Centinaia tra arrestati e indagati a Napoli, maxisequestro di 130 milioni di euro
La nuova cupola camorristica ha in pugno Napoli dell'imbelle De Magistris
“Assetti gerarchici ben definiti e pervicace intimidazione territoriale”. Il chiacchierato ospedale di “San Giovanni Bosco” utilizzato per le riunioni dei clan

Redazione di Napoli
Altro che “rivoluzione arancione”! Altro che “rivoluzione civile” cianciata dal megalomane e narcisista De Magistris assieme alla sua giunta antipopolare! A Napoli spadroneggia una nuova camorra organizzata in una vera e propria cupola momentaneamente smantellata dal blitz di fine giugno laddove la Procura antimafia partenopea ha arrestato centinaia di boss, capibastone e luogotenenti della famigerata e pericolosa “Alleanza di Secondigliano”, da ormai 15 anni in piena attività sinergica. Ma sono già pronti, secondo gli inquirenti, i sostituti ben rodati nel sistema associativo camorristico e che verranno immediatamente inseriti nelle trame già tessute dai precedenti criminali.
Secondo il procuratore capo antimafia Giovanni Melillo - che ha coordinato le indagini assieme ai pubblici ministeri antimafia Ida Teresi, Alessandra Converso e Maria Sepe – tre clan camorristici operanti nella città metropolitana, ossia le famiglie Contini, Mallardo e Licciardi, avrebbero formato una vera e propria direzione degli affari illeciti con “sede” presso il tristemente famoso Ospedale “San Giovanni Bosco” di Napoli dilaniato e ridotto ai minimi termini dai traffici criminali. “Gli uomini dei Contini controllavano il funzionamento dell’ospedale, dalle assunzioni, agli appalti, alle relazioni sindacali. L’ospedale era diventata la base logistica per trame delittuose, come per le truffe assicurative attraverso la predisposizione di certificati medici falsi”, ha detto Melillo durante la conferenza stampa del 25 giugno. Un sistema di infiltrazioni che il procuratore capo partenopeo ha così spiegato: “Il controllo di questi clan è talmente capillare, che persino la strada che affianca la Procura di Napoli è gestita dalla camorra; per far capire che forza hanno i loro affari criminali”. Dal piccolo parcheggio abusivo fino all’associazione di tipo mafioso, dal traffico di sostanze stupefacenti, all’estorsione, all’usura, al riciclaggio e altri gravi reati. L’utilizzo dei professionisti come avvocati e medici per effettuare le truffe assicurative cui corrispondevano referti medici falsi rappresentava un altro filone che ha coinvolto anche le sfere della cosiddetta “borghesia bene” napoletana.
L’indagine ha ricostruito, inoltre, come il clan Contini riuscisse ad anticipare e prevenire le azioni di contrasto della magistratura e delle “forze dell’ordine” grazie a una rete di fiancheggiatori tra i quali figura anche una dipendente dell’Ufficio Gip del Tribunale di Napoli. Si tratta di Concetta Panico (finita ai domiciliari), imparentata con Antonio Pengue (in carcere), uno dei presunti affiliati al clan. Quest’ultimo, attraverso la Panico, nel 2014, venne a conoscenza in anticipo dell’emissione di una ordinanza di custodia per 90 presunti esponenti al clan Contini. Indagini che andarono in fumo e che ora sono confermate dall’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari Roberto D’Auria che ha confermato ben 126 arresti cui si sono affiancati altre centinaia di persone indagate a piede libero, con l'unica eccezione di uno dei capi indiscussi della criminale “Alleanza di Secondigliano”, Maria Licciardi, attualmente latitante.
Il nuovo controllo del territorio prevedeva, tra l’altro che i Contini - che si muovono su un impero che va dall’Arenaccia a Poggioreale, da Foria a Porta Capuana – non solo dovevano gestire il nuovo fenomeno dei migranti con provocazioni come quelle – anche denunciate sulla pagine de “Il Bolscevico” – degli spari contro coloro che si ribellavano al loro potere, ma che si guardasse ad altri e nuovi territori da sfruttare per le proprie attività illecite. In un’altra riunione i clan si erano “spartiti” per zone di influenza e con l’aiuto della ‘ndrangheta, alcuni paesi europei: sempre il clan Contini ha riciclato, ad esempio, il danaro sporco in Spagna, a Barcellona, dove avevano un’anonima società che gestiva un ristorante e una caffetteria nella zona più prestigiosa della città catalana; tutt'oggi finito sotto sequestro.
Il ministro della Salute, Giulia Grillo (M5S) reclama l’immediato commissariamento dell’Ospedale incriminato, con lo scioglimento del consiglio di amministrazione per evidenti infiltrazioni camorristiche; il governatore De Luca si oppone decisamente perché contrario alla forma del “commissariamento”. De Magistris si complimenta per gli arresti ma nulla dice sul commento di Melillo a proposito del fatto che i clan hanno le mani e, dunque, il controllo della città. I nuovi assetti gerarchici, la formazione di un sodalizio che si atteggiava ormai come cupola camorristica, la “pervicace forza intimidatrice” – come ha sottolineato sempre il procuratore Melillo – nell’ambito del territorio partenopeo aveva creato come contraltare la diminuzione delle denunce da parte delle masse completamente abbandonate a loro stesse e ai loro quartieri degradati e all’aumento indiscriminato dell'omertà, schiacciate dallo strapotere dei clan. Un'assenza quella delle istituzioni locali e nazionale in camicia nera che ha avuto come “risposta” il dominio incontrastato e il nuovo vigore dei vecchi clan dei sanguinari anni Ottanta che, ringalluzziti dall'assenza di qualsiasi provvedimento di risanamento dei quartieri popolari dove operano, prima fra tutti un piano straordinario per lavoro per i giovani, hanno messo le mani in qualsiasi parte della città di Napoli. Con buona pace dei goffi intenti “rivoluzionari” dell’ex pm che – pronto a lasciare la poltrona di sindaco per annunciare la candidatura alle regionali 2020 - ha sparso soltanto illusioni tra le masse popolari partenopee al pari se non peggio delle giunte di “centro-sinistra” precedenti.

10 luglio 2019