Promosso dai sindacati confederali e da associazioni tra cui Libera e Arci
Sit-in davanti alla Camera contro lo sblocca cantieri che apre anche alla corruzione e alle mafie

I sindacati sono tornati in piazza a Montecitorio l'11 giugno per fare pressione sul governo e sul parlamento affinché non fosse approvato il decreto “sblocca cantieri”. Un tentativo che si è dimostrato vano perché il giorno successivo il decreto ha ottenuto senza alcun intoppo i voti della Camera dei Deputati dopo che precedentemente, con l'identico testo, era stato approvato dal Senato. Successivamente dovrà avere il visto della Corte dei Conti e la firma del Presidente della Repubblica e poi la legge di conversione sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
Cgil, Cisl, Uil, assieme ad Arci, Libera, Legambiente e altre associazioni hanno dato vita a un sit-in dove hanno rilanciato l'allarme contro “uno scempio legislativo che pregiudica la qualità dell’appalto e che non sblocca alcun cantiere”. Giuseppe Massafra, segretario confederale Cgil minacciato da Salvini di querela per le sue affermazioni, ha dichiarato che “attraverso questa controriforma non si fa altro che allungare e peggiorare la condizione complessiva nel settore degli appalti, si ripristina il massimo ribasso, si liberalizza il subappalto, si indebolisce il sistema di controllo, di trasparenza”.
Al sit-in era presente anche Don Ciotti. Il fondatore di Libera ha ricordato che spostare alcuni punti centrali del provvedimento al 2020 e toccare 81 articoli con innumerevoli modifiche, come ha voluto la Lega assecondata dai 5 Stelle, “significa aprire dei varchi, e la storia lo ha insegnato, alla corruzione e alle mafie. Siamo stanchi che per reggere questa politica scenda ogni giorno a compromessi sulla pelle della gente”.
Don Ciotti si riferisce alla sospensione di alcune norme del codice degli appalti contenute nel decreto approvato dalle due Camere. Tra queste l'obbligo per i Comuni di fare gare attraverso stazioni appaltanti, l'obbligo di scegliere i commissari di gara dall'albo Anac. Sospeso anche lo stop all'appalto integrato. Elevato da 50 a 75 milioni il limite di importo delle gare dalla quale scatta l'espressione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Il Decreto prevede una nuova soglia per i subappalti ora fissata al 30%. Fino al 31 dicembre 2020 la quota è fissata al 40%, calcolata sull'importo complessivo del contratto. La percentuale applicabile potrà essere stabilita dalle stazioni appaltanti di volta in volta.
Fissata a 1 milione di euro la soglia sotto la quale è possibile affidare i lavori previa procedura semplificata. Per gli appalti da 40 a 150 mila euro è previsto l'affidamento diretto. Solo per gli importi compresi tra i 150 mila e 350 mila euro è prevista una procedura negoziata, previa consultazione di almeno 10 operatori economici; tra i 350 mila e un milione di euro prevista una procedura negoziata con almeno 15 operatori. Se i lavori superano questa soglia si fa ricorso alle normative europee.
Al di là dei tecnicismi è ben chiaro che questo decreto liberalizza e destruttura il sistema degli appalti eliminando alcune misure di controllo entrate in vigore recentemente dopo il forte impatto sull'opinione pubblica avuto da scandali di grande portata come l'Expo di Milano, il Mose di Venezia o Mafia Capitale. Sarebbe questa la lotta alla mafia vantata da Salvini? Favorendo la corruzione, l'ingresso negli appalti delle ditte in odore di mafia e mettendo a repentaglio la sicurezza dei lavoratori sui cantieri.
 
 
 

26 giugno 2019