Conte dà via libera al Tav
Il M5S ingoierà il rospo pur di salvare le poltrone

 
Il sostanziale e definitivo via libera del governo alla Tav, arriva via Facebook poco prima delle 20 di mercoledì scorso da Giuseppe Conte, presidente del Consiglio indicato dal partito di maggioranza di Governo qual è il Movimento 5 stelle.
“Non realizzarla costerebbe molto più che completarla”; con queste parole Conte ha sdoganato l'opera, lasciando intendere la presenza delle famose penali subito rilanciate come causa dalla stampa di regime, ma che molti esperti e lo stesso Di Maio avevano affermato non esistere. L’annuncio di Conte è l’ennesimo calcio nel sedere anche ai risultati di ciò che aveva stabilito l’analisi costi-benefici, promossa e realizzata dal ministro pentastellato Toninelli, alla quale però nulla era seguito tranne la continuazione dei lavori di scavo.
Tutti ricorderanno i tempi in cui i 5 Stelle non avendo i numeri per governare da soli, chiedevano ministeri chiave all'alleato leghista, fra i quali quello dei trasporti che avrebbe dovuto bloccare l'opera, caposaldo della propaganda grillina ma anche terreno di lotta di molti dei suoi elettori che vedevano ancora nella “banda” di Di Maio, la sponda istituzionale da affiancare alla protesta.
È bene sottolineare anche che inizialmente i 5 Stelle proposero la piemontese Laura Castelli, sulla quale la Lega si oppose proprio per evitare di avere una No Tav ai trasporti. Poco però sarebbe cambiato, poiché da mesi la Castelli stessa è divenuta una delle esponenti dell’ala possibilista sul supertreno ad alta velocità.
 

Le ultime vicende sul TAV. Tanti compromessi pentastellati
In seguito, nel testo del contratto di governo dove inizialmente il TAV era abolito, arrivò l'ennesimo compromesso col quale il governo si impegnava alla “ridiscussione integrale del progetto nel rispetto degli accordi internazionali”, mentre i 5 Stelle avviavano il processo di questo grande tradimento nei confronti dei propri elettori.
Fino alla scorsa primavera, i lavori hanno continuato ad andare avanti e a livello politico continuava la latitanza grillina, mentre la Lega e praticamente tutte le altre forze parlamentari, premevano per ufficializzare il proseguimento definitivo dell'opera. In questa fase di opportunistico tira e molla, arrivò anche la già citata analisi costi-benefici che afferma di quanto sia molto più costoso per il nostro Paese, completare il TAV anziché stopparne la costruzione.
Poco dopo Telt, la società italo-francese che realizza la Torino-Lione, avrebbe dovuto far partire le gare d’appalto per i 45 chilometri del lato francese della galleria trovando lo stop dei 5 Stelle; ma ecco che con l'ennesimo compromesso, sfruttando una norma del diritto francese, si avvia la gara d’appalto senza impegnare denaro pubblico e prendendo ancora tempo per una storia dal finale scontato, poiché in tutta questa serie di vicende il Movimento 5 Stelle è sempre rimasto un saldo componente (e per giunta di maggioranza) di questo governo nero, appoggiando di fatto la Lega in tutte le sue scelte antipopolari, fasciste e razziste.
Intanto l’Unione europea, per accelerare il definitivo sì, si diceva disposta a pagare non il 40 sul quale si era già impegnata, ma il 55 per cento del costo del tunnel di base e metà dei costi delle tratte nazionali. Un boccone troppo ghiotto per la nostra borghesia nazionale e per le multinazionali interessate all’opera.
Insomma, da una parte si ignorano ancora una volta le necessità a le posizioni di una intera valle in lotta, e dall'altra ecco che il denaro europeo che finirà nelle tasche degli imprenditori delle aziende costruttrici e – direttamente o indirettamente - ai politici compiacenti, rimane il centro dell'ennesima misura neoliberista presa sulla pelle della popolazione.
Conte dunque, che in tempi recenti cerca sempre di più di smarcarsi ora da Salvini ora da Di Maio al fine di preparare la sua carriera politica futura, cosciente che il via al TAV segnerà probabilmente un punto di non ritorno per le fortune governative del Movimento che l'ha proposto a Presidente del Consiglio, intesta il risultato alla Lega, con un Salvini ancor più tronfio che dichiara: “Abbiamo sempre chiesto di far partire l’opera”, dimenticando I suoi comizi da giovane leghista in Veneto nelle quali andava al microfono con una bella maglietta No TAV.
Nei fatti è vero quello che si è letto su alcuni giornali all'indomani di questa dichiarazione: “forse solo questo governo a maggioranza grillina avrebbe potuto davvero far partire la Tav”, confermando la storia moderna del nostro Paese, in particolare da Prodi in poi, quando qualsiasi grande risultato di rottura col passato, la borghesia lo ha ottenuto attraverso il tradimento di governi che parti delle popolazioni consideravano “amici”; la novità oggi è che non è stato il “centro-sinistra” a fregiarsi di un nuovo crimine politico come ad esempio fu la guerra nell’ex-Jugoslavia di D’Alema o il Jobs Act di Renzi, ma il Movimento 5 Stelle che è divenuto in pochi mesi l'antitesi delle sue stesse posizioni ambientaliste e sulle grandi opere inutili.
 

Le giravolte opportunistiche dei vertici a 5 Stelle
Insomma, “il dado è tratto”, con tanto di ringraziamento al ministro Danilo Toninelli. Ma cosa accadrà all'interno del Movimento adesso che, dopo acqua ed ambiente, il via al TAV oscura anche la terza stella del loro simbolo?
Intanto la capogruppo in regione Piemonte, Francesca Frediani, dichiara che “l’ok al Tav è inaccettabile”, mentre il senatore Alberto Airola, capofila dei No Tav tra i 5 Stelle, ha già annunciato che lascerà il gruppo.
Tuttavia i capigruppo Patuanelli e D’Uva, per conto di decine di parlamentari, chiedono che sia il parlamento a esprimersi e che proprio in aula si vedrà l’esito della votazione; così potranno tranquillamente votare compattamente un no che non inciderà nell'esito pratico del risultato poiché quasi tutto il parlamento è favorevole all'opera.
“Fermare la Tav è ancora possibile – afferma opportunisticamente il ducetto Di Maio – Basta votare in parlamento. E vedremo chi voterà come il Pd di Renzi o con Forza Italia di Berlusconi. Noi in parlamento ci vogliamo andare con la forza della coerenza e del 33% che abbiamo”. Alla tenuta elettorale del Movimento, che pare essere rimasto l'unico obiettivo dello stesso di Di Maio, a poco servirà il tentativo di scaricare ancora sul Pd la responsabilità dell’approvazione in parlamento della Tav.
A poco serve anche uscire dall'aula quando Conte affronta il tema TAV, poiché ormai è chiara la loro ennesima posizione opportunista, fatta di affondi mancati e di atteggiamenti ambigui che però stavolta non ingannerà ancora tanti loro ex elettori, che hanno capito di che pasta sono fatti i vertici di questo partito, complici ed attori comprimari delle politiche antipopolari di questo nero governo a trazione leghista, nonostante – lo ripetiamo – il Movimento 5 Stelle rappresenti ancora e fino alle prossime elezioni il partito di maggioranza nel governo stesso. Se i parlamentari pentastellati vogliono veramente contrastare il Tav non hanno altro modo di dimostrarlo che uscire dal governo.
La faccia più tosta di tutte nel Movimento, è senz'altro quella del Ministro Toninelli che aveva giurato di esser pronto a mettere il proprio corpo fra l’Italia e la Tav. Cinque minuti dopo il via libera del premier, non si vergogna di dichiarare: “Resto al mio posto. Conte ha riconosciuto che i tre miliardi risparmiati sono anche grazie al lavoro del ministero. Li useremo per opere utili”.
 

La base del M5S in rivolta
Naturalmente la notizia ha destato scalpore nella base del Movimento e, in particolare a Torino, città governata dai 5 Stelle col sindaco Chiara Appendino, dichiarata “Città No TAV” dal consiglio comunale. La sindaca si è affrettata a specificare di essere ancora convintamente contraria al tunnel, giustificando la situazione in quanto il Movimento non ha la maggioranza in parlamento e che un sindaco non può bloccare l'opera.
Come gli altri, tenta di nascondersi dietro ad un dito; un dito sempre più sottile che non argina una base in rivolta ed anche gli stessi consiglieri, meno collusi con Roma, che pensano seriamente di abbandonare il Movimento.
Fra di essi, due consigliere torinesi come Maura Paoli e Daniela Albano, si sono dette pronte a lasciare il gruppo del Movimento 5stelle, minacciando di far cadere la sindaca Appendino: “Quello che hanno messo in piedi Di Maio e Conte sul Tav è stato un teatrino penoso e inaccettabile. Se i ministri e i parlamentari del M5S non mettono in crisi il governo in caso di via libera alla Torino-Lione per noi è impossibile restare nel Movimento”.
“I grillini hanno calato le braghe su tutto per conservare la poltrona, ma con questa scelta perderanno pezzi in Comune, in Regione e in Parlamento” afferma Alberto Perino, storico leader del Movimento No Tav che in questi giorni organizza il Festival “Ad alta Velocità”, storico appuntamento e punto di riferimento per gli oppositori al TAV che avevano concesso ai 5 Stelle il sostegno elettorale per arrivare a Palazzo Chigi e stoppare il super treno.
All'ondata di proteste, i gruppi parlamentari non sanno più come rispondere; anche sui social, il loro terreno prediletto, piovono insulti che rispondono ai continui nuovi post nei quali i 5 stelle ripetono il loro no alla Torino-Lione con cartelli di propaganda, ben sapendo che è solo “aria fritta”, che non seppellisce la contraddizione che li vede forza di governo.
Alla fine, dopo un giorno di silenzio, anche Grillo esce allo scoperto e nei fatti scagiona sia Conte che Toninelli, incolpando solo la Lega, affermando come il più grande istituzionalista del mondo: “Decida il Parlamento, è la democrazia e teniamocela stretta, perché credere che basti essere al governo, in tandem, per bloccare un processo demenziale come questo significa avere dimenticato che non siamo una repubblica presidenziale o una dittatura”.
E pensare che Grillo parla dello stesso parlamento che qualcuno dei suoi voleva aprire come una scatoletta di tonno…
Intanto, per il senatore Michele Giarrusso, l'ex inviato delle Iene, la TAV “è la Caporetto del Movimento”.
 

Prosegue la lotta dei No Tav
In effetti, sebbene l'aria che tirasse da mesi aveva già allertato il fronte facendo presagire l’epilogo poi illustrato da Conte, i NO TAV hanno atteso l’ufficialità della notizia per rilanciare una nuova stagione di lotta combattuta con un nemico in più.
Adesso, compattati dalla loro lotta trentennale, vanno all’attacco dei 5 Stelle, dichiarando che “La manfrina è finita, ora tocca a noi”, e sottolineando quella autonomia che si è rafforzata anche in virtù del tradimento a 5 Stelle nel quale una buona fetta degli attivisti aveva riposto fiducia.
Fra di essi, ecco che anche il centro sociale Askatasuna che tuona:” L’opposizione al Tav del M5S si conclude con una ridicola scenetta, una di memoria grottesca, da prima repubblica”. Ed hanno ragione.
D’altra parte 30 anni di battaglie coraggiose in Valsusa, hanno ormai forgiato una base di attivisti pronti a tutto per fermare l’opera.
I rappresentanti dei 5 Stelle locali sono sempre accorsi in massa in queste occasioni, ma stavolta, dopo il grande tradimento, nessuno della giunta Appendino è stata presente alla grande e determinata manifestazione del 27 luglio, un po' per volontà, un po' perché alla difficoltà pentastellata è corsa in soccorso la prefettura che ha consigliato l’astensione ai rappresentanti istituzionali per timore di tensioni interne nello stesso corteo.
Insomma, una cosa è certa: sono le masse che escludono nei fatti i rappresentanti 5 stelle dalla piazza che non gli appartiene più, poiché essi, a tutti gli effetti, sono oggi il nuovo partito del cemento al pari di PD, Lega e di tutti gli altri partiti del regime neofascista.
Sanno bene i No Tav che le prese in giro che si sono concretizzate nell’ultima settimana hanno radici profonde, vecchie di trenta anni, blaterate dai politicanti borghesi che trovano sempre il modo di accantonare tutto ciò che si pone a sbarrare la strada al profitto ed al neoliberismo. È così che il governo ha ignorato l’analisi economica, procedendo imperterrito verso la costruzione di un’opera assurda economicamente e logisticamente, utile soltanto a spartirsi gli altri miliardi di euro che serviranno per la sua eventuale completa costruzione.
Nessuno però riuscirà a fermare un movimento che da decenni sta vincendo la propria battaglia, se è vero com’è vero che all’inizio di questo millennio i treni, secondo i progetti dei capitalisti, avrebbero dovuto già sfrecciare nella grande galleria. Grazie all’opposizione popolare in continua crescita indipendentemente dalle posizioni dei partiti di regime, siamo già in ritardo di venti anni.

31 luglio 2019