A Gerusalemme est
Il governo sionista-nazista di Israele demolisce 13 palazzi palestinesi
Una nuova Nakba

 
Nella notte del 22 luglio centinaia di poliziotti sgomberavano con la forza i 350 palestinesi che abitavano in una settantina di appartamenti nel quartiere di Wadi al Hummus nella cittadina di Sur Baher, a Gerusalemme est. Nonostante le proteste della popolazione e di decine di attivisti internazionali e israeliani di All That’s Left: Anti Occupation Collective Group, intere famiglie erano caricate su autobus e portati altrove in modo da poter dare il via al piano di demolizione di 13 palazzi palestinesi deciso dal governo sionista-nazista di Tel Aviv perché si trovano vicino al Muro illegale tra Gerusalemme e la Cisgiordania.
I poliziotti sionisti intervenivano anche il 26 luglio per proteggere il lavoro di demolizione delle ruspe e per sparare candelotti lacrimogeni contro le centinaia di palestinesi che in solidarietà con le famiglie cacciate dalle loro case si erano riuniti in una tenda a Wadi al-Hummus per la preghiera del venerdì.
La demolizione era scattata dopo lo scontato via libera della Corte suprema che aveva respinto il ricorso dei proprietari delle case sostenendo che queste strutture non avevano avuto “un permesso speciale dal locale comandante militare” perché trovandosi a poca distanza dal Muro avrebbero potuto fornire “una copertura per aggressori”. Tutto legale quindi. Niente affatto. La farsa del percorso giudiziario con la conclusione di una condanna già scritta serve a Tel Aviv per continuare a rappresentare l'occupazione sionista come “l'unica democrazia del Medio Oriente” e non per quello che è, una occupazione illegale accompagnata anche da una politica di apartheid verso la popolazione araba.
I palazzi palestinesi distrutti nella cittadina di Sur Baher non sono affatto costruzioni abusive, non hanno contravvenuto a un dispositivo militare sionista del 2011 che proibisce la costruzione all’interno di una zona cuscinetto di 100-300 metri dal Muro come ha sostenuto il tribunale, anche perché molte erano precedenti la costruzione del Muro; hanno avuto il permesso dall'Anp che ha il governo di qualche pezzetto di territorio in Cisgiordania, anzi, avrebbe ma si vede che non è affatto così.
Senza contare che il Muro è illegale, come da sentenza della Corte internazionale dell’Aja del 2004, ben 15 anni fa, una sentenza bellamente e arrogantemente ignorata dai sionisti di Tel Aviv e dai complici imperialisti negli Usa e in Europa, in una significativa alleanza di paesi che non conosce crisi qualunque siano i governi, della destra o della “sinistra” borghese. Il Muro è una barriera alta otto metri in Cisgiordania che divide, lungo oltre 700 chilometri, i territori palestinesi affidati formalmente all'Anp dai territori palestinesi occupati direttamente dai sionisti; l'esercito di Tel Aviv controlla le porte e decide chi può passare da una parte all'altra. Quello che i palestinesi chiamano “il muro della vergogna” corre solo in minima parte lungo la cosiddetta “linea verde”, il confine tracciato dall'Onu nel 1948, entra in Cisgiordania e esclude i palestinesi dalle loro terre e soprattutto dal controllo dei principali pozzi di acqua potabile, regalato agli oltre 400mila coloni trapiantati nella regione. Il Muro rappresenta il simbolo dell’apartheid del popolo palestinese.
Il governatore palestinese di Betlemme nel chiedere un intervento internazionale per fermare le demolizioni di case palestinesi a Wadi al Hummus denunciava che la distruzione degli edifici era di fatto una “rioccupazione di aree A”, di quelle zone che gli Accordi di Oslo del 1993 hanno assegnato al governo dell’Autonomia nazionale palestinese, e permetterebbe al regime di Tel Aviv di costruire una zona cuscinetto tra la zona araba di Gerusalemme e la città di Betlemme occupate illegalmente dal 1967. La distruzione delle case e dei terreni coltivati dai contadini palestinesi, specialmente negli ultimi anni sotto i governi del boia Benjamin Netanyahu, sono andati avanti con regolarità ma mai di un numero consistente come l'ultimo. Fatto che ha portato i palestinesi a denunciare l'inizio di un nuova catastrofe, una Nakba,
l'esodo forzato della popolazione araba palestinese cacciata dalle proprie terre dall'esercito sionista negli anni 1947-48.
All'appello palestinese rispondeva l'Onu che chiedeva a Tel Aviv di fermare le demolizioni, neanche presa in considerazione, non smuoveva una foglia nei complici governi imperialisti europei.
Amnesty International se non altro denunciava la “clamorosa violazione del diritto internazionale” e “azioni che equivalgono a crimini di guerra” e l’ong israeliana Peace Now sottolineava che i coloni israeliani, in aperta violazione del diritto internazionale, hanno creato in Cisgiordania dozzine di avamposti coloniali che mirano a conquistare grandi estensioni di terra palestinese.
Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), Abu Mazen, annunciava il 25 luglio da Ramallah la decisione di valutare la sospensione di tutti gli accordi sottoscritti con il regime di Tel Aviv quale risposta alla demolizione alcuni giorni prima da parte del governo sionista-nazista di Israele di 13 palazzi palestinesi a Wadi al-Hummus, a Gerusalemme est, in un’area che secondo gli accordi di Oslo del 1993 ricade sotto gestione palestinese. Che si sono confermati come un sostegno all'allargamento dell'occupazione sionista in Palestina e come tali respinti fin dall'inizio dalla resistenza palestinese a differenza dei collaborazionisti dell'Olp che adesso con Abu Mazen minacciano di sospendere. Non erano mai arrivati a questo punto e la reazione di Ramallah, al di là di quale sarà il seguito effettivo, dà quantomeno il riferimento del livello raggiunto dall'arroganza degli imperialisti sionisti di Tel Aviv nella regione mediorientale. Dove col riconoscimento esplicito del capo imperialista americano Donald Trump pensano di poter continuare a spadroneggiare in Palestina e a tenere sottomesso il popolo palestinese e a colpire impunemente in Siria e Libano gli interessi iraniani fintanto che gli Usa non decideranno di farlo direttamente.

31 luglio 2019