In un'intervista rilasciata ad alcuni giornali cinesi
Rizzo accredita il socialimperialismo cinese
Un altro inganno dell'opportunista segretario generale del PC

L'8 settembre scorso Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista, ha rilasciato un'intervista alla stampa cinese “Sulla Via della Seta e relazioni italo-cinesi”. L'intervista è stata pubblicata integralmente in italiano e in inglese sull'organo del PC La Riscossa , corredata di immagini di Rizzo in diverse pose e occasioni, tra cui nel suo studio, con Fidel Castro, mentre parla alla tribuna del KKE, ecc.
Nel preambolo di presentazione con alcune note biografiche dell'intervistato si legge anche che egli, “mantenendo alta la bandiera del marxismo-leninismo, nel 2009 ha fondato e diretto l’esperienza politica che ha portato alla ricostruzione del Partito Comunista in Italia”. Un passaggio significativo, questo, perché se da un lato la stampa cinese accredita l'opportunista e arcimbroglione Rizzo come autentico marxista-leninista, reciprocamente e per tutta l'intervista quest'ultimo accredita la Cina socialimperialista come un autentico Paese socialista, sia pure con qualche larvato cenno all'esistenza di “contraddizioni”, come vedremo più avanti.
Rizzo, infatti, risponde alle varie domande richiamandosi ai principi, di per sé giusti, dell'internazionalismo proletario, come se a fargliele fossero rappresentanti di un autentico Paese socialista, quali erano l'Unione Sovietica di Lenin e Stalin e la Cina di Mao, e non di una cricca revisionista e fascista che, col rinnegato Deng e i suoi successori, ha usurpato il potere nel PCC e nel Paese dopo la morte del Grande Maestro del proletariato internazionale. Una cricca che ha restaurato il capitalismo nella forma più primitiva e selvaggia, mantenendo solo alcune forme esteriori di socialismo, e che oggi sotto la dittatura del nuovo imperatore Xi Jinping, grazie all'enorme surplus di ricchezza accumulata, ha fatto della Cina una superpotenza socialimperialista armata fino ai denti e protesa a conquistare l'egemonia mondiale in concorrenza con l'imperialismo americano.

L'internazionalismo proletario non c'entra nulla
È così che alla domanda “quale direzione politica dovrebbe prendere la cooperazione tra Roma e Pechino”, Rizzo risponde auspicando che “con la visita del presidente Xi Jinping (nel marzo scorso, per firmare il protocollo d'intesa sulla nuova Via della Seta, ndr) le relazioni tra la Cina e l’Italia vadano nella direzione di un effettivo vantaggio reciproco, della pari dignità e di una maggiore conoscenza e comprensione reciproca”. E in questo quadro, “in un'ottica meno generale”, aggiunge il segretario generale del PC, “auspichiamo un rafforzamento di fraterne relazioni bilaterali, nel rispetto delle reciproche posizioni teoriche e politiche e nello spirito dell’internazionalismo proletario, tra il PCC e il nostro Partito, dall’azione comune dei quali in larga misura potrà essere assicurato anche il corretto sviluppo delle relazioni tra i nostri Paesi, nell’interesse della classe operaia e dei lavoratori”.
Vedere infatti i recenti accordi economici tra la superpotenza cinese e il capitalismo italiano come vantaggiosi per il proletariato italiano, e per di più improntabili “allo spirito dell'internazionalismo proletario”, grazie anche alle auspicate “relazioni fraterne” con un partito che di comunista ha conservato solo il nome glorioso, mentre in realtà oggi è solo una potente macchina burocratica militarizzata per asservire il proletariato e le masse popolari cinesi al capitalismo di Stato, cos'altro può essere se non una mistificazione della vera natura socialimperialista della Cina e un ingannevole accreditamento di essa come un Paese ancora autenticamente socialista? Ma evidentemente per Rizzo tale palese mistificazione può valere la pena, se si tratta di conquistare il riconoscimento come interlocutore privilegiato in Italia di detto partito.

E l'espansionismo del socialimperialismo cinese?
Di certo Rizzo non può lavarsi la coscienza con la reticente allusione alle “contraddizioni anche aspre”, inevitabili nel processo “dell'edificazione del socialismo in un Paese originariamente arretrato”, con cui se l'è cavata rispondendo alla domanda: “Cosa pensa dello sviluppo economico della Cina negli ultimi anni”? Il massimo della “critica” che ha “osato” fare allo sfruttamento capitalistico selvaggio dei lavoratori cinesi e all'accumulazione di ricchezze immense finite in mano a privati è la seguente: “L’obiettivo del socialismo non è la crescita della produzione mercantile, ma la crescita del benessere del popolo, il soddisfacimento dei suoi bisogni materiali e spirituali nella libertà sostanziale, nell’uguaglianza e nella giustizia sociale. Una forte crescita economica è la base necessaria per accrescere le risorse da destinare a questo scopo, a patto che, a differenza di quanto avviene nei paesi capitalistici, la ricchezza prodotta venga utilizzata per scopi sociali e non accentrata in mani private”. Oltre questo superficiale quanto ipocrita predicozzo non ha ritenuto di dover andare.
Questo atteggiamento sfacciatamente compiacente di Rizzo nei confronti della cricca revisionista e socialimperialista al potere, emerge anche nella risposta alla domanda di come giudichi “il conflitto commerciale tra USA e Cina” e in generale “l'atteggiamento statunitense nelle relazioni internazionali”. Così, da una parte egli fa una giusta analisi del declino economico dell'imperialismo a stelle e strisce, che lo spinge ad incrementare l'aggressività internazionale per cercare di mantenere la supremazia politica e militare, anche ricorrendo alle sanzioni economiche contro Russia, Venezuela, Cuba, RPDC e Iran e ai dazi sulle merci cinesi, col rischio che l'aggressione economica si trasformi in aggressione armata e “in una guerra vera e propria di proporzioni devastanti”; per cui ne conclude che occorre battersi contro l'imperialismo USA, uscire dalla NATO e sostenere “la giusta lotta dei popoli per il diritto a decidere il proprio destino senza ingerenze imperialiste”. Siamo d'accordo. Peccato però che Rizzo non spende una sola parola per denunciare parimenti le mire egemoniche dell'imperialismo cinese e il suo espansionismo economico (e in una misura crescente anche militare) in Asia, in Africa, in America latina e in Europa, e in particolare anche verso il nostro Paese.

Rizzo e la nuova Via della Seta
E qui arriviamo alla nuova Via della Seta, che l'antico imbroglione trotzkista non vede affatto, come ogni autentico marxista-leninista non può non vedere, come un potente strumento di penetrazione del socialimperialismo cinese in Asia, Medio Oriente, Africa ed Europa occidentale nel quadro della sua strategia egemonica mondiale, bensì lo vede come “un progetto di per sé interessante” e che “potrebbe avere delle ricadute positive per i lavoratori dei paesi coinvolti”. Sotto questo aspetto, aggiunge Rizzo, “tutto dipenderà da quanto il proletariato saprà spostare i rapporti di forza a proprio favore, sviluppando un’efficace lotta di classe per impedire che dei benefici derivanti da un progetto, realizzato grazie al suo lavoro, si appropri, ancora una volta, il capitale”.
A suo dire, cioè, l'accordo firmato tra Xi e Conte, a nome del governo nero Salvini-Di Maio, per fare di Trieste e Genova i terminali europei della gigantesca via infrastrutturale dalla Cina denominata Belt and Road Initiative (BRI, o nuova Via della Seta), non tornerebbe a vantaggio della strategia egemonica imperialista cinese e degli appetiti della borghesia imperialista italiana in concorrenza con le rivali borghesie imperialiste francese e tedesca, ma a vantaggio dei lavoratori italiani e cinesi.
Un'altra mistificazione bella e buona, come se una delle due controparti, cioè la Cina, fosse un Paese realmente socialista. E che per quanto riguarda l'altra, cioè l'Italia, il proletariato potesse avere voce in capitolo nel decidere la redistribuzione in senso sociale dei profitti realizzati dai capitalisti italiani con l'incremento del commercio col gigante asiatico. A questo proposito Rizzo ritorna a bomba sui rapporti tra i due partiti sedicenti comunisti come strumento per favorire tale ricaduta vantaggiosa per i lavoratori dei due Paesi. E lo fa con un escamotage retorico con cui millanta la possibilità che i due partiti revisionisti di comune accordo possano indirizzare in tal senso la realizzazione e gli obiettivi del mega progetto infrastrutturale internazionale. “Sarà la nostra capacità di praticare la lotta di classe – dice infatti Rizzo - a fare sì che questa forma di cooperazione internazionale vada in questa direzione e non in un’altra e, anche per questo, vogliamo dialogare con il Partito Comunista Cinese, con cui siamo disponibili, fin da ora, a discutere su tutti gli aspetti politici, culturali e pratici di interesse reciproco”.
In parole povere Rizzo cerca di contrabbandare, dietro un pretenzioso quanto irrealistico potere di influenzare un progetto di portata mondiale e che obbedisce solo alle leggi dell'imperialismo e del profitto, la ben più prosaica e miserabile richiesta di un riconoscimento politico internazionale per il suo partito revisionista e trotzkista e per la sua figura di leader immaginario del proletariato italiano.
Conoscendo bene le numerose giravolte di Rizzo, più volte denunciate su “Il Bolscevico”, non ci stupisce che fino a un giorno prima dell'intervista egli, e il PC nei suoi documenti ufficiali, abbia apertamente denunciato l'attuale Cina come un paese capitalista e interventista imperialista. E lo ha fatto anche in incontri internazionali dei partiti comunisti revisionisti con alla testa il KKE.
 
 
 

2 ottobre 2019