A Washington, ricevuto dal vicepresidente Pence e dal segretario di Stato Pompeo
Salvini si accredita come il principale alleato dell'imperialismo americano in Italia
L'aspirante duce d'Italia in linea con il dittatore fascista Trump su Iran, Venezuela, Libia, Israele, Medio Oriente e la nuova Via della Seta. Sulla Russia: “Sarebbe un errore strategico allontanarla dall'Europa per lasciarla all'abbraccio della Cina”
Il duce dei fascisti del XXI secolo: “Trump ha ridato un sogno, una speranza, una visione, ed è questo che voglio portare nel nostro Paese”

“L'Italia è il primo, più credibile, più solido interlocutore degli Usa nell'Unione europea, non solo in termini economici e commerciali ma di comune visione del mondo, dei valori, del lavoro, della famiglia e dei diritti”. Questa dichiarazione trionfante di Salvini fatta ai giornalisti da Villa Firenze, residenza dell'ambasciatore italiano a Washington, riassume significativamente lo scopo e i risultati della sua visita di metà giugno a Washington, dove è stato ricevuto con tutti gli onori riservati ai premier degli amici di Stato dal segretario di Stato, Mike Pompeo, e dal vicepresidente Usa, Mike Pence.
Il primo scopo del viaggio, che era stato preparato accuratamente dal suo vice Giorgetti con diversi viaggi negli Usa l'inverno scorso, era naturalmente lo stesso di tutti i presidenti del Consiglio italiani, o aspiranti tali come lui, fin dal primo viaggio del democristiano De Gasperi nel 1947, che vi andò per stringere un patto di ferro con la Casa Bianca, allora in chiave anticomunista, e che fino ad oggi non è mai stato incrinato, ma sempre riconfermato anche sotto i governi di “centro-sinistra”. E il duce dei fascisti del XXI secolo, che con le elezioni europee ha già prenotato Palazzo Chigi, non fa eccezione, ben sapendo che il nulla osta americano è indispensabile a chiunque aspiri a quello scranno.
Non a caso si era preparato per tempo mettendo la sordina ai suoi noti rapporti “speciali” con Putin e sposando platealmente tutte le ultime iniziative guerrafondaie dell'amministrazione Trump, dal Venezuela all'Iran, dal Medio Oriente alla Cina. Ma rispetto ai suoi tanti predecessori c'è molto più. Ufficialmente egli è solo il ministro dell'Interno, ma a Washington è stato trattato di fatto come fosse il vero presidente del Consiglio italiano, dimostrando che l'amministrazione Trump ha già archiviato la visita di Conte di un anno fa e ha preso atto della nuova situazione politica che si è creata in Italia. Non per nulla il viaggio di Salvini era stato programmato dopo le elezioni europee. E l'amministrazione Usa è stata ben felice di ricevere con tutti gli onori un interlocutore con cui la sintonia di vedute e di obiettivi è così perfetta su tutti i temi dell'agenda internazionale ed è anche il più convinto alleato per la sua strategia di disarticolazione dell'Unione europea. Anche se per salvare il protocollo non è stato ricevuto da Trump in persona.

Piena concordanza su tutta la politica estera e militare
Nella nota del Dipartimento di Stato Usa si annunciava che Salvini avrebbe parlato con Pompeo “dei rischi alla sicurezza dalla Russia e dall'iran, e della minaccia posta dagli investimenti predatori della Cina in infrastrutture chiave in Italia e in Europa, e della necessità di rafforzare la cooperazione sulla difesa di Usa e Italia”. E su tutti i punti di questa ampia agenda di politica estera e militare Salvini non ha certo deluso il suo interlocutore, visto che ha fatto sapere di aver concordato su tutto, virgole comprese: “Con l'amministrazione Usa abbiamo una visione comune su Iran, Libia, Medio Oriente, diritto di Israele ad esistere, Venezuela, e verso la prepotenza cinese verso l'Europa e l'Africa. In questo quadro, mentre altri Paesi europei hanno scelto una strada diversa, L'Italia è il più solido e coerente alleato degli Usa”, ha sottolineato infatti Salvini.
Riguardo alla Cina ha condiviso pienamente le preoccupazioni di Washington per i piani di Pechino e sulla Via della Seta alla quale l'Italia ha aderito, con una dichiarazione che ha fatto fischiare le orecchie a Di Maio e a Conte, che quell'accordo hanno voluto e firmato: “Business is business - ha detto - ma fino a un certo punto: quando c'è di mezzo la sicurezza nazionale ci si deve fermare. Anche perché la sicurezza delle telecomunicazioni vale più di ogni convenienza economica”. Perciò il governo italiano verificherà “le problematiche e gli eventuali rischi concreti che ci possono imporre una riflessione” sul ruolo di Huawei nella realizzazione delle reti 5G.
Sull'Iran e la politica aggressiva americana basata su sanzioni e minacce di guerra, l'aspirante duce d'Italia non ha avuto nulla da eccepire: “La nostra relazione con quel paese è già cambiata”, ha sentenziato, perché “non ha diritto di parola uno Stato che vorrebbe cancellare Israele dalla faccia della terra”. E quindi, “finché rimarrà questo sospetto non si potranno avere relazioni normali”.

Dialogare con Putin per impedire l'asse con Pechino
Il caso Venezuela l'ha liquidato con uno sbrigativo: “Per me da tempo si sarebbe dovuto riconoscere Guaidò al posto del criminale dittatore Maduro”. Mentre sulla Libia non ha perso l'occasione per rilanciare l'ambizione italiana di fare da arbitro, con la compiacenza degli Usa, tra il governo di Tripoli e quello di Tobruk battendo il rivale Macron: “Siamo convinti che ci voglia una soluzione in cui non ci siano un vincitore e uno sconfitto. Al tavolo devono starci tutti, e l'intervento di Haftar non è stato risolutivo, come pensava la Francia”, ha detto infatti Salvini.
Sulla Russia ha invece sollecitato un atteggiamento dialogante, a dimostrazione che l'essersi riposizionato sui falchi del governo Usa non vuol dire che abbia troncato i legami della Lega con Putin, visti i lauti finanziamenti ricevuti dal nuovo zar, gli oscuri affari intrapresi in comune e i cospicui interessi in gioco per l'export delle aziende del Nord: “Bisogna recuperare la via del dialogo - ha detto in proposito -. Sarebbe un errore strategico, non solo commerciale ma geopolitico allontanare Mosca dall'occidente per lasciarla nelle braccia della potenza cinese. Bisogna fare di tutto per riportarla al tavolo. Al di là della convenienza economica per le nostre aziende, preferisco ragionare con Mosca che rinsaldare l'asse Mosca-Pechino. Mi sembra banale”.
Una posizione più che accettabile per Trump, che nei confronti della Russia usa del resto anche lui un doppio registro, quello dell'accerchiamento e delle pressioni militari e quello dell'offerta di trattative. Tuttavia, nel colloquio con Pence, Salvini si è sentito chiedere perentoriamente il completamento veloce del Tap, il gasdotto dall'Azerbaigian che passa per la Puglia voluto dagli Usa per diminuire la dipendenza dell'Europa dal gas russo: “Whatever it takes”, a qualunque costo, gli ha notificato il vice di Trump. Scontate le rassicurazioni del leader fascioleghista, come del resto sugli F-35, sul cui acquisto come da programma gli Usa vogliono conferme: “dal mio punto di vista gli accordi sottoscritti non si possono rimangiare. Investire in ricerca coinvolgendo forza lavoro italiana è assolutamente utile e sano”, ha detto fustigando le titubanze del M5S.

“La prossima sarà una manovra trumpiana”
Il secondo scopo della sua visita era di dimostrare all'Unione europea, nonché ai suoi critici interni ed esterni al governo che l'Italia e la Lega sono tutt'altro che isolati, e dimostrare al governo Usa che lui e il suo partito non solo hanno in mano l'Italia ma dureranno anche a lungo: “Altro che governo isolato. Nella fragilità dell’Unione europea l’Italia è un punto di riferimento per gli Stati Uniti. Siamo il paese a cui i dirigenti americani si sentono più vicini, siamo l’alternativa allo strapotere franco-tedesco, e io sono venuto a rinsaldare questa vicinanza valoriale”, ha detto. L'Italia è “il più grande Paese europeo con cui gli Stati Uniti possono e vogliono dialogare”, ha aggiunto, e “il nostro governo durerà quattro anni... Trump ha ridato un sogno, una speranza, una visione, ed è questo che voglio portare nel nostro Paese”.
Per Salvini, infatti, il dittatore fascista americano è il modello da imitare anche in politica interna, in particolare per la flat tax per abbassare le tasse alle imprese e ai ricchi, anche a costo di far salire il debito pubblico e provocare sanzioni dalla Ue, secondo la teoria ultraliberista trumpiana che ciò farebbe ripartire gli investimenti privati e i consumi: “Qui - ha detto in proposito - hanno ridotto le tasse sulle imprese, come voglio fare io con la flat tax. Risultato: una disoccupazione scesa al 3,6%. Ridurre le tasse è la volontà dei cittadini espressa nel voto. È quello che Bruxelles deve capire”.
Naturalmente il furbastro leader della Lega finge di non sapere che negli Usa non esiste lo “Stato sociale”, che la sanità, l'istruzione, le pensioni e tutti i servizi sociali sono totalmente privati e a carico dei cittadini, che i lavoratori non hanno praticamente diritti in materia di orari di lavoro, ferie e malattia, e che il debito americano, per quanto più grande del nostro, non ha problemi di spread per finanziarsi, data la forza dell'economia americana e del dollaro e della possibilità di stampare moneta a piacimento.
Ma Salvini tira dritto, e ha proclamato da Washington che la prossima manovra sarà “una manovra trumpiana” e che “Il taglio delle tasse si farà”: “I soldi per la flat tax si devono trovare”, ha tuonato all'indirizzo di Conte e Tria, impegnati in quello stesso momento in una difficile partita con Bruxelles per scongiurare la procedura di infrazione. “L'asse Parigi-Berlino-Bruxelles - ha ammonito a questo proposito - non pensi di trattarci come la Grecia”. “Li convinceremo sulla flat tax con i numeri e con la cortesia, ma se non si convinceranno porteremo lo stesso a casa il taglio delle tasse e a Bruxelles se ne faranno una ragione”. E a chi gli faceva notare che i dazi di Trump colpiscono non solo l'Europa ma anche le aziende italiane, l'aspirante duce d'Italia se l'è cavata così: “L’Italia non è nel mirino, vogliono colpire Germania e Francia”. Anzi, “conto che le aziende italiane possano essere al riparo dai dazi. Se altre aziende di altri Paesi europei non avranno la stessa fortuna non è un problema mio”.

Salvini schiera l'Italia con l'internazionale nera di Trump
Dopo l'incontro con Pompeo, e prima di vedere Pence, Salvini ha anche trovato il tempo di andare a omaggiare i soldati delle guerre imperialiste americane al cimitero di Arlington e al memoriale dei caduti nel Vietnam. Al termine del colloquio ha dichiarato che “Italia e Stati Uniti hanno una visione comune al 99% dei valori, degli interessi e delle questioni del mondo. Esco da questo colloquio particolarmente soddisfatto”. “Se il vicepresidente della più grande democrazia del mondo si augura di lavorare con me e il mio governo ancora per tanti anni penso che sia il riconoscimento del fatto che la soddisfazione è reciproca”. E sempre con lo stesso tono trionfalistico, ha aggiunto: “Con l'Italia ci sono gli Stati Uniti, Israele, il Brasile, la Polonia, l'Ungheria e presto forse anche l'Argentina, non siamo isolati. Tra noi c'è una stretta comunanza nella visione del mondo, dei diritti e dei valori”.
Col vicepresidente Usa c'è stato pieno accordo in particolare sulla Brexit, anche senza intesa con la UE, sulla lotta al terrorismo islamico e all'immigrazione “clandestina”, e perfino sulla minaccia di tagliare i fondi all'Onu, evocando la possibilità che l’Italia imiti gli Usa nel tagliare contributi alle agenzie umanitarie “che dovrebbero combattere la fame ma spendono l’80% delle risorse in stipendi”.
A Pence ha ribadito inoltre che sull’immigrazione egli ammira la linea trumpiana che punta a selezionare gli arrivi in base a qualifiche e talenti professionali: “Appena tornato al Viminale voglio lavorarci”, ha detto.
“È la mia prima volta alla Casa Bianca, sono emozionato, e torno in Italia con una carica fenomenale”, ha concluso soddisfatto il leader dei fascisti del XXI secolo. Che difatti appena sceso dall'aereo ha subito stretto nell'angolo il suonato Di Maio e il sempre più esautorato premier Conte sulla flat tax: “O la si approva o me ne vado”, ha tuonato agitando loro sul muso lo spauracchio delle elezioni a settembre. E ha preteso pure di anticipare subito la manovra di autunno, in modo da scrivercela nero su bianco.
La sua strategia è chiara: finché i due continueranno a cedere - e nulla fa pensare al momento che non lo faranno - il governo durerà, fino a completare punto per punto il programma della Lega. Ed egli, forte anche del formidabile viatico appena ottenuto da Washington, avrà anche tutto il tempo e l'agio di diventare il duce di tutta la destra italiana, senza dover spartire il potere né con Berlusconi né con la Meloni: il duce dei fascisti del XXI secolo, in vista di diventare il duce di tutta l'Italia.
Tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose antifasciste hanno il dovere di unirsi e di impedirglielo, cominciando a buttar giù il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio.

26 giugno 2019