In Sudan, sotto la mediazione di Unione africana e Etiopia
Accordo tra giunta militare e opposizione su un periodo di transizione di tre anni
Festeggiato in piazza a Khartoum e Omdurman

 
Almeno un milione di manifestanti erano scesi in piazza nella capitale Khartoum e Omdurman, le due città gemelle divise dal Nilo, e in molte altre città del paese il 30 giugno rilanciando il movimento di protesta contro la giunta militare e la formazione di un governo civile. La repressione dell'esercito e dei corpi speciali causava una decina di morti e centinaia di feriti ma non era in grado di contenere una protesta che si avviava verso un nuovo sciopero generale proclamato dall'Associazione dei professionisti sudanesi e spingeva i militari verso un compromesso con le opposizioni. A distanza di pochi giorni, i rappresentanti del Consiglio militare di transizione (Tmc) e delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc), raggiungevano un accordo che assegna per i prossimi tre anni la gestione del paese a “un consiglio sovrano con una presidenza civile e militare a rotazione per un periodo di tre anni o poco più”, annunciava il 5 luglio il delegato dell’Unione Africana (Ua) che assieme al premier etiope Abiy Ahmed avevano svolto un ruolo di mediatore nella parte finale delle trattative tra giunta militare e opposizioni sudanesi. Il compromesso raggiunto è una evoluzione apparentemente più favorevole alle opposizioni rispetto all'intesa già raggiunta il 15 maggio scorso e che i militari avevano fatto saltare definitivamente con la repressione delle manifestazioni e il massacro del 3 giugno a Khartoum quando il presidio davanti al quartier generale dell’esercito fu spazzato via con la forza.
L'intesa definisce la formazione di un Consiglio sovrano di 11 membri, composto da cinque membri del Tmc, cinque dell’Ffc e presieduto da una figura di garanzia scelta dalle parti. Per il primo periodo di quasi due anni il presidente sarà scelto dai militari, dopo di che passeranno la mano a un componente designato dalle opposizioni che organizzerà il percorso verso le elezioni generali entro i successivi 18 mesi. Come dire che per due anni la guida del paese resta in mano ai militari e passerà a un governo civile probabilmente solo al termine del periodo di transizione che durerà tre anni e tre mesi, fino alla metà del 2022. Un compromesso che è stato definito un cedimento seppur necessario per sbloccare la situazione e porre fine ai massacri da una parte del movimento di opposizione che aveva portato alla caduta del regime di Bashir e aveva continuato la mobilitazione chiedendo la cacciata dei militari dal governo.
In cambio le opposizioni hanno ottenuto la nomina entro tre mesi di un parlamento transitorio, nel quale l’Ffc avrebbe garantita una larga maggioranza, e l'insediamento a breve di un organismo tecnico col compito di preparare le riforme economiche e sociali rivendicate dai manifestanti fin dalle prime proteste nello scorso dicembre. Parte dell'accordo anche la nomina di una commissione d’inchiesta indipendente sul massacro dei manifestanti del 3 giugno a Khartoum.
L'annuncio dell'accordo è stato festeggiato in piazza a Khartoum e Omdurman. E salutato dai leader delle Ffc come una intesa che “apre la strada per la formazione delle istituzioni dell’autorità transitoria e l'auspicabile inizio di una nuova era”. Un compromesso dopo quasi sette mesi di manifestazioni, iniziate nel dicembre 2018 contro l'aumento dei prezzi di pane e benzina e che l'11 aprile scorso avevano portato alla deposizione di Omar al Bashir da parte del Consiglio militare di transizione guidato dal generale Abdel Fatah al-Burhan; i golpisti sudanesi proclamavano lo stato d’emergenza per due anni e pensavano di poter restare al potere e traghettare senza colpo ferire il Sudan dalla cordata dei paesi sunniti guidata da Turchia e Qatar a quella guidata dall'Arabia Saudita e appoggiata dagli imperialisti sionisti di Tel Aviv. secondo il percorso già seguito in Egitto per gestire il passaggio dalla dittatura di Mubarak a quella dell'ex generale Al Sisi.
 

10 luglio 2019