Ricerca Cgil
Andranno in pensione oltre i 70 anni i precari e part-time
Assegni da fame, le donne ancora peggio

 
Una ricerca della Cgil presentata lo scorso 19 luglio durante il convegno “Giovani e pensioni: rivolti al futuro” svoltosi a Roma nella sede nazionale della Cgil alla presenza del segretario generale Maurizio Landini e curata dall'economista Michele Raitano getta ombre sinistre sul futuro della previdenza in Italia.
Lo studio prevede che nel giro di pochi decenni una notevole parte dell'attuale popolazione, che andrà in pensione con il regime contributivo, potrà ricevere il trattamento di anzianità lavorativa non prima dei 70 anni con assegni ridottissimi, tali da non consentire una vita dignitosa, e questo anche a causa dei sempre più diffusi regimi di part time, di precariato e quindi di discontinuità nella vita lavorativa, tendenze che si accentuano di anno in anno.
Lo studio propone anche esempi concreti.
Ad esempio, un lavoratore part time che ha iniziato a lavorare nel 1996, quando scattò il sistema contributivo, con un salario annuo di 10mila euro annui e uno stop di un anno per ogni tre di lavoro, pur avendo iniziato a 24 anni non potrebbe andare in pensione prima dei 73 anni.
Per fare un altro esempio, una collaboratrice domestica che oggi ha 35 anni percepirà soltanto 265 euro nel 2057 dopo 43 anni di lavoro, mentre una lavoratrice delle pulizie part time a sei ore al giorno che guadagna mediamente 600 euro al mese andrà in pensione a 68 anni con 40 anni di contributi, ma il settore delle pulizie è molto spesso discontinuo, per cui anche in questo caso la probabilità di superare i 70 anni è molto alta.
Gli ultimi due esempi riguardano lavori tradizionalmente femminili, e proprio le donne risultano svantaggiate secondo l'analisi condotta da Raitano su 15 anni di attività di 200.000 lavoratori negli ultimi 23 anni lavorativi, dove il 51% delle donne (contro il 33% degli uomini) ha trascorso almeno 10 anni con salari al di sotto dei 900 euro al mese, una situazione che si ripercuoterà sfavorevolmente sulla futura pensione.
Il segretario della Cgil Landini, nel suo intervento, ha messo in rilievo che per l'attuale generazione dei quarantenni, che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1996, una soluzione utile può essere quella della previdenza complementare la quale però, ha evidenziato lo stesso Landini, viene utilizzata solo da un 20% dei lavoratori che si trovano già in buone prospettive pensionistiche, mentre giovani e precari ne fanno un uso scarsissimo. Le ragioni sono evidenti e stanno tutte nei salari da fame che percepiscono i lavoratori, soprattutto i precari e a tempo determinato. Il che impedisce loro di risparmiare alcunché da destinare alla inaccettabile previdenza complementare. L'attuale disastrosa situazione previdenziale è il risultato delle politiche liberiste antioperaie adottate da tutti i governi, compresi quelli di “centro-sinistra” ma anche dell'arrendevolezza e passività dei vertici sindacali, Cgil e Landini in testa, che hanno lasciato i lavoratori soli e si son guardati bene dal mobilitarli e dar vita a un forte movimento di lotta nelle piazze e sui luoghi di lavoro per impedire l'approvazione delle famigerate leggi come la Fornero e Jobs Act.
I problemi descritti riguardano per ora la generazione dei quarantenni, ma per i giovani al di sotto dei trenta anni per ora ci sono solo incognite: per questo Ezio Cigna, esperto di previdenza della Cgil, ha proposto per i giovani di “valorizzare a livello contributivo i periodi di stage, ricerca del lavoro, assistenza ai familiari“, ma si tratta di palliativi, perchè il problema vero per chi ora ha meno di trenta anni è quello di trovare una attività lavorativa vera e propria.

31 luglio 2019