India
Golpe bianco di Modi: smembra il Kashmir e lo pone sotto il diretto controllo del governo
Crescono i pericoli di una guerra nucleare tra India e Pakistan

 
Il governo del premier Narendra Modi, leader del partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP), con un golpe politico ha messo in pratica uno dei punti del suo programma elettorale della vittoriosa campagna del 2014 e attraverso un decreto presidenziale e una dichiarazione approvata il 5 agosto dalla Rajya Sabha, il Consiglio degli Stati ossia la Camera Alta del Parlamento Federale indiano, ha avviato il processo per l'abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione, quello che dal 1950 conferisce allo Stato islamico del Jammu e Kashmir uno status speciale di ampia autonomia gestito dal parlamento locale; al governo centrale di Nuova Delhi spettavano le competenze su difesa, politica estera e comunicazioni.
Il golpe bianco di Modi, compiuto tra l'altro in violazione dello stesso articolo 370 della Costituzione che prevede la consultazione preventiva con l’assemblea parlamentare del Jammu e Kashmir, peraltro commissariata dal governo centrale da oltre un anno, smembra lo Stato più conosciuto col nome di Kashmir e lo pone sotto il diretto controllo del governo, come se si trattasse di un semplice riassetto istituzionale e non di una questione al centro di una disputa territoriale con il Pakistan che ha origine settanta anni fa, con la fine della dominazione coloniale britannica e il suo velenoso lascito di confini tra i paesi della regione tracciati su base religiosa. La mina allora innescata di un Kashmir a maggioranza musulmana assegnato all'India induista e rivendicato dal Pakistan produce un nuovo scontro tra i due paesi che tra l'altro possiedono la bomba atomica e possono alimentare il pericolo di una guerra nucleare, non esclusa dal ministro della Difesa di Nuova Delhi.
Il Kashmir è la regione situata a nord del subcontinente indiano fra India, Pakistan e Cina, un territorio da molti secoli unito dalla lingua kashmiri, una lingua dardica parlata in India e Pakistan, ma composto anche da molte piccole comunità coi loro dialetti e diviso in molte etnie e nei principali gruppi religiosi islam, induismo, e buddismo. Governato da sovrani musulmani dalla metà del 1100 fino al 1820, quando viene conquistato dai Sikh guidati dal maharajah indù Ranjit Singh. Nel 1847 il dominio dei governatori sikh è riconosciuto dai colonialisti inglesi che definiscono artificialmente i confini del loro impero tra i possedimenti nel subcontinente indiano e con la Cina. Con la fine dell'impero britannico e la divisione terrioriale su base religiosa, la regione a maggioranza musulmana sarebbe dovuta passare sotto il Pakistan. L'ultimo maharajah Hari Singh non voleva cedere la valle del Kashmir a Islamabad e un’insurrezione musulmana nelle aree occidentali del regno nella primavera del 1947 gli fornirono l'alibi per chiedere l'intervento all'India che inviò le sue truppe in cambio dell'annessione. La richiesta di Hari Singh fu immediatamente accettata dal primo ministro indiano Nehru e da Lord Mountbatten, ultimo Viceré dell’India e primo Governatore Generale del paese nel periodo di transizione seguito all’indipendenza indiana. L'atto unilaterale fu respinto dal Pakistan che schierò le sue truppe. La prima guerra del Kashmir si chiuse con una pace sponsorizzata dalle Nazioni Unite alla fine del 1948 e con i soldati indiani e pakistani che da allora si fronteggiano sulla linea del confine coloniale, chiamata “linea di controllo”. Inapplicata la parte della risoluzione dell'Onu del 1948 che prevedeva un referendum affinché la popolazione kashmira decidesse dove andare.
I due terzi dell'attuale Kashmir sono amministrati dall’India, le regioni di Jammu e Kashmir e di Ladakh, e un terzo dal Pakistan, le regioni di Azad Jammu e Kashmir e del Gilgit-Baltistan. Successivamente il Kashmir venne definito dall'India una regione a statuto speciale della Repubblica indiana con le caratteristiche di autonomia definite nell’articolo 370 della Costituzione. La concessione dell'autonomia da parte di Nuova Delhi al Kashmir mascherava l'annessione di fatto, realizzata formalmente con un semplice decreto presidenziale da Modi il 5 agosto.
Un pezzo della regione del Kashmir erano la striscia della Valle Shaksgam e l'Aksai Chin, un vasto deserto salino e quasi disabitato che anche dal punto di vista geografico fa parte dell'altopiano tibetano. I colonialisti britannici ridefinirono a loro uso e consumo i confini della regione e presero il controllo di questo pezzo del Kashmir nel 1904 su concessione del governatore del Tibet, che secondo Pechino non era abilitato a cedere territori.
La posizione della Cina di Mao era espressa in una dichiarazione del 15 giugno 1951 da Zhou Enlai che non riconosceva i confini imposti dalla Gran Bretagna: “il confine naturale con l'India corre ben più a meridione delle vette del K'un-lun. La regione dell'Aksai Chin è stata da sempre parte integrante della nostra Madrepatria, tant'è che il suo nome significa "deserto rosso cinese". Confido che il governo di Delhi sia ragionevole e non si debba giungere ad imporre una guerra”.
Questa parte della questione del Kashmir fu risolta a margine del conflitto tra la Cina di Mao e India sul Tibet, con un accordo tra Cina e Pakistan firmato il 3 marzo 1963 dai ministri degli esteri Chen Yi e Zulfiqar Ali Bhutto e non riconosciuto a Nuova Delhi. Nelle premesse dell'accordo si citava la volontà dei due Paesi di delimitare il confine in uno spirito di ragionevolezza e mutua comprensione, sulla base dei principi enunciati nella Conferenza di Bandung, e col proposito non solo d'instaurare relazioni amichevoli ma anche di preservare la pace.
Alla guerra del 1947-49 seguiranno altri due scontri armati nel 1965 e nel 1999 in una regione polveriera dove erano schierati in permanenza 500 mila soldati dalle due parti della linea di confine. Una situazione che si è trascinata fino ai giorni nostri e accentuata dalla politica repressiva delle posizioni separatiste musulmane da parte del governo nazionalista di Modi tanto che il 2018 per il Kashmir è stato l’anno più sanguinoso degli ultimi dieci con oltre 400 morti, molti i civili, per la maggior parte uccisi dall'esercito indiano. Torture dei prigionieri, violenze sessuali e uccisioni si sono moltiplicati negli ultimi tre anni, secondo una denuncia dello scorso 8 luglio da parte dell’Ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) che condannava India e Pakistan per le crescenti violazioni dei diritti umani su entrambi i lati della linea di confine.
A fine luglio il governo indiano aveva inviato altri 40mila soldati nella regione, aveva
preventivamente arrestato i principali leader politici dei partiti separatisti ma anche di quelli filoindiani, aveva interrotto le linee telefoniche e i servizi internet, emesso il divieto di assembramento e ordinato ai turisti e pellegrini di lasciare lo Stato. Applicava di fatto la legge marziale preparando il golpe bianco.
Il primo ministro del Pakistan, Imran Khan, definiva quelle di Modi “una decisione illegale secondo la Costituzione indiana e soprattutto una violazione delle risoluzioni Onu”. Dichiarava che “se il mondo non farà nulla per fermare l'aggressione indiana contro il Kashmir e il suo popolo ci saranno conseguenze per il mondo intero perché due Stati dotati di armi nucleari si avvicineranno sempre di più a un confronto militare diretto”. Il pericolo di una guerra financo nucleare tra i due paesi era stato evocato dal ministro della Difesa indiano che aveva sottolineato come la decisione della politica indiana di usare per prima l'arma atomica “dipenderà dalle corcostanze” che Khan definiva “una minaccia nucleare neanche tanto velata contro il Pakistan”. Il premier pachistano infine chiamava la comunità internazionale a intervenire e a non ripetere l'esperienza della conferenza di Monaco accondiscendente verso la politica di Hitler che portò verso la Seconda guerra mondiale e la “minaccia analoga che incombe nuovamente sul mondo ma questa volta sotto l'ombra della guerra atomica”.
Una cosa certa è che la contesa territoriale sul Kashmir tra India e Pakistan non è più solo una questione di confini. Nello stesso tempo è una contesa per il controllo di territori dove sgorgano fiumi importanti sia per il Punjab indiano che per quello pachistano, per il controllo dell'acqua, l'oro blu; è una contesa tra il Pakistan che ha stretto i legami con la Cina di Xi e aperto ai programmi della nuova Via della Seta e la crescente potenza economica indiana sempre più apertamente rivale di Pechino; è la volontà della borghesia indiana che si riflette nel partito nazionalista indù di Modi di occupare un ruolo di primo piano sullo scenario mondiale. Così come la Cina di Xi cerca di risolvere al più presto la questione del controllo di Hong Kong, l'India di Modi vorrebbe chiudere quella del suo controllo sul Kashmir.
I dati economici degli ultimi anni confermano che l'India nel 2016 ha scavalcato l'ex potenza coloniale inglese, penalizzata anche dalla sterlina in vertiginosa caduta per effetto della Brexit, e si è piazzata in quinta posizione dietro Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania, grazie a una crescita economica sopra il 7% che viaggia a una velocità superiore a quella cinese e il triplo di quella Usa. L'India ha già un Pil doppio rispetto a quello di Giappone e Germania e vari studi economici hanno cominciato a fare previsioni, forse il 2030, su quando sarà la seconda potenza economica mondiale, dietro la Cina e davanti agli Usa.
Nel marzo scorso, alla riunione annuale della Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali il premier Modi ricordava che l'Asia “si trova al centro dell'attività economica globale”, “é diventata il principale motore di crescita del mondo. Stiamo vivendo quello che molti hanno definito il Secolo asiatico”. Lo storico contrasto sui confini tra India e Pakistan non è quindi solo una questione bilaterale, è un pezzo della partita imperialista per l'egemonia locale e anche mondiale, anzitutto di Usa e Cina ma con l'India che si sta costruendo le capacità per giocare anche per conto proprio. E a supporto delle sue ambizioni può sventolare financo l'arma atomica che si è costruita grazie alla copertura dell'imperialismo americano e pur non facendo parte del Trattato sulle armi nucleari, come i sionisti di Tel Aviv e a differenza del vicino Iran.
Il presidente americano Donald Trump si offriva lo scorso 9 settembre di fare da mediatore tra i due paesi sulla questione del Kashmir, dato che “vado d’accordo con entrambi i paesi” e di averlo già offerto a Modi a margine del loro incontro al G7 di Biarritz. Che gli aveva risposto che la soluzione del conflitto del Kashmir è una questione bilaterale indo-pakistana e la revoca dello statuto speciale del Jammu e Kashmir è una questione interna indiana: grazie non ho bisogno di aiuti, faccio da solo.

11 settembre 2019