Ai ballottaggi per le elezioni dei sindaci del 9 giugno 2019
Affluenza ancora in calo: -16,1%
Il 47,9% dell’elettorato diserta le urne
Sindaci con scarsa base elettorale. L’elettorato punisce massicciamente i governi uscenti. Il “centro-sinistra” perde 38 comuni dei 153 che amministrava e perde la roccaforte Ferrara. La destra ne conquista 35 in più. Il M5S perde tutti i quattro comuni in cui governava compresa Livorno e conquista Campobasso
Uniamoci per sbarrare la strada al fascismo del XXI secolo

Il 9 giugno 2019 circa 3 milioni di elettori sono stati di nuovo chiamati alle urne per la scelta dei sindaci al ballottaggio in 136 comuni, fra i quali 15 comuni capoluogo, ossia Biella, Verbania, Vercelli, Cremona, Rovigo, Ferrara, Forlì, Reggio Emilia, Livorno, Prato, Ascoli Piceno, Campobasso, Avellino, Foggia e Potenza.
Anche in questa nuova tornata l’astensionismo è il vero e assoluto vincitore. In complesso, esclusi i due comuni della provincia autonoma di Trento che non vengono trattati dal Viminale, la diserzione dalle urne è stata del 47,9%. In sostanza, un elettore su due ha deciso che non voleva esprimere una propria preferenza per i due candidati rimasti a contendersi il potere cittadino. L’incremento fra il primo turno (tenutosi il 26 maggio scorso) e il secondo è stato addirittura del 16,1%. Superiore a quanto era stato nelle elezioni precedenti che in genere si erano tenute nel 2014.
Evidentemente la gran parte dell’elettorato, specie di sinistra, non si è fatto irretire e ricattare dal “pericolo della destra”, dalla necessità del “voto utile”, ecc. e ha confermato la propria scelta astensionista che si è ulteriormente allargata. È stato piuttosto l’elettorato di destra che è andato in soccorso.

Astensionismo record
Dalla tabella che pubblichiamo a parte possiamo ben vedere che in 47 comuni su 136 non si è recato alle urne nemmeno il 50% delle elettrici e degli elettori aventi diritto. In alcuni la diserzione supera il 60%. Come a Banzi (Potenza) e a Casoria (Napoli) dove registra il 69,5% e a Castel Volturno (Caserta) dove si assesta al 65,7%. Gli elettori di Casoria detengono anche il record della crescita della diserzione fra il 1° e il 2° turno: +29,3%.
Grosse differenze fra Nord, Centro e Sud ormai non ce ne sono. La diserzione è solo appena più massiccia nei grossi centri, per esempio nei comuni capoluogo, rispetto ai comuni più piccoli dove evidentemente il controllo esercitato dalle istituzioni borghesi e dai partiti parlamentari, ma anche dalle cosiddette “Liste civiche” e dai singoli candidati sull'elettorato è maggiore e più capillare.
L'aumento dell'astensionismo fra il primo e il secondo turno non è un dato semplicemente fisiologico perché in passato lo scarto non era così consistente e comunque varia anche in modo significativo da città a città proprio perché l'elettorato non è più statico e sempre più sceglie consapevolmente di astenersi per punire questo o quel candidato, questo o quel partito parlamentare, questa o quella coalizione. Ecco perché gli incrementi fra il primo e il secondo turno variano addirittura dal -4% di Ribordone (Torino) al +29,3% di Casoria.
C’è anche il caso di Briga Alta un piccolo centro di 124 elettori che è stato chiamato al ballottaggio solo perché al 1° turno i due candidati erano finiti in perfetta parità e nel quale la diserzione è stata del 79% con un incremento dell’1,6% rispetto al 1° turno.
Fra i comuni capoluogo il record della diserzione va a Foggia col 53,5%, a Vercelli col 52,4% e Biella col 52,1%. Sopra la media nazionale anche a Reggio Emilia (50,9%), Ascoli Piceno (50,8%), Livorno (50%). Il maggiore incremento fra il primo e il secondo turno si registra invece ad Avellino (+21,2%) e Ascoli Piceno (+21,1%).
 

Sindaci senza base elettorale
Il dato dell'astensionismo, specie quando è di tali enormi proporzioni, se ignorato, come fanno in genere partiti e media borghesi, rendono falsa e distorta ogni analisi del voto elettorale.
Perché al di là di chi ha vinto o perso la competizione elettorale e di chi avrà il potere nel governo locale, resta il fatto che oltre metà dell'elettorato ha preso apertamente e marcatamente le distanze dalle istituzioni rappresentative borghesi e dai partiti sia della destra che della “sinistra” borghese, e ha oggettivamente delegittimato e sfiduciato i sindaci e i futuri governi locali.
Se si rapportano i voti ottenuti dai sindaci eletti con l'intero corpo elettorale e non già con i soli voti validi, ci si renderà perfettamente conto che essi partono con una debolissima base elettorale e di massa potendo contare solo sulla fiducia e il consenso di una risicata minoranza che in genere si aggira intorno a un quarto dell'elettorato. E ciò vale anche per i sindaci che sono stati eletti già al primo turno superando il 50% dei voti validi.
Il fenomeno peraltro non presenta significative differenze territoriali, fra Nord, Centro e Sud. Né pare incidere in modo pesante l'area a cui appartengono i candidati sindaci.
Facendo riferimento alla tabella che pubblichiamo a parte sui sindaci eletti nei comuni capoluogo sia al 1° che al 2° turno emerge infatti che nessuno ha ottenuto nemmeno il 50% dell’elettorato. Record negativo al sindaco leghista di Biella, Claudio Corradino che ottiene appena il 23,9% degli elettori chiamati alle urne. Sotto il 30% anche i sindaci eletti a Verbania, Vercelli, Rovigo, Forlì, Ascoli Piceno, Avellino, Foggia e Potenza. Superano di pochissimo il 40% solo i sindaci di Bari (41,3%) e Perugia (40,4%).
 

Il “centro-sinistra” perde ancora terreno rispetto alla destra
Per quanto riguarda il potere del governo cittadino il “centro-sinistra” è quello che ha pagato il prezzo più alto. Tra i 124 comuni superiori ai 15 mila abitanti chiamati al ballottaggio il “centro-sinistra” ne controllava 80, pari al 64,5%, e oggi ne controlla 62 perdendone 18.
Il “centro-sinistra” va male soprattutto al Nord, tiene un po’ al Centro e guadagna qualcosa al Sud soprattutto per la débâcle del Movimento 5 stelle che in quest’area aveva nelle passate elezioni ottenuti i maggiori successi.
Grave e particolarmente simbolica la perdita della roccaforte Ferrara che per la prima volta dal dopoguerra passa alla destra. In questa città la coalizione di “centro-sinistra” perde rispetto alle precedenti elezioni oltre un terzo dei suoi elettori. Nel 2014 il sindaco del PD era stato eletto con 41.205 voti già al primo turno. Quest’anno ne ha ottenuti appena 24.009 il 26 maggio e 28.561 al ballottaggio. Il fatto che la destra fosse in netto vantaggio al primo turno non è bastato a convincere gli elettori che avevano voluto punire il “centro-sinistra” al primo turno, a corrergli in soccorso al secondo.
Stessa cosa è successo a Biella dove il “centro-sinistra” ha perso 2 mila voti rispetto al 2014, quando aveva ottenuto 10.462 consensi, permettendo alla destra di vincere oggi con 8.982 voti. A Forlì la destra ottiene la maggioranza con 27.207 voti battendo il “centro-sinistra” che ottiene 24.056 voti perdendone quasi 10.000 rispetto al 2014 quando di voti ne aveva ottenuti 33.755.
Anche là dove il “centro-sinistra” si conferma come a Prato, perde però 10.968 voti rispetto al 2014.
Un discorso a sé merita Livorno che nel 2014 era stato uno dei primi capoluogo di provincia ad essere conquistati dal M5S. Nella città labronica il “centro-sinistra” ha vinto il ballottaggio favorito dal fallimento governativo del M5S e del sindaco uscente Filippo Nogarin (M5S), che non si è nemmeno ripresentato, che è stato persino escluso dal ballottaggio.
A Livorno il “centro-sinistra” ha avuto il sostegno non solo delle liste già collegate ma anche della coalizione comprendente Potere al popolo e Buongiorno Livorno che al primo turno aveva ottenuto l’8,7% dell’elettorato, nonché di una parte di elettori in transito nel M5S che già al primo turno erano tornati a votare PD. Ma ha ben poco da cantar vittoria visto che a Piombino, polo siderurgico italiano con una popolazione di 34 mila abitanti, il PD perde il comune consegnandolo al fascista di FdI Francesco Ferroni, dopo averlo amministrato per 70 anni con una politica che non ha fatto niente per combattere la crisi econmica e industriale e difendere l'occupazione e per contro ha trasformato la città in una sterminata discarica a cielo aperto.
La destra come già evidenziato al primo turno, riesce a guadagnare nuovi comuni. Ne aveva 29 prima di domenica e ora ne controlla 47 sui 124 comuni con popolazione superiore ai 15 mila abitanti. Strappa Ferrara al “centro-sinistra” e gli restituisce solo Rovigo. In mano della destra anche altre storiche roccaforti da sempre in mano al PD come Novi Ligure o Foligno. In Umbria, la regione dello scandalo sanità che ha coinvolto la governatrice Marini, la destra batte 4 a 1 il “centro-sinistra” ai ballottaggi, lasciandogli solo il governo di Gubbio.
 

Il M5S
Un altro partito perdente è senza dubbio il Movimento 5 stelle. Già al primo turno aveva perso il governo di una città diventata simbolica a livello nazionale, Livorno, non accedendo nemmeno al ballottaggio. Era riuscito ad accedere al ballottaggio solo in 4 comuni e di questi ottiene il governo solo di Campobasso strappandolo al “centro-sinistra” che dal 2014 ad oggi ha dimezzato i propri consensi passando da 15.374 voti ai 7.457 attuali. Questo caso, dove il M5S riesce addirittura a ribaltare il risultato del 1° turno dove era 10 punti dietro alla coalizione di destra, conferma che questo partito quando riesce ad accedere al ballottaggio risulta avvantaggiato potendo pescare trasversalmente nel bacino elettorale della destra e del “centro-sinistra”.
Il bilancio finale dopo i due turni elettorali non si discosta dal quadro del ballottaggio. Nei 226 comuni interessati da questa tornata elettorale, la destra passa da 46 comuni che governava agli attuali 81 (+35). Il “centro-sinistra” passa da 153 comuni agli attuali 115 (-38).
Il M5S ne governava 4 e ora solo Campobasso (-3)
Le Liste civiche governavano 20 comuni e oggi sono 25 (+5).
Dei 25 comuni capoluogo la destra passa da 5 a 11 (+6). Il “centro-sinistra” da 17 a 12. Il Movimento 5 stelle da 2 a 1. Un comune resta governato da Liste civiche.
All’interno di questo bilancio che mette a confronto solo il risultato matematico delle varie coalizioni e partiti, c’è però un dato che sfugge ed è invece interessante e indicativo. Al di là di quanto uno possa aver perso o conquistato, il risultato elettorale ci dice che l’elettorato penalizza in maniera massiccia i governi uscenti.
Infatti il “centro-sinistra” ha perso ben 55 comuni dei 154 che amministrava prima del 26 maggio scorso, pari al 35,7%. Ugualmente la destra ha perso ben 16 dei comuni che governava, pari al 33,3%. Il M5S ha perso tutti i 4 comuni che controllava (in particolare Livorno) anche se poi si afferma per la prima volta a Campobasso.
In sostanza, i partiti del regime capitalista e neofascista, sia della destra che della “sinistra”, non riescono più a ottenere cambiali in bianco e definitive dall’elettorato che è pronto a punirli in modo sempre più tempestivo attraverso la negazione del proprio voto e soprattutto con un astensionismo sempre più massiccio, convinto e stabile.
 

Sconfiggere il fascismo del XXI secolo
Del resto la pratica dimostra sempre più che chiunque abbia prevalso alle elezioni in questi decenni la musica è rimasta sempre la stessa. E non poteva essere altrimenti dal momento che a suonarla è comunque il capitalismo e che fermo restando il suo sistema economico, sociale, istituzionale, statale e militare, la sua politica interna ed estera, non è possibile produrre alcun cambiamento sostanziale nelle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, delle masse popolari, giovanili e femminili italiane e non è nemmeno possibile sconfiggere definitivamente il fascismo.
Nelle attuali condizioni del nostro Paese la lotta contro il fascismo è inseparabile dalla lotta per abbattere la dittatura della borghesia, dare il potere politico al proletariato e conquistare il socialismo. Questo, cioè il cambiamento della marcia società borghese e la conquista di una nuova società fondata sul potere al proletariato, e non l'applicazione di una Costituzione che non c'è più, è l'obiettivo che tutti gli antifascisti conseguenti, devono darsi oggi se vogliono contrastare efficacemente e sconfiggere per sempre il fascismo.
È una questione storica e politica di fondamentale importanza che il PMLI sottopone all'attenzione e alla discussione di tutte le forze politiche antifasciste, delle classi sociali sfruttate e oppresse, a cominciare dal proletariato a cui spetta le direzione della lotta al fascismo del XXI secolo, alle ragazze e ai ragazzi che stanno dando nelle piazze filo da torcere a Salvini e ai gruppi apertamente fascisti.
Intanto queste forze, tutti i partiti con la bandiera rossa e la falce e martello, tutte le antifasciste e gli antifascisti, comunque votanti e dovunque collocati, dovrebbero prendere coscienza che Salvini è il ducetto dei fascisti del XXI secolo e che aspira a diventare il nuovo duce d'Italia, che il suo partito, la Lega, è il nuovo partito fascista, che il suo progetto è quello di guidare il governo del regime capitalista e neofascista. Quindi occorre dargli battaglia anche nelle piazze. Non dando retta a chi ancora dopo il risultato elettorale si ostina a negare che in Italia ci sia il fascismo e che la Lega e Salvini siano fascisti.
Come ha detto il Comitato centrale del PMLI fin dalla fondazione di questo governo, che tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose antifasciste si uniscano per combattere e abbattere il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio. Non si può parlare di “onda nera” se poi non si scende in piazza per arrestarla.
 

12 giugno 2019