Era affiliato alla 'ndrangheta
Arrestato Caruso consigliere di FdI
Il presidente del Consiglio comunale di Piacenza è accusato di associazione mafiosa

A poco più di quattro anni dalla prima maxi inchiesta contro la 'ndrangheta della via Emilia che, con l'operazione “Aemelia”, nel gennaio del 2015 portò per la prima volta alla luce il criminale intreccio politico-economico-mafioso fra la potente cosca 'ndranghetista di Grande Aracri di Cutro il tessuto economico politico e sociale dell'Emilia; il 25 giugno la procura di Bologna ha inferto un altro duro colpo alla potente cosca calabrese con l'operazione “Grimilde” che ha visto impegnati più di 300 agenti di polizia tra Parma, Reggio Emilia e Piacenza, coordinati dallo Sco (Servizio centrale operativo) è arrivata.
Tra i destinatari delle 16 misure di custodia cautelare, di cui 13 in carcere e 3 ai domiciliari, chieste dalla Pm della Dda di Bologna Beatrice Ronchi ed emesse dal Gip Alberto Ziroldi spiccano il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso, di Fratelli d'Italia, ammanettato insieme al boss Francesco Grande Aracri (fratello del mammasantissima Nicolino), e i figli Salvatore e Paolo tutti accusati di associazione mafiosa.
Gli indagati sono 76 in tutta Italia e devono rispondere a vario titolo anche di estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento e truffa aggravata.
Francesco Grande Aracri, già condannato per associazione mafiosa in passato, viveva a Brescello, in provincia di Reggio Emilia. Secondo gli investigatori lui e i figli erano a capo del gruppo criminale mentre il boss di Fratelli d'Italia, Giuseppe Caruso, aveva secondo il Gip “un ruolo non secondario nella consorteria” anche perché, come ha precisato il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato: “Il coinvolgimento personale di Caruso risale a quando era dipendente dell'Agenzia delle Dogane di Piacenza”.
“Pino”, come lo chiamano a Piacenza, da due anni era stato eletto presidente del Consiglio comunale e tra il 2002 e il 2012 era stato consigliere d’opposizione prima fra gli scranni di An e poi per il Pdl.
Caruso, per il Gip, era una sorta di cerniera fra la criminalità organizzata e il mondo politico e imprenditoriale, era lui a pianificare le imprese economiche con i vertici del clan e per tale scopo avrebbe “messo stabilmente a disposizione le prerogative, i rapporti professionali e amicali e gli strumenti connessi al proprio lavoro di dipendente dell'ufficio delle Dogane di Piacenza per il perseguimento degli interessi” del sodalizio 'ndranghetistico. “Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari, oleifici, industriali - diceva il boss di FdI parlando con un altro indagato mentre era intercettato nel 2015 - tutto quello che vuoi... quindi io so dove bussare...”. E ancora, mentre parlava con il fratello Albino, anche lui arrestato: “Io con Salvatore (Grande Aracri, ndr) gli parlo chiaro, gli dico... Salvatò, non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna (la mammella ndr) e succhiare o no?”.
Il riferimento è alla 'Riso Roncaia Spa', azienda mantovana che si era rivolta all'organizzazione criminale per risolvere i suoi problemi finanziari, finendo poi nelle sue grinfie e coinvolta in una maxi truffa per un finanziamento Agea.
Protagonisti dell'estorsione, oltre a Grande Aracri e ai suoi uomini, i due Caruso; Giuseppe e il fratello Albino, suo contatto operativo con la cosca. “Mio fratello è un libero professionista e può fare quel cazzo che vuole”, dice Giuseppe, che preferisce non chiamare mai direttamente Grande Aracri per timore di essere intercettato. Quando però si trattava di risolvere questioni importanti, ad esempio quando un’altra famiglia ’ndranghetista minacciava la risiera, è lui a darsi da fare. “Ma tu sai che c’è dietro questa azienda? (la Riso Roncaia, ndr)”, dice ad un rivale. “Qua non si muove niente”. Oppure “ti tagliano la testa”.
Negli atti si ricostruisce il ruolo dei fratelli Caruso, anche in quella che viene definita “vicenda Unicredit”, cioè un debito con la banca. Nelle conversazioni tra alcuni indagati si fa riferimento a un intervento dell'ex ad di Unicredit, il piacentino Francesco Ghizzoni, per il momento non direttamente coinvolto nell'inchiesta.
L’esponente di FdI, per i magistrati della Dda, dunque non era un politico al servizio della mafia, come in tante occasioni è già capitato di scoprire. Il presidente del Consiglio comunale era, caso praticamente unico al Nord, un affiliato della ’ndrangheta che si era candidato e fatto eleggere proprio per favorire l’attività criminale della cosca di appartenenza. Lo si capisce dalle intercettazioni in cui racconta di aver detto a Grande Aracri: “Io dal di fuori se ti posso dare una mano te la do (...). Perché ho mille amicizie, da tutte le parti... Bancari, oleifici, industriali, tutto quello che vuoi... Io posso bussare (...) ma se tu mi immischi, mi hai bruciato... è finita”.
E non a caso il suo motto era: “Tutto ha un prezzo, tutto si può comprare”.
E pensare che nel 2018 Caruso ha partecipato anche ad Atreju, kermesse romana di FdI, con tanto di foto che lo mostrano sorridente accanto ad un boss del partito come Guido Crosetto.

3 luglio 2019