Il Pd e i renziani referenti politici della cricca delle procure
Indagato Palamara ex Presidente dell’ANM per corruzione
Il caso si intreccia con la lotta per il posto alla procura di Roma
Cascini (Ana): “Clima da scandalo P2”

L'inchiesta giudiziaria della procura della Repubblica di Perugia che ha travolto in questi giorni il Consiglio superiore della magistratura (Csm), conferma che la corruzione, il malaffare e la lotta intestina fra le varie fazioni e lobby borghesi che si contendono il potere politico ed economico sono parte integrante di questo marcio sistema capitalista e delle istituzioni parlamentari e rappresentative borghesi e sono estese a tutti i livelli, dai piccoli comuni, al governo nazionale e fin dentro i gangli vitali del Paese.
L'inchiesta, avviata nei mesi scorsi in seguito a un esposto presentato al Csm dal pubblico ministero (Pm) della Procura di Roma, Stefano Fava, ruota intorno al losco mercimonio tra politica, imprenditori e magistratura e alla guerra per bande in atto all'interno del sistema giudiziario per la spartizione del potere, delle nomine e la scelta dei dirigenti da porre a capo dei principali uffici giudiziari italiani.
Fava nel suo esposto accusa fra l'altro l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Paolo Ielo di aver condizionato le indagini sul cosiddetto “sistema Siracusa” che nel luglio 2018 ha portato in carcere Giuseppe Mineo, il giudice del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, candidato da Salvini alle comunali di Catania l'anno scorso e che nel 2016 Renzi avrebbe voluto al Consiglio di Stato, accusato di essere organico alla rete di rapporti corruttivi messa in piedi dagli avvocati siciliani Pietro Amara e Giuseppe Calafiore Amara, i quali insieme alla cricca delle procure: Denis Verdini, Luca Lotti e al “giglio magico” renziano manovrava nell’ombra per organizzare inchieste farlocche, aggiustare sentenze, nominare i capi delle Procure che gli stavano più a cuore, condizionare le sentenze della giustizia amministrativa, “ammorbidire” Pm e giudici e orientare le inchieste e i processi civili a favore di aziende “amiche”; come emerso nel febbraio scorso con l’arresto del Pm siracusano Giancarlo Longo, beneficiato dalla cricca delle procure, secondo l’accusa, di oltre 80 mila euro e un viaggio a Dubai.
Secondo la procura di Perugia la rete corruttiva fa capo a Luca Palamara,
sostituto procuratore di Roma, nonché ex segretario dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), ex membro del Csm e boss di Unicost, accusato di corruzione e di avere manovrato e gestito i dossier sui suoi colleghi, atti d'accusa e nomine, in cambio di soldi (si parla di 40 mila euro), viaggi e regali per favorire, fra l'altro, anche la nomina, non andata in porto, di Giancarlo Longo a procuratore di Gela.
Palamara secondo i Pm di Perugia avrebbe messo a disposizione “la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore” già condannati per corruzione in atti giudiziari in una tranche dell'inchiesta sulle sentenze comprate al Consiglio di Stato.
Il tramite di Palamara è il suo amico Fabrizio Centofanti, il lobbista in orbita Pd, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone arrestato a febbraio 2018 dalla procura di Roma e accusato di false fatturazioni e corruzione in atti giudiziari che, per i Pm di Perugia, ha pagato Palamara per ottenere favori durante la sua consiliatura a Palazzo dei Marescialli.
Manovre che Palamara ha continuato a ordire anche dopo la fine del suo mandato a piazza Indipendenza grazie ai rapporti con il consigliere Luigi Spina, membro di Unicost di Palazzo dei Marescialli, indagato per rivelazione del segreto d'ufficio e favoreggiamento e ora costretto a dimettersi.
Con Spina, Palamara pianificava chi mandare a capo della procura di Roma e Perugia e ne parlava anche con due parlamentari, renziani di ferro, come: Cosimo Ferri, mentore di Magistratura Indipendente, (Mi) la corrente di destra, e l'ex ministro Luca Lotti, già imputato nell'inchiesta Consip.
La partita più importante si gioca proprio a Roma dove la procura ha già chiesto di processare Lotti. Insieme a Palamara, a brigare per la nomina del nuovo Procuratore generale della Capitale, c'erano non a caso anche altri due consiglieri del Csm, Corrado Cartoni e Antonio Lepre, di Mi.
In almeno due occasioni, come testimoniano le intercettazioni della Finanza di qualche settimana fa, Cartoni, capogruppo di Mi in Consiglio, e Lepre, componente della commissione incarichi direttivi, sostengono la candidatura del Pg (Pg) di Firenze di Marcello Viola anche lui di Mi, contro Francesco Lo Voi, appoggiato solo dalla corrente di sinistra e ritenuto troppo vicino a Giuseppe Pignatone.
Nella rete è coinvolto anche il commercialista Andrea De Giorgio che nei giorni scorsi è stato perquisito perché gli inquirenti ritengono sia l'uomo attraverso cui Palamara voleva raccogliere informazioni compromettenti per vendicarsi sull'aggiunto di Roma Paolo Ielo colpevole di aver mandato gli atti sulla cricca delle procure a Perugia.
Della nomina del nuovo procuratore capo di Perugia, Palamara discuteva anche con un collega in forza alla Direzione nazionale Antimafia.
Il 7 maggio parla del candidato da appoggiare nel capoluogo umbro: “Chi glielo dice che deve fare quella cosa lì? Deve aprire un procedimento penale su Ielo...cioè stiamo a parlà di questo... non lo farà mai”.
Il 9 maggio scorso Spina, Palamara e Lotti parlano ancora del caso Perugia. Agli atti dell'inchiesta ci sono diverse intercettazioni fra cui quella in cui “Spina comunica che nell'esposto di Fava è allegato un cd secretato”. E Palamara, conversando con i due deputati Pd precisa: “Perché quel c...che m'hanno combinato a Perugia ancora nemmeno si sa”. Nella conversazione a quattro emerge che Fava intende presentare una denuncia penale a carico di Pignatone e Ielo. Per questo Palamara intende indirizzare la scelta del procuratore di Perugia. Ne parlerà con Fava: “Ma io non c'ho nessuno a Perugia, zero”.
Il 16 maggio è Spina che dice a Palamara: “Avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo forse sarà lui a doversi difendere a Perugia, per altre cose, perché noi a Fava lo chiamiamo”.
Una inquietante guerra fratricida fra le procure esplosa non a caso all'indomani del varo del decreto legge del 24 giugno 2014, numero 90, quello in cui il governo Renzi abbassò l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni, appoggiata anche da Berlusconi per orientare gli assetti della Corte di Cassazione.
Con quella legge infatti si mettevano rapidamente in pensione centinaia di alti magistrati e si costringeva il Csm a lavorare sulle nuove nomine in maniera rapida e confusa.
A gestirla in prima persona fu proprio l'allora sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri il quale ebbe un ruolo in tutte le evoluzioni di quel decreto, anche nel decidere le successive proroghe, che favorivano alcuni e lasciavano fuori altri. Figlio di Enrico, esponente di spicco del PSDI, costui è stato deputato del PD, ha ricoperto la carica di sottosegretario alla giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni e peraltro è stato segretario generale di Magistratura indipendente.
Uno scandalo politico giudiziario che, per dirla con le parole di Giuseppe Cascini, consigliere Csm eletto da Area, la corrente di sinistra delle toghe è: “assimilabile, sotto più aspetti a quella dello scandalo P2 dei primi anni ’80 del secolo scorso”.
Insommma: ieri il Psi di Craxi e la P2 di Gelli; oggi il PD di Renzi e Zingaretti con la cricca delle procure di Palamara e i ducetti Salvini e Di Maio che si vedono serviti su un piatto d'argento la possibilità di realizzare un altro fondamentale tassello della P2, ossia la separazione delle carriere dei magistrati e la loro sottomissione al potere politico.
“Tutto ciò – denuncia non a caso in un comunicato l'Associazione nazionale giuristi democratici - è tanto più grave in un momento in cui la Magistratura, è sotto attacco da parte della maggioranza governativa che spinge, da un lato, a realizzare quella separazione delle carriere, vista da taluni, incomprensibilmente, come la panacea di ogni male della Giustizia e dall'altro ad introdurre criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti, imposte dall'Esecutivo, mettendo in discussione il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale: tutto ciò finirebbe per portare il PM sotto il controllo della maggioranza di Governo e porrebbe, conseguentemente, in grave crisi l'autonomia della Magistratura.
In questo clima non può considerarsi casuale l’ultimo intervento del Viminale di inedita e inaudita gravità, allo scopo di alimentare una “caccia alle streghe” senza precedenti”.

12 giugno 2019