La rabbia delle tute blu contro il governo. Magliette rosse “ostinatamente antifascista”
Grandi e combattivi cortei dei metalmeccanici a Milano, Firenze e Napoli
Nel capoluogo partenopeo gli operai della Whirlpool guidano la protesta. Diffuso il volantino di solidarietà del PMLI e quello contro il governo Salvini-Di Maio
Troppo morbidi i leader dei metalmeccanici sul governo

Dopo due anni dall’ultima volta, i metalmeccanici tornano in sciopero. L’ultimo sciopero generale di categoria, di 4 ore e di carattere regionale, era stato nel giugno 2016 nell’ambito della vertenza che portò al rinnovo del contratto nazionale che i sindacati confederali firmarono unitariamente. Allora l’accordo fu definito come uno dei più arretrati che la categoria ricordi, con un aumento salariale irrisorio, della flessibilità e del precariato.
Questo 14 giugno le tute blu, oltre alle loro rivendicazioni specifiche di settore, lanciano il loro monito al governo nero Salvini-Di Maio, definito il “governo del falso cambiamento”, trascinando di fatto in piazza le rispettive sigle sindacali che, anche in questa occasione, anziché promuovere una grande manifestazione nazionale a Roma, hanno preferito dividere la penisola in macroareee, con gli operai del Nord e della Sardegna concentrati a Milano, quelli del centro a Firenze e quelli del Sud inclusi Lazio e Abruzzo, a Napoli.
La piattaforma rivendicativa della mobilitazione chiede dunque il rilancio degli investimenti pubblici e privati, il sostegno all’occupazione a seguito del calo della produzione industriale e del potere d'acquisto dei salari, le morti e gli infortuni che con la stessa vergognosa costanza, colpiscono i metalmeccanici in ogni parte ’Italia. Secondo i sindacati, a questo governo manca qualsiasi idea di politica industriale dal momento in cui il nostro paese sta diventando “territorio di conquista” delle multinazionali estere, perdendo la sua ricchezza manifatturiera.
Oggi, in un periodo contrassegnato da crisi fortissime nel settore, accompagnato da altrettante vertenze aperte in ultima la cassa integrazione di altri 1.400 lavoratori dell’ILVA di Taranto annunciata solo pochi giorni fa, passando per Whirpool e tante altre, i posti di lavoro a rischio vengono stimati tra gli 80 e i 280mila
 

Milano
A Milano sfilano in oltre 30.000, provenienti da Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Liguria. Alcune fabbriche milanesi hanno visto una adesione allo sciopero di oltre il 90%; presenti in forze le delegazioni di altre fabbriche in crisi, quali Abb, Husqvarna, Fujitsu, Maggi catene, Ibm ed Alcoa, ancora immobilizzata nonostante l’accordo siglato al Mise, in barba al piano energetico nazionale integrato.
Dal palco, per voce di alcuni delegati, piovono critiche contro il governo nero, reo di aver illuso i lavoratori solo per la campagna elettorale di Salvini e di Di Maio e per averli poi, come ogni altro governo precedente, lasciati in balia del mercato.
Solo in Lombardia sono 2 mila i posti di lavoro a rischio, denunciano Cgil, Cisl e Uil. Secondo i confederali la crisi è causata unicamente dalla delocalizzazione e dall’assenza di una politica industriale. L’affermare, come è stato fatto dal palco milanese che oggi la delocalizzazione “a differenza del passato è anche verso Paesi con un costo del lavoro più alto ma politiche industriali più solide” è del tutto strumentale e serve esclusivamente a coprire la vera causa di questo processo, tutta interna alla ricerca del massimo profitto; sanno bene infatti i sindacati, che il caso della Abb che sta chiudendo lo stabilimento di Vittuone per andare in Finlandia, è solo una eccezione rispetto alla normalità che vede costantemente aziende che trasferiscono i propri impianti produttivi in paesi nei quali il costo della manodopera è inferiore e comunque garantiscono il massimo profitto capitalistico.
Ha chiuso il comizio conclusivo il segretario generale della Cgil Maurizio Landini che ha chiesto “una politica industriale degna di questo nome”, rilanciando la necessità di mettere al centro delle politiche nazionali “lavoro e investimenti” oltre alla lotta all’evasione fiscale. Ha concluso sostenendo: “Un Paese sta bene quando una persona attraverso il lavoro può vivere dignitosamente, quando non succede vuol dire che il Paese è ingiusto e non funziona”. Sulla questione sciopero generale, no smentisce, né conferma, rimettendo la valutazione assieme a Cisl e Uil, gongolando sul fatto che la novità di questa fase sia la “ritrovata unità del sindacato”.
Dal palco, applauditissima, parla anche una delegazione di studenti di Fridays for Future: “Ambiente e lavoro non possono essere in contraddizione, noi protestiamo contro il cambiamento climatico e per il futuro di tutti”.
 

Firenze
In piazza, fra i tanti striscioni, i lavoratori delle fabbriche toscane, emiliane, liguri, umbre e marchigiane, si sono dati appuntamento a Firenze. Il corteo è partito da piazza Cavalleggeri e ha percorso il lungarno e le vie del centro storico passando per piazza Duomo, terminando il proprio cammino in una piazza Santissima Annunziata gremita da oltre 15.000 metalmeccanici.
Oltre agli altri temi della piattaforma, un argomento particolarmente trattato sia dagli striscioni, sia dal palco, è il tema della sicurezza, legato al sistema dei subappalti che impedisce la formazione delle operaie e degli operai non rendendoli coscienti dei rischi che corrono sul posto di lavoro.
Il Governo viene criticato per voler ad ogni costo destrutturare i sistemi produttivi, continuando peraltro sulla strada maestra dettata da Renzi
Grave la situazione che si è verificata a causa della delocalizzazione produttiva che vuole il profitto quale perno centrale di ogni tessuto produttivo: l’ormai conosciuta situazione alla Bekaert di Figline Valdarno, le difficoltà della Kme di Fornaci di Barga, le incertezze delle Acciaierie Aferpi di Piombino, e inoltre le cessioni improvvise di interi rami d’azienda, in ultimo Aeronavigazione con 200 lavoratori, di proprietà Ids, venduta ad Enav.
Il settore nautico che da Carrara arriva fino a Piombino, passando per Viareggio, Marina di Pisa e Livorno, conta circa 20mila addetti incluso l’indotto, è indicativo della destrutturazione del settore poiché, se nel 2008 il rapporto fra lavoratori diretti e lavoratori in appalto era di uno ogni cinque, e già non era poco, nel 2019 è uno ogni otto nelle migliori delle ipotesi, uno su dieci nei casi peggiori.
Giusta, ma incapace di andare al cuore del problema, la riflessione dei delegati sindacali che denunciano come, in un settore storicamente così ricco, tale ricchezza non sia “distribuita” fra i lavoratori, in gran parte privati anche del premio di risultato e del secondo livello contrattuale.
Ciò che però denunciano tutti i lavoratori, sono gli orari di lavoro fuori controllo, la poca sicurezza, e la nocività degli ambienti all’interno dei cantieri, spesso in aree demaniali e quindi pubbliche, con l’immobilismo di governo e istituzioni.
 

Napoli
A Napoli il corteo del centro-sud partito da piazza Mancini, è aperto dalle lavoratrici e dai lavoratori della Whirlpool, in presidio da quasi due settimane, seguito da una miriade di altre delegazioni di operaie ed operai che l’accompagnerà fino a piazza Matteotti (si veda il servizio a parte).
“Lo sciopero – ha affermato il segretario generale della Fiom Campania, Massimiliano Guglielmi – è importantissimo per il Sud. La vertenza Whirlpool ha assunto una valenza più generale per la difesa del lavoro nel Mezzogiorno.”.
Tanti lavoratori, a marcare anche il carattere antifascista dei manifestanti che vedono più degli stessi dirigenti sindacali nel governo un mostro nero e pericoloso, hanno indossato magliette rosse fatte per l’occasione, sulle quali era scritto “Ostinatamente antifascista”.
I 430 operai della Whirlpool che venerdì prossimo attendono la risposta dell’azienda, poco si fidano dell’operato del governo:” L’azienda con noi non parla. Di Maio si è esposto tanto, ma finché non avremo la certezza che manterrà le produzioni a Napoli continueremo la lotta”.
Giusto!
Dal palco, per voce di altri delegati, arrivano nuove critiche: “I governi ci hanno tutti ignorato: i suonatori cambiano, la musica è sempre la stessa e sta diventando una marcia funebre: siamo affamati di lavoro”, mentre i lavoratori dell’ex Ilva di Taranto ad un passo da altra cassa integrazione, lanciano un monito: “Non vogliamo scegliere tra lavoro e salute; vogliamo lavoro, salute e ambiente”.
Chiude il comizio la segretaria della Fiom CGIL, Francesca Re David che rilancia la posizione confederale: “Il nostro sciopero guarda al governo e alle imprese, alla svalorizzazione del lavoro, alla mancanza di una qualsiasi idea di politica industriale nel paese che sta diventando un terra di conquista delle multinazionale e con il 25% della capacità produttiva istallata e 300mila posti in meno. Chiediamo che l’industria, gli investimenti pubblici e privati e l’occupazione vengano messi al centro. È importante rilanciare la contrattazione in vista del rinnovo del contratto nazionale che dovrà aumentare i salari, ridurre l’orario, tutelare salute e sicurezza.
Al corteo, le compagne e i compagni della Cellula napoletana del PMLI “Vesuvio Rosso”, hanno diffuso 500 volantini di solidarietà ai lavoratori della Whirpool e contro il governo nero Salvini-DI Maio.
 

I limiti imposti dai leader dei metalmeccanici
Senza soffermarsi più di tanto sul peloso abbraccio del PD che ora cavalca il tema del lavoro dopo averlo massacrato come nessun governo in precedenza per mano dell’ex Berlusconi democristiano Renzi, lo sciopero pone sul tavolo di classe alcune riflessioni.
Già la parola d’ordine usata per la manifestazione, “Futuro per l’industria”, la riteniamo fuorviante e sbagliata. Qual è l’industria che dovrebbe sopravvivere? Per quale tipo di industria dovrebbero lottare i milioni di lavoratori del nostro paese? Forse quella attuale, in mano a un pugno di capitalisti e di multinazionali che saltano da un paese all’altro nella ricerca del massimo profitto e che attraverso i governi ed all’immobilismo dei sindacati sono riuscite nel tempo ad azzerare i diritti ed a ridurre pericolosamente ai minimi storici il salario dei lavoratori?
Certo che no.
Come accennato, l’ultimo rinnovo contrattuale metalmeccanico del 2016, ha avuto come effetti pratici, quello di aver smantellato il contratto nazionale contro un irrisorio aumento salariale legato a maggiore produttività, flessibilità e all’inserimento dell’welfare aziendale che lega i lavoratori al profitto delle aziende. Se ne compiaceva infatti l’allora leader degli industriali Storchi che lo definì “un primo importantissimo passo per un rinnovamento culturale”.
Nei fatti, per sua parte, aveva ragione: c’era effettivamente il rinnovamento culturale, ma inteso come il successo padronale di aver fatto recepire ai sindacati, altri elementi propri della cultura borghese aziendalista, quella visione cioè cogestionaria fra impresa e sindacati che sfiora il neocorporativismo.
La delocalizzazione sicuramente rappresenta un tasto dolente, ma se non si individua l’origine di questo male che è esclusivamente il libero mercato capitalista, come si potrà drenarla rimanendo nell’alveo istituzionale, prendendone per buone tutte le sue leggi economiche capitalistiche?
Il problema principale è senz’altro il modello sindacale che viene rilanciato, un modello di sconfitta poichè pone i lavoratori non come una classe in conflitto, ma in collaborazione con i capitalisti al fine di rendere competitiva la merce prodotta in Italia, per il “bene supremo” di tutta la nazione, senza divisioni tra operai e padroni, i cui interessi non possono in realtà coincidere.
Una filosofia che non si dissocia granché dal corporativismo fascista per la quale è necessario appunto un “nuovo modello contrattuale” che preveda rapporti tra le parti di tipo mussoliniano e sindacati cogestionari e istituzionali.
Diciamo che la ritrovata unità sindacale dei confederali, ostentata con orgoglio in ogni occasione dal segretario Landini, sta dando il suo frutto principale, poiché ormai neanche la CGIL riesce ad identificare il governo Salvini-Di Maio per quello che è, mancando di denunciarlo agli occhi dei propri iscritti e di tutti coloro che sono scesi in piazza.
Questo governo non è un normale governo di “centro-destra”, ma un governo di fascisti del XXI secolo. Se ne sono accorti anche alcuni organismi politici, alcuni intellettuali di “sinistra” anche se ancora minoritari; come può non essersene ancora accorta la CGIL dopo tutti i segnali ed i provvedimenti di legge in ogni campo che questo governo ha realizzato?
In realtà la manifestazione dei metalmeccanici ha dato un segnale inequivocabile; la piazza ha compreso molto meglio dei vertici confederali la natura e la pericolosità di questo governo nero, e ne sono testimonianza, oltre alle magliette antifasciste di tantissimi lavoratori, anche gli slogan lanciati durante i cortei e le molteplici volte che si è intonata “Bella Ciao”.
La classe operaia fu l’avanguardia della lotta antifascista durante il ventennio mussoliniano; cosa aspetta la CGIL a renderla ancora una volta cosciente e consapevole di questo rischio? Intanto, come primo passo, si concretizzi al più presto lo sciopero generale di tutte le categorie con manifestazione a Roma per cacciare, insieme, questo governo nero.
E certamente i lavoratori non devono cadere nella trappola della proposta opportunista di Landini per un sindacato unico di regime Cgil, Cisl e Uil ma come sostiene dal 1993 il PMLI di un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali delle lavoratrici e dei lavoratori.
 

19 giugno 2019