Accordo per il governo di transizione in Sudan
Secondo il Partito Comunista Sudanese e l’Associazione dei professionisti sudanesi l'intesa lascia il potere ai militari e garantisce l'immunità ai colpevoli della repressione. Contrari vari comitati per la resistenza e gruppi armati

 
Il primo ministro del Sudan, Abdallah Hamdok, presentava il 5 settembre la lista dei 18 ministri del primo governo provvisorio seguito alla caduta del regime del presidente Omar al-Bashir, dopo una larga protesta popolare e il suo arresto con un colpo di mano dai militari che hanno preso la guida del paese. “È l’inizio di una nuova era. Se ci riusciremo, verrà costruito un nuovo Sudan”, annunciava Hamdok, un compito svolto tuttavia sotto la tutela dei militari. Formalmente la guida del paese ha due riferimenti, il governo e il Consiglio sovrano del Sudan, l’organo che si è già insediato e ha scelto il premier; il Consiglio guiderà la gestione della fase di transizione della durata di tre anni fino alle elezioni previste nel 2022, è composto da 11 membri, 5 militari e 6 civili, ed è diretto per i primi 21 mesi dal generale Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, insediatosi il 22 agosto dopo aver lasciato la guida del disciolto Consiglio militare di transizione. Due generali occupano anche le poltrone degli importanti ministeri dell'Interno e della Difesa; sono ritenuti vicini alla giunta militare anche i neonominati ministro della Giustizia e il Procuratore Generale.
Nel Consiglio sovrano i militari hanno inserito Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti, vicepresidente della Giunta Militare e capo delle Forze di Supporto Rapido (Fsr), i mercenari protagonisti delle repressioni e dell'uccisione degli oppositori che per mesi hanno tenuto la piazza a Khartoum per rivendicare elezioni e il passaggio dei poteri a un governo eletto.
Il premier scelto dai militari è uomo delle istituzioni internazionali, è stato capo consulente tecnico presso l’Organizzazione internazionale del lavoro e economista politico presso la Banca africana di sviluppo nonché vice segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (ECA) dal 2011 al 2018. Lo scorso settembre rifiutò l’offerta del ministero delle Finanze ricevuta da el-Bashir e può presentarsi come non compromesso col vecchio regime. Nel suo governo la parte non controllata direttamente dai militari comprende due ex economisti della Banca mondiale, il ministro delle Finanze e la ministra degli Affari Esteri.
Consiglio sovrano, governo e elezioni dei 300 membri del parlamento nel 2022 sono i tre punti principali dell'intesa messa nero su bianco nell’accordo politico e nella dichiarazione costituzionale, definiti il 3 agosto e firmati il 17 agosto a Khartoum dopo mesi di trattative, tra il Consiglio militare di transizione (Tmc) e le Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc), l'organizzazione che ha raccolto e guidato le forze di opposizione e le proteste popolari anche dopo la caduta di al-Bashir contro la giunta militare e per la formazione di un governo civile.
L'intesa dei primi di agosto firmata alla presenza di diversi capi di stato, premier e diplomatici stranieri era il risultato finale dell'elaborazione di quella che sembrava oramai assodata dei primi di luglio e raggiunta sotto l'egida del delegato dell’Unione Africana (Ua) e del premier etiope Abiy Ahmed che avevano seguito al fase finale dei negoziati. Si trattava di un compromesso dopo quasi sette mesi di manifestazioni, iniziate nel dicembre 2018 contro l'aumento dei prezzi di pane e benzina e che l'11 aprile scorso avevano portato alla deposizione di Omar al Bashir da parte del Cmt; i golpisti sudanesi proclamavano lo stato d’emergenza per due anni e pensavano di poter restare al potere e traghettare senza colpo ferire il Sudan dalla cordata dei paesi sunniti guidata da Turchia e Qatar a quella guidata dall'Arabia Saudita e dall'Egitto e appoggiata dagli imperialisti sionisti di Tel Aviv, cui già il regime di Bashir si era avvicinato fornendo circa 14.000 mercenari per la guerra in Yemen. Non ci sono riusciti e sono dovuti scendere a un compromesso.
Un compromesso respinto però da una parte non secondaria delle Forze per la libertà e il cambiamento a partire dalle due principali, il Partito comunista revisionista sudanese (Pcs) e l'Associazione dei professionisti sudanesi (Aps) che l'hanno definito una soluzione di comodo e una concessione al regime militare. Secondo il Pcs l'intesa “non riflette le decisioni dell’Unione Africana, che sono sostenute dalla Troika, dall’UE e dall’ONU, che hanno chiesto che il potere venisse interamente consegnato a un governo civile nel corso di un periodo di transizione. La condivisione del potere con l’esercito va contro sia le richieste delle masse popolari sia l’opinione pubblica internazionale”, fornisce ai militari “la possibilità legale di controllare tutto l’apparato statale e l'impunità ai generali che hanno ucciso oltre 300 persone durante la rivoluzione”. Critiche condivise dall'Aps, la coalizione di sindacati professionali illegali promotrice del Fronte e fra i protagonisti nell'organizzazione delle proteste e degli scioperi contro la giunta. Purtuttavia entrambi restano nella coalizione e parteciperanno alle elezioni. Come il National Umma Party (NUP) di El Sadig El Mahdi, contrario al governo assieme ai militari.
Contrari all'intesa molti comitati per la resistenza che hanno organizzato clandestinamente la protesta nei quartieri a Burri, Khartoum Nord e Port Sudan, così come alcuni gruppi armati di regioni periferiche come l’Esercito di liberazione del Sudan di Abdelwahid e il Movimento di liberazione del popolo sudanese-Nord di Al-Hilu che hanno definito ogni tipo di resa al Cmt come un tradimento della rivoluzione e non hanno accettato la legittimità del governo definito da Cmt e Flc.
Un governo tenuto sotto controllo dai generali che si gestiscono un bilancio statale destinato per l'80% alle spese militari e fanno affari financo con la marea di fondi regalati dalla Ue che sarebbero destinati a chiudere una delle vie del traffico di esseri umani verso la Libia. Già sotto Bashir i militari si spartivano gran parte dei 400 milioni di euro ricevuti dall’Unione Europea per rafforzare le forze repressive del regime, tra cui le milizie Srf del generale Hemedti; la connivenza della Ue è andata avanti fino allo scorso 29 luglio quando ha dovuto sospendere il progetto a guida tedesca per la formazione e l’equipaggiamento delle guardie di frontiera sudanesi e del centro operativo nella capitale. L'iniziativa Ue che prende il nome di Processo di Khartoum era nata nel novembre 2014 da una iniziativa congiunta dell’Unione Europea e dell’Unione Africana nel corso di una conferenza ministeriale tenuta a Roma e sponsorizzata dal governo italiano allora guidato da Renzi. Un esempio della politica imperialista che solleva muri contro i migranti e finanzia repressione e carcere nei paesi di origine o di transito.
La Germania della Merkel non ha perso tempo nel riallacciare i legami con il nuovo regime e il 3 settembre, prima ancora dell’annuncio della formazione dell’Esecutivo, il Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas atterrava a Khartoum e sottolineava l’impegno del suo paese per riammettere il Sudan nei circuiti dell’economia internazionale e per aiutare a ricostruire l’economia del Sudan. Non perdeva tempo nemmeno l'imperialismo francese col presidente Emmanuel Macron che il 4 settembre spediva al premier Hamdok un invito a Parigi per discutere le relazioni tra i due Paesi e assicurare il sostegno della Francia al suo governo di transizione.

11 settembre 2019