Incontro di Conte con i tre leader dei sindacati confederali
Non è possibile “Remare insieme” come chiede Conte
I sindacati siano indipendenti dal governo

Una delle prime mosse fatte dal governo Conte-bis è stata quella di convocare i sindacati confederali a Palazzo Chigi. Una convocazione dettata dall'intenzione di dare al nuovo esecutivo un'immagine più “democratica”, conciliante e dialogante con le “parti sociali”. Meno arrogante e decisionista di quella impersonata dai due passati vice-premier, Salvini e Di Maio, che annunciavano dai social e dai balconi di aver “cancellato la Fornero” e “abolito la povertà”.
Insomma un incontro, quello del 18 settembre, che sembra voler segnare quella “discontinuità” con il precedente governo tanto invocata dai sindacati confederali. Che si ferma però alle apparenze, perché il Presidente del Consiglio è lo stesso, buona parte dei ministri rimangono al loro posto e il partito che ha il maggior peso rimane il Movimento 5 Stelle, anche se adesso ha assunto una posizione dominante che nel “contratto” con la Lega non aveva essendo esso subordinato, nonostante i numeri, a Salvini.
Certo non ci sono più l'aspirante duce d'Italia e i suoi uomini, sostituiti dal PD, ma sostanzialmente l'unica cosa che cambia è l'atteggiamento più collaborativo con le istituzioni dell'Unione Europea imperialista, rispetto alla sterile voce grossa del governo Lega-5 Stelle che però non ha quasi mai ottenuto niente di concreto. L'obiettivo dichiarato più impellente del governo rimane quello di scongiurare l'aumento dell'Iva che la cosiddetta “clausola di salvaguardia” farebbe scattare se il nostro Paese non abbassa il suo enorme debito pubblico.
Con questa premessa è chiaro che l'altra priorità indicata dal governo e anche dai sindacati confederali, cioè l'abbassamento della pressione fiscale per lavoratori dipendenti, pensionati e i redditi bassi, difficilmente prenderà forma perché provocherebbe minori entrate nelle casse dello Stato che invece ha bisogno di soldi. Più probabilmente assisteremo alla diminuzione del “cuneo fiscale” sul “reddito da lavoro”, comprendendo anche i padroni, magari dando un contentino ai lavoratori e sostanziosi sgravi fiscali alle aziende, con la speranza di far tornare il segno più al prodotto interno lordo (pil).
Quello della crescita economica è stato un tasto su cui Conte ha pigiato molto. A tal proposito ha chiesto più volte a Cgil, Cisl e Uil di “remare insieme per il bene del Paese”. Quindi un invito ad avere un atteggiamento collaborativo con i capitalisti allo scopo di rendere più competitiva l'industria e l'economia italiana con il sacrificio dei lavoratori, ma che sottintende anche un monito a moderare le rivendicazioni, a partire da quelle salariali legate alla scadenza di molti contratti del settore privato e del pubblico impiego. Sintetizzando, un ritorno al consociativismo.
Parole che hanno trovato subito il favore della segretaria della Cisl Anna Maria Furlan, ansiosa di “individuare un percorso comune con il governo per dare una scossa all’economia”. Barbagallo della Uil apprezza “l'invito a remare tutti nella stessa direzione” e vede addirittura “un cambiamento di passo di questo governo”. Più guardingo Landini che all'uscita da Palazzo Chigi ha dichiarato: “ora, oltre ai titoli, vediamo quali saranno le scelte concrete”, ma giudica “positivo che si riapra un canale di confronto”. In ogni caso il segretario generale della Cgil è stato tra primi a sostenere l'attuale governo trasformista liberale al servizio del regime capitalista neofascista, congratulandosi con Conte per aver “dimostrato coraggio politico e profilo istituzionale”.
Assieme a Conte erano presenti il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (PD) e la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S). Tutti e tre hanno assicurato che il governo terrà conto delle proposte sindacali nel varo della prossima manovra economica. Intanto vengono confermate le misure già in campo: “Quota 100” e “reddito di cittadinanza”, mentre vengono annunciate una nuova agenda di investimenti “verdi”, un piano strutturale di interventi per il Sud, una seria lotta all’evasione fiscale, l’impegno a mettere in campo un piano straordinario per la sicurezza sul lavoro. Tutti annunci di rito che poi rimangono sempre sulla carta.
Il governo rilancia il confronto sul salario minimo per legge, del resto 5 Stelle e PD sono tra i principali sostenitori di questa misura e in parlamento hanno già depositato le loro proposte di legge. Per adesso i sindacati replicano con la propria posizione che punta all'estensione “erga omnes” dei contratti nazionali. Cgil, Cisl e Uil chiedono anche le risorse per i rinnovi dei contratti pubblici e la riduzione delle tasse ai pensionati.
Sul tema delle pensioni i sindacati hanno già annunciato di scendere in piazza a novembre, ma la richiesta di assegni di garanzia per i giovani e “bonus” per le donne, seppur importanti, non bastano a disarticolare la legge Fornero. Dalla piattaforma confederale sembra sparita la pur timida rivendicazione di pensionamento al raggiungimento dei 41 anni di lavoro (contro i 43 attuali) indipendentemente dall'età. Se non si abbassano gli anni di contribuzione, l'età pensionabile e non si elimina il meccanismo di aumento automatico in base all'aspettativa di vita (adesso solo momentaneamente bloccato a 67 anni) continuerà a essere in vigore la controriforma pensionistica che fu varata dal governo Monti.
In conclusione possiamo dire che questo incontro è rimasto ancora alla superficie dei problemi, ma già da adesso c'è ben poco da sperare. “Remare insieme” vuol dire che il governo in sostanza chiede sacrifici e maggiore produttività ai lavoratori per risollevare le sorti del capitalismo italiano. Ma non è possibile andare nella stessa direzione quando gli interessi di classe vanno nelle direzioni opposte.
Non vedevamo nessun “governo del cambiamento” (se non in peggio) prima, non vediamo alcuna “discontinuità” adesso. Desta preoccupazione, anche se non meraviglia, il fatto che Cgil, Cisl e Uil ripongano fiducia in questo esecutivo. Un governo che non ha alcuna intenzione di cancellare passate controriforme come il Jobs Act e la Fornero o provvedimenti più recenti come i razzisti, fascisti e antioperai “decreti sicurezza”.
Si fa presto a passare da un'opposizione blanda e sterile come quella tenuta nei confronti del governo Lega-5 Stelle, a un annullamento totale della mobilitazione di piazza che lasci spazio a un stretta concertazione con il Conte-bis. L'esperienza, anche recente, dimostra ampiamente che non ci sono governi amici dei lavoratori, che possono confidare solo nella lotta. I sindacati devono mantenere la loro autonomia dal governo, nei fatti e non solo a parole.
 

25 settembre 2019