favore finanziando con duecentomila euro la campagna elettorale 2012 del Megafono, cioè il movimento politico fondato da Crocetta.
Tra gli indagati figura anche l'attuale presidente di Sicindustria Giuseppe Catanzaro, imprenditore molto conosciuto nel settore dello smaltimento rifiuti anche lui beneficiario di vari appalti.
Le indagini cercano di fare luce anche sul fiume di soldi pubblici, quelli della Regione Siciliana destinati ad Expo, che sarebbero finiti a un gruppo di imprenditori vicini a Montante.
Intanto la Gup Luparello ha trasmesso alla procura “per le valutazioni di competenza” i verbali di due testimoni: Mario Parente e Valerio Blengini, il direttore e uno dei vice dell’Aisi, il servizio segreto civile con la richiesta di nuovi approfondimenti.
Nel mirino della magistratura c'è fra gli altri l'agente dei servizi Andrea Cavacece, chiamato in causa dalla procura di Caltanissetta per una spy story. Avrebbe saputo dell’indagine di Caltanissetta su uno dei fedelissimi di Montante, il colonnello Giuseppe D’Agata ( pure lui un funzionario dei Servizi), e avrebbe girato la notizia all’allora direttore dell’Aisi, il generale Arturo Esposito. L’informazione sarebbe poi passata all’ex presidente del Senato Renato Schifani, al tributarista palermitano Angelo Cuva e infine a D’Agata.
Adesso, la giudice ribadisce che ci sono ancora tanti punti oscuri da chiarire in questa vicenda specie in riferimento al ruolo giocato dai servizi segreti.

5 giugno 2019