Intervenendo al Senato
Conte copre Salvini sul Russiagate
L'aspirante duce d'Italia: “Mentre gli altri parlano di rubli e di aria fritta, noi lavoriamo”

Il 24 luglio alle 16,30 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è recato in Senato al posto di Salvini per una informativa "su presunte trattative tra esponenti del partito Lega-Salvini Premier e personalità di nazionalità russa". Dopo aver eluso a lungo e con modi sprezzanti la richiesta di andare a riferire lui per primo in parlamento, Salvini non ha voluto infatti nemmeno presentarsi in aula, come aveva fatto invece trapelare nei giorni precedenti, inventandosi un'apposita riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza proprio in concomitanza dell'audizione di Conte. Una fuga dettata evidentemente dalla paura di compromettersi rispondendo a domande dirette, dopo lo scivolone iniziale dell'aver negato i suoi rapporti stretti con Savoini, senza sapere che cosa hanno veramente in mano i magistrati.
Conte ha accettato di presentarsi in parlamento per rispondere sul cosiddetto Russiagate italiano, mosso fondamentalmente da due esigenze. La prima era quella di fare da scudo a Salvini, per difendere insieme a lui anche la sopravvivenza del governo Lega-M5S e la sua stessa poltrona, minacciate un giorno sì e l'altro pure dal ministro dell'Interno, che anche il giorno prima gli aveva inviato un avvertimento, rispondendo "siamo nelle mani di dio" a chi gli chiedeva di un'eventuale crisi di governo. E al tempo stesso di riprendersi il suo ruolo di capo del governo, oscurato da Salvini che si comporta ormai come il vero premier in tutti i campi, e di essere lui l'unico garante della politica estera e di alleanze dell'Italia.
La seconda esigenza che muoveva Conte, e alla quale ha dedicato l'inizio del suo discorso, era quella di apparire anche come il garante di corretti rapporti con il parlamento, rispettoso delle istituzioni e dei loro ambiti di competenza, nell'intento di dimostrare una sua indipendenza dai due partiti al governo e prepararsi un futuro politico dopo la sua caduta. Non a caso Salvini non aveva nascosto di nutrire il sospetto che Conte sia pronto a fare asse con Mattarella in caso di apertura della crisi per favorire una soluzione tipo governo tecnico pur di evitare le elezioni anticipate.

Solo un elenco di fatti arcinoti
È così che Conte ha esordito presentando un atto dovuto come una sua dimostrazione di "profondo rispetto" verso il parlamento, profondendosi in elogi in questa che è "la vera essenza della nostra forma di Governo", riconoscendo che "da molti anni assistiamo ad una trasformazione profonda degli equilibri istituzionali che sta maggiormente avvantaggiando il potere esecutivo", e assicurando che per parte sua farà "ogni possibile sforzo per avviare un'inversione di indirizzo". Ed ha concluso la sua sviolinata al parlamento dicendo che da esso ha ricevuto la fiducia e ad esso "state pur certi, tornerò ove mai dovessero maturare le condizioni per una cessazione anticipata del mio incarico": quasi una dichiarazione di impegno a parlamentarizzare la crisi e verificare la possibilità di una nuova maggioranza, cosa che ha fatto saltare la mosca al naso a Salvini, che poche ore dopo tuonava contro chi intendesse andare a cercarsi maggioranze in parlamento "come funghetti nel Trentino", e che "se qualcuno pensa di andare avanti con giochetti di palazzo ha sbagliato persona, ministro, partito, e Paese".
A parte questo, il resto dell'intervento di Conte è stato tutto dedicato ad una difesa passiva del suo vicepremier, con una pedissequa elencazione di fatti già ampiamente noti e alla riconferma del sistema di alleanze occidentali di cui l'Italia fa indissolubilmente parte, Nato e Unione europea, senza rispondere neanche di sfuggita alle tante e gravi domande che lo scoppio dell'affare Russiagate ha suscitato. Conte si è limitato infatti a confermare - e solo sulla base di informazioni raccolte dalla presidenza del Consiglio, in quanto "non ho ricevuto informazioni dal Ministro competente" (sic) - che il "signor Savoini" (sempre così da lui nominato per marcare la sua estraneità al governo) figurava ufficialmente nella missione ad alto livello di Salvini a Mosca del 15 e 16 luglio 2018 in cui incontrò il ministro dell'Interno e altri alti dirigenti russi; così come anche l'invito al faccendiere neonazista a partecipare alla cena del 4 luglio con Putin fu ottenuto su sollecitazione di Claudio D'Amico, consigliere di Salvini. La visita a Mosca di Salvini del 17 e 18 ottobre fu "organizzata direttamente dal Ministero dell'Interno", alla quale "risulta abbia partecipato anche il signor Savoini". Mentre "gli eventi successivi", come il famoso incontro del Metropol del 18 in cui gli emissari di Salvini trattarono con i russi per ottenere un finanziamento per la sua campagna elettorale, "hanno rivestito carattere privato".

"Nessun elemento per incrinare la fiducia in Salvini"
Naturalmente il premier si è ben guardato dal domandarsi, come se la cosa non lo riguardasse e non riguardasse il suo governo, che cosa implichino questi fatti da lui accertati: perché il ministro dell'Interno mentì più volte sostenendo quasi di non conoscere Savoini e di non sapere perché fosse presente, e comunque di non averlo invitato lui a tutti quegli incontri, i due del luglio e ottobre 2018 a Mosca e la cena con Putin a villa Madama? Perché Conte disse di non conoscere Savoini se la trattativa del Metropol era già stata svelata da L'Espresso ben cinque mesi fa, e se il direttore dell'Aise ha dichiarato al Copasir che Savoini, Meranda e Vannucci erano già noti e "monitorati" dai nostri servizi segreti esterni? E perché ritennero di non informarlo della presenza di un simile personaggio equivoco alla cena ufficiale in onore di Putin? Forse che questi rispondono solo a Salvini, invece che al presidente del Consiglio, come dovrebbe essere per legge? E se così fosse, perché Conte non ha ritenuto necessario aprire un'inchiesta per appurarlo?
Ma niente di tutto questo. La relazione di Conte è scivolata via assicurando che "allo stato non risulta evidenziato alcun elemento tale da farmi dubitare circa un indebito scostamento" dalla linea di politica internazionale e dalle alleanze con Nato e Ue; e che, grazie alla sua funzione di "persona terza" rispetto ai due partiti di maggioranza, "nessuna forza politica che sostiene la maggioranza avrebbe potuto avere la concreta possibilità di poter imprimere un indirizzo di politica internazionale in ragione dei rapporti intrattenuti con singole forze politiche di altri Paesi". "Su questo sono stato molto attento", si è vantato Conte atteggiandosi a vero capo del governo, al punto di non considerarlo un problema se poi "ciascuna forza politica è ovviamente libera di coltivare rapporti, anche in via esclusiva, con singoli partiti politici di altri Paesi e di apparentarsi con gruppi politici transnazionali": come ha fatto la Lega gemellandosi con il partito di Putin, Russia Unita, appunto.
Conte ha poi concluso il suo intervento, tra le proteste del PD per non aver detto assolutamente nulla e aver solo coperto Salvini, e gli applausi invece soddisfatti dai banchi della Lega, dichiarando sfacciatamente che "sicuramente allo stato non vi sono elementi tali che possano incrinare la fiducia che nutro nei confronti di tutti i componenti del Governo", cioè in Salvini, e si è limitato a impegnarsi per il futuro affinché negli incontri ufficiali "siano presenti solo persone accreditate" e "tenute al vincolo della riservatezza".

L'uscita del M5S dall'aula
La cosa grottesca è che mentre Conte iniziava il suo intervento per riaffermare il suo ruolo di vero capo del governo, affiancato però solo dai ministri Fraccaro e Bongiorno (quest'ultima più in veste di occhiuta guardiana giuridica di Salvini che in segno di solidarietà con il premier), obbedendo ad un sms riconducibile a Di Maio, i senatori del M5S si alzavano e uscivano in massa dall'aula, mettendolo in ridicolo di fronte all'assemblea e mostrando il suo isolamento nello stesso M5S. La spiegazione circolata immediatamente era quella di una protesta per la decisione del premier favorevole alla Tav. Nel modo troppo diretto e non concordato con cui Conte l'aveva annunciata, Di Maio avrebbe infatti individuato una prova della sua ambizione di protagonismo personale, svincolata dalla fedeltà al M5S.
Ma dopo le proteste furenti di Conte con Fraccaro, che è uscito dall'aula per consultarsi con Di Maio, il capogruppo pentastellato Patuanelli ha cercato di metterci una pezza intervenendo per dire che la protesta era perché al posto di Conte avrebbe dovuto esserci Salvini. Una pezza peggiore del buco, perché non si capisce allora come mai la protesta è stata fatta quando ha iniziato a parlare Conte e non all'intervento in pieno stile fascista del capogruppo leghista Romeo.
Quanto a Salvini, incassata senza ringraziamenti la difesa di Conte, in serata si è pure fatto beffe del suo intervento e del parlamento: "Mentre gli altri parlano di rubli e di aria fritta, noi lavoriamo!", ha detto in diretta Facebook annunciando il mirabolante sblocco di 50 miliardi di investimenti per una serie di infrastrutture. E non senza chiosare malevolmente, come abbiamo già detto, il passaggio di Conte sulla sua presentazione in parlamento in caso di crisi. Il giorno dopo, per rincarare la dose, dichiarava ai microfoni di Radio Anch'io : "Di quanto ha detto Conte al Senato su Moscopoli mi interessa meno di zero".
Il duce dei fascisti del XXI secolo sa benissimo di non avere nulla da temere da Di Maio e Conte, il primo terrorizzato dall'idea che se cade il governo dovrà lasciare la politica e trovarsi un lavoro, il secondo perché ben difficilmente in caso di crisi di governo ci potranno essere le condizioni per evitare lo scioglimento delle Camere e giocare un ruolo per una soluzione alternativa: "Dopo di me c'è solo Salvini", avrebbe detto infatti ai dirigenti del M5S nella sfuriata per aver abbandonato l'aula. Semmai i veri pericoli che egli teme, e che potrebbero azzoppare l'aspirante duce d'Italia, possono venire dai magistrati di Milano e da chi sta dietro la divulgazione degli audio della sconcia trattativa moscovita.
Insomma il parlamento è stato ridotto da questo nero governo a uno squallido teatrino in cui Conte e Di Maio hanno interpretato il ruolo di innocenti comparse nel Russiagate impegnate unicamente a pararsi il didietro e a salvare le loro poltrone governative, mentre l'aspirante duce d'Italia l'ha sprezzantemente liquidato evitando non solo le doverose dimissioni ma persino di rispondere alle accuse che sono piovute su di lui, la Lega e i suoi strettissimi collaboratori.
 

31 luglio 2019